In Francia è vietato pubblicare il nominativo dei soggetti giudicanti nelle sentenze con la finalità di proibirne la predizione delle sentenze. La questione ha preso il via dall’uso di un’app, Predictice, con cui si segnalavano i nomi dei giudici per capirne i relativi orientamenti.
Questa informazione riguardante il mondo del legal tech non ha avuto particolare risalto in Italia, ma risulta interessante da analizzare in quanto pone problematiche comuni all’uso di queste applicazioni che possono essere trasversali a diverse giurisdizioni, in particolare risulta d’interesse per quella italiana per l’estrema somiglianza se non totale uguaglianza dei principi affrontati e posti alla base degli ordinamenti in questione.
Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
Indice degli argomenti
La normativa francese
La notizia commentata riguarda la proibizione introdotta dall’art. 33 della legge 2019-222 del 23 marzo 2019 di programmazione 2018-2022 di riforma della giustizia, che ritocca diversi testi di legge (code de justice adminstrative, code de l’organisation judiciaire, code du commerce, etc.), di pubblicare il nominativo dei soggetti giudicanti nelle sentenze con la finalità di proibirne la predizione delle sentenze, pena la reclusione fino a 5 anni. Vediamo la traduzione del testo in analisi: “I dati d’identità dei magistrati e membri del Registro non possono essere riutilizzati per lo scopo o l’effetto di valutare, analizzare, confrontare o prevedere le loro pratiche effettive o presunte pratiche professionali. La violazione di tale divieto è punita con le sanzioni previste dagli articoli 226-18,226-24 e 226-31 del codice penale, fatte salve le misure e le sanzioni previste dalla legge n. 78-17 del 6 gennaio 1978 relativa al trattamento dei dati, file e libertà”.
Mentre i commi precedenti che aiutano a inquadrare il punto di vista adottato per redigere il comma in esame sono i seguenti: “Fatte salve le disposizioni speciali che disciplinano l’accesso e la pubblicità delle decisioni giudiziarie, le sentenze sono messe a disposizione del pubblico gratuitamente sotto forma elettronica. In deroga al primo comma, i nomi e i cognomi delle persone fisiche menzionate nella sentenza, quando sono parti o terzi, sono oscurati prima della messa a disposizione del pubblico. Quando la sua divulgazione rischia di compromettere la sicurezza o il rispetto della privacy di queste persone o del loro entourage, è anche nascosto qualsiasi elemento che consenta di identificare le parti, i terzi, i magistrati e i membri del registro”.
L’app Predictice
La norma criticata nell’ambito del mondo del legal tech, che evidentemente grazie all’utilizzo di software d’analisi puntava a rendere sempre più efficiente la predizione degli orientamenti per singoli giudici o collegi, viene da un altro lato rubricata come “conciliazione della trasparenza dell’attività giudiziaria e protezione alla vita personale dei soggetti” coinvolti nell’amministrazione della giustizia.
Detto ciò risulta di tutta evidenza come le tematiche coinvolte siano varie e complesse e che, a parere di scrive tocca solo incidentalmente, anche se in maniera pervasiva, il mondo del legal tech. Prima di richiamare i punti di diritto toccati dalla questione risulta utile riportare come a detta di alcuni autori la norma prende spunto, come spesso accade, da un caso concreto, ovvero l’uso dell’app francese predictice.
Il caso riguarda il progetto di un avvocato francese che attraverso l’uso di queste app evidenziava l’orientamento di alcuni giudici francesi in materia di richieste d’asilo da parte di soggetti stranieri (rectius ricorsi).
In particolare il nome di questo(i) giudici venivano pubblicati su una pagina di dominio pubblico mettendo in pericolo non solo l’indipendenza del giudizio del giudice in questione ma la sua stessa incolumità.
Premesso quanto sopra vediamo come gli argomenti correlati al tema quindi sono non solo quello dell’amministrazione efficiente della giustizia ma anche la trasparenza del suo operato nonché la riservatezza dei funzionari di stato, nel caso i giudici, nonché la loro indipendenza e sicurezza personale (tematiche mai sentite in Italia, vero?).
Difatti se da un lato la trasparenza dell’operato della giustizia è un principio cardine di ogni stato di diritto, ossia udienze pubbliche, motivazione della sentenza e loro pubblicità, dall’altro lato è altrettanto un principio saldo quello dell’indipendenza dei soggetti che ne svolgono la relativa funzione e la loro incolumità.
Come spesso accade, quindi, ci troviamo di fronte a un classico caso di bilanciamento di diversi diritti e principi parimenti importanti all’interno di uno stato di diritto, bilanciamento che in Francia, come in Italia, è operato dal legislatore, ed in ultima istanza dalla corte costituzionale.
Si rileva altresì come è stato commentato da più parti come a oggi rimane possibile effettuare ricerche su orientamenti delle diverse corti, o sezioni.
