Il Regolamento UE 679/2916 non fa eccezioni: anche gli enti del terzo settore devono rispettare le sue disposizioni e adeguarsi al GDPR.
Il percorso di adeguamento non deve essere vissuto come mero aggiornamento della documentazione e predisposizione delle ormai datate misure minime di sicurezza. Adeguarsi al GDPR per gli enti che trattano così tanti dati, anche di tipo particolare, significa non solo evitare sanzioni ma salvaguardare il proprio patrimonio documentale.
Da ciò deriva anche proteggere gli interessati, spesso soggetti vulnerabili, dai rischi di perdita o diffusione dei loro dati ed evitare che un singolo episodio di data breach possa vanificare anni di attività. Avviare un percorso di adeguamento risulta quindi fondamentale: ecco come farlo e da dove iniziare.
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Enti del terzo settore: i numeri
I numeri elaborati dall’ISTAT nel 2015 (ultimo censimento utilizzabile) ci forniscono un quadro molto chiaro circa l’importanza del terzo settore in Italia. Già allora, e risultano numeri in forte crescita, si contavano in Italia 336.000 istituzioni, 800.000 dipendenti, 5.5 milioni di volontari.
Da questi dati emerge un primo aspetto rilevante: solo considerando dipendenti e volontari si contano più di 6 milioni di set di dati personali riferiti a persone fisiche. A questo numero occorre poi aggiungere un dato ancora più determinante: gli utenti, aderenti, tesserati o iscritti gestiti dalle 336.000 istituzioni. Un numero sicuramente difficile da calcolare ma tra tutti gli iscritti/tesserati, gli utenti “occasionali” e l’archivio storico parliamo di una mole di dati enorme.
Insomma, il patrimonio di dati gestito dagli enti del terzo settore può essere equiparato, per importanza e sensibilità, solo a quello della Pubblica Amministrazione intesa in senso lato, un patrimonio di dati che spesso non è adeguatamente protetto.
Una quantità enorme di dati personali, trattati e gestiti da enti di dimensioni molto diverse tra loro, dalla grande associazione al piccolo centro che tuttavia presentano una omogeneità in termini “economico-finanziari”: il 75% di essi ha un bilancio annuale al di sotto dei 50mila euro.
È evidente da questo dato come la maggior parte degli enti non possa dedicare ingenti risorse per la messa in sicurezza della struttura privacy e per l’adeguamento inteso in senso lato.
Enti del terzo settore e GDPR: i passi per adeguarsi
Da questi primi dati snocciolati appaiono evidenti alcuni punti importanti: in Italia gli ETS (Enti del Terzo Settore) gestiscono una grande quantità di dati personali, dati che sono spesso di tipo particolare, a cui si affianca una struttura economica di piccole dimensioni da cui risulta difficile ricavare le risorse necessarie per portare avanti un percorso di adeguamento al GDPR mirato a tutelare quei dati personali.
Come coniugare queste due esigenze contrapposte?
Nonostante le peculiarità degli enti del terzo settore il GDPR non fa eccezioni: tutti i titolari devono rispettare i principi in esso contenuti. Quindi cosa fare per gestire quella grande mole di dati personali senza esporli a gravi criticità o a particolari vulnerabilità?
Occorre avviare uno strutturato percorso di adeguamento tramite il quale sarà possibile analizzare le caratteristiche dell’ente, valutarne le peculiarità e le criticità e colmarle progressivamente, riducendo il gap rispetto al dettato europeo.
Il primo passo del percorso è sicuramente quello di analizzare, censire e mappare la governance dell’ente: chi fa cosa e chi può fare cosa. Occorre anzitutto considerare che l’art. 29 del GDPR sancisce che i dati personali possono essere trattati solo da persone a ciò autorizzate e a ciò istruite.
Questo articolo si scontra con la realtà degli enti: dimensioni ridotte, organigrammi non definiti, grande alternanza dei volontari che possono accedere ai dati, tutto questo si può trasformare in una vulnerabilità.
Censire e mappare le risorse umane interne è dunque il primo passo fondamentale per raggiungere la compliance: permette infatti di avere un quadro chiaro delle responsabilità e consente di avere una “filiera del dato” sicura e controllata.
Ma definendo le responsabilità e i ruoli è possibile anche procedere con il rispetto dell’articolo 29 su menzionato, implementando per i soggetti autorizzati un percorso di formazione ad hoc. In questo modo la possibilità che errori e disattenzioni possano provocare un data breach diminuiscono notevolmente.
Il secondo passo è individuare i responsabili del trattamento. In base all’art. 28 del GDPR i responsabili del trattamento sono soggetti che, per conto e su istruzioni del titolare, trattano i dati personali.
