Nel panorama delle minacce informatiche ha fatto la sua comparsa un nuovo ransomware di cui ancora si conoscono poche informazioni tecniche. Al momento è stato identificato col nome BorontoK e le prime analisi del suo codice malevolo hanno evidenziato la sua capacità di criptare i siti web delle sue vittima richiedendo un riscatto di 20 bitcoin, equivalenti a circa 75.000 dollari. Una somma altissima se paragonata a quella richiesta da altri malware simili e che potrebbe mettere in difficoltà le aziende colpite.
L’altra particolarità di BorontoK è quella di riuscire ad infettare i server Linux, ma può anche essere in grado di cifrare le macchine degli utenti che utilizzano sistemi operativi della famiglia Windows. Ancora una volta, dunque, i server con sistema operativo Linux vengono presi di mira dai criminal hacker: era già successo qualche giorno fa con Rocke, il malware coin miner in grado di compromettere i server Linux su cui sono in esecuzione soluzioni di sicurezza cloud-based e bypassare, così, ogni tipo di controllo.
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Ransomware BorontoK: l’analisi tecnica
La prima traccia di BorontoK è stata riportata nel forum di BleepingComputer da un utente che ha segnalato il blocco del sito web di un suo cliente a causa del criptaggio di tutti i file a seguito dell’infezione del nuovo ransomware.
Lo stesso utente ha comunicato che il sito web criptato era in esecuzione su un server Ubuntu 16.04 e tutti i file criptati erano stati rinominati con l’estensione .rontok, dalla quale è stato poi ricavato il nome del nuovo ransomware.
Al momento non c’è alcun sample del ransomware che è possibile analizzare, ma dall’analisi delle informazioni condivise dall’utente del forum di BleepingComputer è comunque possibile estrapolare alcune sue caratteristiche tecniche.
Innanzitutto, così come confermato anche dal noto cacciatore di ransomware Michael Gillespie, BorontoK cripta i file sulla macchina compromessa utilizzando un algoritmo crittografico in base64. Completata questa prima fase della sua azione malevola, il ransomware procede a criptare con lo stesso algoritmo anche i nomi dei file inglobando l’URL del sito per il pagamento del riscatto (https://borontok.uk/), che al termine avranno una forma simile alla seguente:
zmAAwbbilFw69b7ag4G4G4bQ4bQ%3D%3D%3D.rontok
L’utente del forum di BleepingComputer ha inoltre fatto sapere di non aver pagato al momento alcun riscatto per decriptare i file e ha fornito la schermata dell’home page al quale le vittime devono collegarsi per effettuare il pagamento.
Sempre nella stessa pagina è inoltre presente un indirizzo e-mail utile per contattare direttamente i creatori del ransomware. Dalle poche notizie che si hanno in merito, infatti, i criminal hacker sarebbero disponibili a negoziare il riscatto di 75.000 dollari richiesto per fornire la chiave di decodifica dei file.
Dall’esame del codice sorgente del sito di pagamento si può notare, inoltre, uno strano commento:
<!– Vietnamese hacker –>
che lascerebbe presupporre l’origine vietnamita dello sviluppatore di BorontoK. Ma potrebbe trattarsi anche di una finta minaccia utilizzata per sviare le reali origini del ransomware.
BorontoK: i consigli per difendersi
Essendoci ancora pochissime informazioni tecniche, è difficile mettere in atto le corrette contromisure per difendersi da Borontok ed impedire il criptaggio dei file di un sito web ospitato su server Linux.
Secondo Andrea Muzzi, Sales Engineer di F-Secure, “questo nuovo ransomware ci ricorda come ormai le cyber minacce siano diventate trasversali e riescano ormai a colpire con grande efficacia quasi tutti i sistemi operativi. Ormai sempre più spesso riscontriamo e abbiamo notizia di attacchi mirati a piattaforme Linux e OSX; tuttavia, durante i nostri incontri, riscontriamo ancora come in molti casi la protezione di sistemi con a bordo il software del Pinguino sia presa con leggerezza o addirittura gli venga attribuita poca importanza”.
