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Cyber crime, così gli hacker fanno soldi attaccando le aziende

Conosci il tuo nemico, come opera e come monetizza. Sapere chi è il potenziale attaccante è una informazione indispensabile per le aziende, per esempio da fornire in fase di formazione a tutti i dipendenti

Pubblicato il 02 Mag 2018

Alessio Pennasilico

Information & Cyber Security Advisor presso P4I - Partners4Innovation

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“Conosci il tuo nemico” è uno dei primi dettami di Sun Tzu nel suo libro, L’arte della guerra. A causa della rappresentazione degli hacker offerta al grande pubblico da parte dei media negli ultimi trent’anni, troppo spesso è errata la conoscenza del nemico in ambito Information & Cyber Security. Immaginiamo un adolescente, maschio, bianco, con l’acne, che nel buio della sua cameretta la notte digita molto velocemente sulla tastiera per fare accadere cose tecnomagiche su Internet. E poi deve avere una felpa nera, con il cappuccio. Altrimenti che hacker è? Ed immaginiamo scelga con cura il suo bersaglio ed attacchi quell’organizzazione in particolare, con lo scopo di danneggiarla o rubare un segreto specifico. Questo porta molte persone, cittadini, ma purtroppo anche imprenditori, dirigenti ed a volte CIO a non comprendere lo scenario ed i pericoli che comporta. Questa incomprensione conduce a rispondere alla domanda “cosa state facendo per proteggere le vostre informazioni?” al da me tanto temuto “per quel che faccio io, chi vuoi che mi attacchi?” Quell’adolescente con la felpa, se mai è esistito, fa parte della cultura hacker underground degli anni ’80 e ’90. Nel passaggio al nuovo millennio, noi esperti di security, non siamo stati in grado di far comprendere nel modo corretto come si sono evolute le minacce e chi è il vero nemico da contrastare. Probabilmente, tra i diversi tipi di attaccante, quel che più assomiglia all’”hacker” dei film è la cosiddetta “spia industriale”. Di certo con grandi competenze, non sempre solo informatiche in senso stretto, di certo motivato, di certo focalizzato su un bersaglio specifico. Come raccontano le statistiche, tra cui il rapporto Clusit[1], la frequenza nota di incidenti che coinvolgano questo tipo di minaccia è molto bassa, a fronte di una gravità dell’attacco ed un impatto estremamente rilevanti per la vittima.