Risulta dunque fondamentale avere un quadro chiaro di chi, dall’esterno, può accedere ai dati gestiti dall’ente. Sia esso un consulente informatico o un commercialista, avere accesso ai dati comporta delle responsabilità, che devono essere chiaramente individuate e definite.
Occorre dunque tracciare un perimetro e fissare dei paletti, i soggetti esterni che trattano i dati per conto dell’ente devono farlo nel rispetto non solo dei dettami del regolamento europeo ma anche delle indicazioni fornite dall’ente stesso, indicazioni che dovranno essere più stringenti man mano che il dato diviene più “sensibile”.
Il terzo passo consiste nell’analizzare con attenzione i trattamenti effettuati. Per ogni trattamento occorre valutare, grazie ai primi passi suddetti, chi può dall’esterno trattare quei dati, chi lo gestisce internamente e quali misure di sicurezza implementare.
Il trattamento dovrà essere analizzato in ogni sua parte, identificando la base giuridica, i destinatari, le misure di sicurezza e i tempi di conservazione: occorre, dunque, compilare il registro dei trattamenti. Un documento fondamentale per raggiungere l’adeguamento, uno strumento indispensabile per comprendere e migliorare la “struttura privacy”.
Enti del terzo settore e GDPR: le informative
A questo punto si è in grado di effettuare le due operazioni forse cardine del GDPR: una rivolta all’esterno, cioè ai soggetti interessati, una all’interno, al cuore della struttura privacy dell’ente.
Partiamo dall’esterno. Dopo aver analizzato in maniera compiuta i propri trattamenti, l’ente è ora in grado di redigere le informative, il punto di contatto con gli interessati.
Troppo spesso sottovalutata, quasi sempre non letta, generalmente incompressibile, questo documento è in grado di “raccontare” cosa fa l’ente e come lo fa, rispettando al contempo il principio di trasparenza e correttezza.
L’interessato, grazie all’informativa, dovrebbe essere in grado di conoscere ogni dettaglio di come verranno utilizzati i suoi dati, di quali sono i suoi diritti e come può esercitarli e, se richiesto, può consapevolmente esprimere il suo libero ed informato consenso.
L’informativa redatta dovrà sempre essere chiara e comprensibile: valutando chi è il pubblico di riferimento, il documento deve essere tarato su quei destinatari, evitando documenti di difficile lettura ma avvicinandosi il più possibile ai propri interessati.
L’informativa permette anche, se la base giuridica lo prevede, l’acquisizione contestuale del consenso. Potendo essere espresso solo a seguito di adeguata informazione, consenso e informativa viaggiano di pari passo.
Se il trattamento poggia la sua liceità sulla base giuridica del consenso scaturiscono ulteriori adempimenti per l’ente.
Il GDPR richiede infatti che il titolare debba essere sempre in grado di dimostrare l’avvenuta acquisizione del consenso.
Misure organizzative dunque: conservazione e archiviazione che permettano di risalire a quell’interessato, garantendo all’ente la possibilità di dimostrare in ogni momento che il consenso è stato correttamente acquisito.
Enti del terzo settore e GDPR: l’importanza della formazione
A questo punto l’ente ha analizzato la sua struttura privacy e prodotto la documentazione obbligatoria. Occorre ora rispettare un principio fondamentale del nuovo impianto europeo: il rispetto dell’integrità e della riservatezza dei dati che si traduce nell’applicazione delle necessarie misure di sicurezza, tecniche e organizzative, in grado di tutelare il dato personale.
Considerata la struttura peculiare degli enti probabilmente questo diventa un punto ostico e di difficile applicazione. Lavorando con risorse esigue, con tanti volontari in continuo cambiamento, in sedi spesso “mobili” (banchetti, fiere, stand ecc.), diventa molto difficile garantire sempre la sicurezza dei dati.
Tuttavia, la discrepanza tra un dato protetto e uno a rischio a volte si basa su piccoli accorgimenti, anche organizzativi, che potrebbero fare la differenza. Un volontario o un dipendente formato, consapevole dei dati trattati e della delicatezza degli stessi porrà più attenzione all’invio, ad esempio, di quei dati tramite e-mail, al loro caricamento su chiavette usb o dispositivi removibili. Un volontario o dipendente formato e informato riconoscerà subito un data breach, avviando tempestivamente la valutazione e la successiva procedura imposta dal regolamento europeo.
Primo step, quindi, la formazione di chi materialmente tratta i dati: le risorse umane sono la prima e più importante difesa e la prima e più importante vulnerabilità, dunque un piccolo investimento su questo aspetto potrebbe rappresentare un’efficace misura di sicurezza.