Secondo l’analista, “vista la delicatezza di questi ambienti, per la loro protezione la cosa migliore da fare è affidarsi a professionisti preparati o vendor con solide basi nella sicurezza”.
“È poi importante”, continua Muzzi, “abituare gli utenti ad utilizzare poche e semplici regole che posso aiutarli a tenersi lontano dalle minacce:
- non attivare l’utente di root o utilizzarlo il meno possibile;
- creare un utente con cui svolgeremo le attività di tutti i giorni;
- usare con cautela i permessi di amministratore quando ne entriamo in possesso;
- non installare programmi di dubbia provenienza e se abbiamo scaricato qualcosa verificare sempre che l’md5sum (firma di riconoscimento di un file) corrisponda a quello indicato da chi ha sviluppato il software;
- configurare correttamente il nostro firewall locale;
- tenere costantemente aggiornato il nostro sistema operativo Linux”.
Secondo Diego Gagliardo, COO di Endian, “la notizia di questo ransomware, anche se al momento non è stato effettivamente individuato un sample, conferma che anche i server dotati di sistema Linux, considerati più sicuri, sono potenzialmente vulnerabili. Apprendiamo che i ransomware non si limitano a colpire il mondo desktop o Microsoft ed è ormai indispensabile dotare ogni infrastruttura di una protezione perimetrale attiva come un Intrusion Prevention System, ma soprattutto mantenerla costantemente aggiornata in modo che sia in grado di riconoscere gli attacchi di qualsivoglia forma e provenienza, bloccandoli tempestivamente”.
Valgono poi le solite buone norme di prevenzione da questo tipo di attacco:
- non aprire mai gli allegati di email di dubbia provenienza;
- fare attenzione alle email provenienti anche da indirizzi noti;
- abilitare l’opzione “Mostra estensioni nomi file” nelle impostazioni di Windows: i file più pericolosi hanno l’estensione .exe, .zip, js, jar, scr, ecc. Se questa opzione è disabilitata non riusciremo a vedere la reale estensione del file;
- disabilitare la riproduzione automatica (“autorun”) di chiavette USB, CD/DVD e altri supporti esterni e, più in generale, evitare di inserire questi oggetti nel nostro computer se non siamo certi della provenienza;
- disabilitare l’esecuzione di macro da parte di componenti Office in quanto potrebbe contenere una macro malevola pronta ad attivarsi automaticamente a seguito di un nostro clic;
- aggiornare sempre i sistemi operativi ed i browser con le “patch” di sicurezza che ci vengono proposti dai produttori dei software che abbiamo installati;
- utilizzare – quando possibile – account senza diritti da amministratore: se viene violato un account con privilegi ed accessi di amministratore, l’attaccante potrà utilizzare gli stessi privilegi per compiere più azioni e fare maggiori danni;
- installare servizi antispam efficaci ed evoluti al fine di riuscire a raggiungere un’efficacia nella protezione superiore al 95%;
- implementare soluzioni di tipo “User Behavior Analytics” (UBA) sulla rete aziendale, che rappresentano oggi la protezione più avanzata contro i ransomware. Gli UBA analizzano il comportamento di ciascun computer dell’azienda e alla rilevazione di eventi anomali e sospetti, possono isolare il computer incriminato e circoscrivere l’attacco;
- assicurarsi che i plugin che si utilizzano (Java, Adobe Flash Player ecc.) siano sempre aggiornati, in quanto rappresentano la via d’ingresso preferenziale per la maggior parte dei cyber attacchi;
- fare sempre attenzione prima di cliccare su banner (o finestre popup) in siti non sicuri;
- backup frequente dei propri dati, eseguito spesso ed in modo completo. In assenza di un backup rimane solo l’opzione di pagare il riscatto.
Aggiorneremo questo articolo non appena saranno disponibili nuove informazioni sul ransomware BorontoK.