Come opera il cyber crime

Il fenomeno che non è stato spiegato a sufficienza, e la sua comprensione è indispensabile per poter attuare una strategia di difesa efficace, è il cosiddetto cyber crime. Non è stato spiegato come la criminalità organizzata ha intravisto un business redditizio e sicuro nelle attività on-line. Non è stato spiegato come queste realtà abbiano investito fondi in organizzazione, competenze (a volte scarse, ma comunque sufficienti per raggiungere l’obiettivo) ed infrastrutture, necessarie a perpetrare il loro business. Non è stato spiegato quale è il loro business model. Si, gli attacchi contro una vittima specifica possono rientrare in alcuni casi nel loro modus operandi. Ma il loro operato differisce molto da quel che ci si aspetta, pensando agli hacker della TV. I loro schemi si basano sulla statistica, si basano sul colpire tutti, indistintamente, sui grandi numeri, con attacchi spesso banali, di cui la componente informatica è una parte, spesso anche non molto rilevante, del core business. Tra i tanti fenomeni che caratterizzano queste organizzazioni si pensi al phishing per comprendere meglio le logiche. Scrivono milioni di mail, a tantissime persone, indistintamente. I mittenti non hanno la benché minima idea del saldo del conto corrente dei destinatari delle mail. Spesso neppure sanno se il destinatario ha un conto corrente presso la banca impersonata. Però sui grandi numeri il guadagno è assicurato: tra tutti i destinatari alcuni vengono raggiunti nonostante tutti i firewall/antivirus/antispam/content filter, alcuni hanno quella banca, alcuni cliccano il link nella mail, alcuni lasciano davvero le proprie credenziali sul finto sito della banca allestito dai criminali. Un numero di credenziali sottratte che oscilla tra il 5 ed il 10% del totale dei destinatari secondo le statistiche. Alcuni di quei conti hanno un saldo attivo e sarà quindi possibile sottrarre del denaro. Altri conti potranno essere utilizzati esclusivamente per movimentare del denaro. Ma a furto delle credenziali avvenuto, molto spesso, la parte “informatica” dell’attacco, inviare una mail che porta ad un sito malevolo, è terminata. Le competenze che servono da questa fase in poi sono ben altre che tecniche. Serve sapere come riciclare del denaro, come spostarlo, come incassarlo, come evitare i controlli. Anche guardando le mail ed i siti attualmente utilizzati per queste campagne, risulta evidente come siano migliorate nel tempo, come siano state introdotte altre professionalità. Dalle mail di phishing di 20 anni fa “Io essere tua banca, tu cliccare qui” siamo passati a mail e siti graficamente coerenti, ben scritte, ove è evidente l’apporto di grafici e traduttori, che informatici non sono. Questo ci permette di osservare il mercato (criminoso) di riferimento. Per una organizzazione che decide di perpetrare una truffa esiste un universo di professionisti ed aziende a contorno, per certo non criminali, ma compiacenti. Grafici e traduttori possono essere “dipendenti” esclusivi di una organizzazione o “outsourcer”. Lo stesso dicasi per la “funzione ICT”. Potrebbero esserci persone stabili e dedicate che coltivano le botnet, acquisiscono siti, gestiscono la parte informatica dell’attacco. O come le aziende “tradizionali” si appoggiano ai system integrator, così i criminali possono contare su chi botnet, siti, campagne di phishing, kit di phishing li rivende. Questo porta ad un mercato dai prezzi competitivi con una qualità accettabile rispetto al “business” intrapreso. Questo risulta ancor più evidente parlando di ransomware.

Come si monetizza il ransomware

Uno dei primi incidenti di questo tipo avvenne nel 2001, quando venne sviluppato un ransomware, che utilizzava uno 0 day per poter infettare i sistemi, pensato per colpire specificatamente Gazprom. Il costo di mercato dell’epoca per l’acquisto di uno strumento simile si aggirava tra i 300 ed i 500.000 dollari. Oggi un ransomware entry level si può acquistare per alcune centinaia di dollari; prodotti più maturi sono reperibili sul “mercato” per poche migliaia di dollari. Un investimento che riuscirebbero a fare anche organizzazioni molto piccole, soprattutto inseguendo il miraggio del ROI, il ritorno sull’investimento, molto alto in queste campagne. Anche nel caso di attacchi banali come i ransomware appaiono evidenti le competenze non informatiche necessarie per un attacco di successo, vale a dire redditizio. Perché alcuni ransomware chiedono il riscatto in bitcoin, altri si accontentano di un bonifico, altri chiedono gift card di iTunes? Se ho mandato 100 mail, ho infettato 30 PC, di cui 10 vogliono pagare, se chiedo il riscatto via bonifico, tutti hanno un conto corrente, incasserò 10 riscatti, ma poi dovrò subire tutti i costi di lavaggio del denaro, che possono arrivare fino al 40% del totale. Se chiedo il riscatto in bitcoin dei 10 che volevano pagare magari riusciranno solo 6. Ma il denaro che ho incassato è praticamente già pulito. Quale è la tecnica più remunerativa? Questa è una decisione che, come si evince, prende un analista finanziario, non un informatico. Questo scenario ci deve aiutare quindi a comprendere meglio chi è la nemesi che dobbiamo affrontare. Se è vero che parlando di spie industriali non discutiamo di un fenomeno che riguarda trasversalmente tutte le aziende, ma solo alcune, nel caso del CyberCrime le potenziali vittime sono tutte, dal privato, al professionista, passando per PMI, PA e Large enterprise. Creare una strategia di Information & Cyber Security che tuteli l’azienda solo dagli “hacker”, quindi, sarebbe una strategia miope, che non tiene conto dell’attore statisticamente più rilevante. Se lo spionaggio industriale riguarda solo alcune aziende, che si riconoscono perfettamente nel problema, e sono in grado di mettere in campo organizzazione, processi, competenze, tecnologie adatte a contrastare questo fenomeno, nel caso del CyberCrime troppe potenziali vittime sono ancora ignare di essere possibili bersagli e non si proteggono adeguatamente. Se la strategia di contrasto ad una spia industriale è solo rendere anti-economico l’attacco, perché a risorse-tempo infinite l’intrusione sarebbe certa, nel caso del CyberCrime, spesso, basta seguire le più diffuse best practice di mercato per evitare di cadere vittima degli attacchi automatizzati.