D’altra parte poi il soggetto giudicante è interno a questi organismi ed è scelto in base alla legge, difatti anche in Francia come in Italia nessuno può essere distolto dal proprio giudice scelto dalla legge (juge naturel), quindi cui prodest direbbero i latini nel pubblicare urbi et orbi il nominativo del singolo?
La legge e il principio di trasparenza
Detto ciò, come interpretato dal legislatore francese, risulta, quindi, superfluo indicare pubblicamente il singolo soggetto se non forse per mettere pressione alla sua indipedenza di giudizio.
Difatti si può affermare come la pubblicazione del singolo nominativo dell’ufficio in effetti già soddisfi il principio di trasparenza e certezza del diritto senza mettere inutilmente, o forse contra legem, sotto pressione il singolo soggetto giudicante (prima di procedere oltre risulta utile ricordare per chi ne ha memoria il caso che si sollevò in Italia quando venne pubblicata la foto di un giudice coinvolto in un procedimento alla ribalta dei media che leggeva il giornale e di cui si commentava il colore dei calzini…).
Sicuramente l’interpretazione del legislatore cerca di fornire una copertura totale alla protezione del dato personale, che si ricorda essere un diritto umano di rango costituzionale e sovranazionale, dell’indipendenza del soggetto giudicante e in ultima istanza dell’organo giudicante stesso.
A parere di chi scrive poteva essere giustificata un’indicazione media sul punto, nel senso proibire la pubblicazione in chiaro di questo tipo d’analisi permettendola solo sulle banche dati accessibili da soggetti qualificati, come d’altra parte già succede tutt’oggi su un’infinità di banche dati (creditizie giudiziarie ecc.).
Su questa linea sono alcuni autori i quali sostengono che il divieto riguarda solo la pubblicazione dei risultati di queste analisi rimanendone invece possibile l’uso interno di queste app.
Tuttavia tale interpretazione risulta semplicistica, infatti non solo l’uso interno al momento non sembra in linea con la prescrizione letterale del testo, ma anche dal lato del processo lato software, poniamo che il software venga impostato restituendo all’utente solo il dato aggregato e pseudonomizzato, l’app conserverà comunque il dato vero con l’analisi oggetto di proibizione, pertanto ci si troverebbe sicuramente davanti a un caso in cui quasi sicuramente sarebbe necessaria una valutazione DPIA ai sensi dell’art. 32 GDPR da portare davanti all’autorità francese CNIL per verificare se le misure di sicurezza adottate siano eventualmente adeguate.
Detto si aggiunga come l’allegato all’art. 33 (1.2.7. Une justice plus prévisible) in discussione prevede il potenziamento del sito gestito dallo stato francese justice.fr: “Il servizio pubblico di giustizia deve inoltre consentire a tutti i suoi utenti, ma anche ai suoi attori, di misurare meglio l’evoluzione della propria attività e la qualità del servizio fornito. Il sistema di informazione decisionale del ministero si evolverà per fornire strumenti efficaci per l’analisi e la gestione dell’attività a livello nazionale e locale. Gli utenti saranno in grado di accedere alle informazioni on-line pratiche alimentato, arricchendo ciò che è già sul sito Justice.fr (accesso alla giustizia, l’insegnamento delle procedure, simulatori…), ma anche, ad esempio, indicatori di tempo procedurale davanti al tribunale a cui intendono riferirsi, o alle scale indicative o ai riferimenti indicativi. La qualità del servizio reso sarà anche misurata dalle indagini sulla soddisfazione degli utenti, con indicatori adattati alle specificità del servizio pubblico di giustizia”, il quale però sembra più orientato a dare evidenza dell’efficienza o meno del sistema giustizia in generale e non sul punto controverso.
Conclusione
Sia come sia appare sotto gli occhi di tutti come ormai siano finiti i tempi in cui il mondo del digitale e delle diverse applicazioni potessero usufruire di un totale disinteresse da parte del legislatore il quale ormai nelle diverse giurisdizioni europee e non interviene sempre di più per regolamentare, e sanzionare con le auotrità, gli effetti dell’uso delle diverse tecnologie che, seppur considerate da molti autori in generale neutre, sicuramente perdono tale accezione nel momento in cui vanno a provocare effetti reali nei confronti di alcune persone piuttosto che altre e perché no sul regolare funzionamento nonché sicurezza degli apparati amministrativi delle democrazie.
Ciò che si può sicuramente affermare è che siamo solo all’inizio di questo tipo di conflitto tra tecnologia e diritto che rimarrà una delle tematiche centrali del futuro, difatti casi come questo più altri (come ad esempio il problema del riconoscimento facciale ecc.) evidenziano come l’uso della tecnologia è in grado di incidere profondamente sui diritti fondamentali delle persone nonché sul funzionamento democratico degli stati in cui queste vivono.