Quale strategia per le aziende

Comprendere questo scenario, dunque, diventa indispensabile per poter creare una strategia adatta, coerente ed efficace. Sapere chi è il potenziale attaccante è una informazione indispensabile da fornire in fase di formazione a tutti i dipendenti, affinché capiscano di essere di essere tutti coinvolti nel processo di tutela aziendale, perché non esiste firewall o antivirus in grado di sostituire la loro diligenza nel non cliccare le cose sbagliate o non perpetrare comportamenti scorretti e pericolosi che possano comportare compromissioni aziendali. Questo diventa ancor più indispensabile in un’epoca in cui gli attacchi sono sempre più industrializzati, sempre più seriali, spesso portati avanti con tecnologie di machine learning se non di Intelligenza Artificiale vera e propria. Prendersi cura anche degli attacchi a basso impatto è indispensabile in una corretta strategia di tutela del business. Volendo attribuire un costo alle diverse minacce, volendo attribuire alle diverse minacce una probabilità/frequenza, otterremo una gaussiana che vede ad un estremo gli attacchi irrilevanti da ogni punto di vista, all’altro estremo attacchi che costringerebbero l’azienda a chiudere a causa della loro gravità, ma con una probabilità bassa e soprattutto una frequenza al massimo di 1, mentre al centro della campana troveremo quel che davvero va indirizzato: moltissimi incidenti a basso impatto che sommati tra loro comportano un costo, magari nel triennio, che avrebbe reso economicamente vantaggioso investire cifre di ordini di grandezza inferiori per potersi proteggere. E’ il calcolo che inconsapevolmente abbiamo fatto da anni. Un sistema di backup o un sistema anti-malware è un investimento che quasi tutte le aziende hanno fatto, conscie che la cancellazione per errore di un file o l’infezione di un PC non avrebbe comportato ingenti danni, ma la frequenza di tali incidenti, in mancanza di tutele adeguate, sul breve-medio periodo avrebbe comportato dei costi insostenibili. Questa è la ragione per cui va conosciuto lo scenario di riferimento, perché va fatto capire a tutti i collaboratori ed al top management: al fine di poter smettere di pensare ai “ragazzini con il cappuccio nero” ed iniziare a fare analisi del rischio complete e coerenti che possano portare alle corrette scelte strategiche, anche dal punto di vista degli investimenti. Questo poi diventa particolarmente vero in uno scenario come quello introdotto dal GDPR, con sanzioni significative, che potrebbero essere applicate a causa di mancanze importanti nell’analisi del rischio e di conseguenza nella scelta delle misure adeguate a tutela delle informazioni o che, ancor peggio, potrebbero essere utilizzate dai criminali per perpetrare ulteriori ricatti o attacchi in modo ancor più efficace. E come regole generali è sempre utile vedere linee guida e standard per la cyber security. https://www.cybersecurity360.it/legal/information-cyber-security-tutto-su-linee-guida-standard-e-best-practice/ [1] Disponibile all’indirizzo: https://clusit.it/rapporto-clusit/

HWG - white paper - Cyber rischio: prevenire e rispondere agli incidenti

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