Sensibilizzare diventa pertanto di primaria importanza: approfondire le novità introdotte dal GDPR, calare queste novità sulla realtà degli enti, saper individuare un data breach e saper gestire adeguatamente una richiesta di esercizio da parte degli interessati, tutti aspetti che affronteremo in una giornata gratuita dedicata agli enti del terzo settore il 21 novembre a Reggio Emilia[1].
Enti del terzo settore e GDPR: le linee guida interne
Accompagnata alla formazione, la stesura di procedure o linee guida interne rappresenta un’altra efficace misura altrettanto economica: come gestire i nuovi volontari; come gestire il dato cartaceo; come gestirne l’archiviazione; come dismettere gli asset informatici. Ogni aspetto della vita dell’ente, riferito chiaramente alla gestione dei dati, potrebbe e dovrebbe essere regolamentato, privilegiando innanzitutto gli aspetti più critici ed esposti a violazioni.
Evitare, dunque, approssimazione. Il volontario che “imparerà in autonomia” cosa fare e come farlo, il dipendente che “improvviserà” le modalità di gestione di un determinato processo, il tecnico informatico esterno “di cui ci si fida ciecamente”: sono tutte criticità che potrebbero esporre l’ente a violazioni, anche accidentali e commesse in buona fede.
Enti del terzo settore e GDPR: misure tecniche di sicurezza
Accanto a queste prime e basilari misure di sicurezza organizzative vanno sicuramente implementate quelle tecniche, che dovranno essere valutate caso per caso in funzione della tipologia di dati trattati, degli strumenti utilizzati e della modalità di gestione del dato.
Unica accortezza, diffidare dalla mera e semplice applicazione delle ormai datate misure minime di sicurezza dell’allegato B del Codice della Privacy. Applicarle senza un’attenta valutazione, seguirle diligentemente senza capirne l’affidabilità in base ai trattamenti effettuati significa applicare delle misure che potrebbero essere insufficienti.
Per poter valutare in maniera accorta le misure da implementare è necessario un processo di audit, rivolto ai trattamenti effettuati, che consenta al titolare di capire la criticità del trattamento e di implementare le necessarie misure.
Questi aspetti sono l’espressione del principio di accountability, novità assoluta introdotta dal GDPR che spinge verso la responsabilizzazione dell’ente stesso. Cosa comporta questo nuovo principio? Come sancisce il GDPR, il titolare deve adottare le misure di sicurezza tecniche e organizzative adeguate a proteggere i suoi dati e deve essere sempre in grado di dimostrare la bontà delle sue scelte e decisioni.
Il titolare, cioè l’ente nel suo complesso, dovrà quindi essere sempre in grado di dimostrare che i dati personali da lui gestiti siano protetti.
Chiaramente ogni ente dovrà intraprendere un suo specifico percorso che tuttavia presenta una base comune: avviare un processo di adeguamento progressivo che tenga sicuramente conto delle dimensioni e caratteristiche, anche economiche, dell’ente ma che si programmi di tutelare, sempre di più, i dati personali trattati.
Di seguito alcuni dei punti da considerare quando si inizia un percorso di adeguamento
- tipologia e affidabilità di antivirus e firewall;
- tipologia, tempistiche e struttura dei backup;
- sicurezza dei sistemi in cloud utilizzati;
- tipologia di password per l’accesso ai sistemi e tempistiche di rinnovo;
- gestione degli archivi cartacei e tutela degli stessi;
- protezione fisica e informatica del server;
- procedure e buone prassi per la gestione dei dati personali;
- formazione continua per il personale coinvolto nei vari trattamenti.
È altresì importante che, accanto a tali esemplificative misure, si inizia a produrre la documentazione necessaria per poter valutare e dimostrare in maniera compiuta le caratteristiche dell’impianto privacy dell’ente stesso.
Come raggiungere la piena compliance al GDPR
Concluso il percorso di adeguamento, l’ente potrà puntare al raggiungimento della piena compliance al GDPR, rispettando tutti i principi sanciti dal regolamento: liceità, trasparenza e correttezza; limitazione delle finalità; minimizzazione dei dati; limitazione del periodo di conservazione; esattezza e aggiornamenti dei dati personali; integrità e riservatezza.
Ma come garantirne il rispetto? Nella seguente tabella un breve schema per comprendere cosa indicano i vari principi e le misure principali da adottare per rispettarli.
PRINCIPIO | RISPETTO | MISURA DA ADOTTARE |
Liceità, trasparenza e correttezza | Ogni trattamento dovrà essere:
| Valutazione precedente alla raccolta del dato per determinare quale base giuridica rende lecito il trattamento e impostare una adeguata informativa |
Limitazione delle finalità | In informativa dovranno indicare le finalità del trattamento: tali finalità diverranno i limiti entro i quali i dati personali devono essere raccolti e utilizzati. | Adozione di procedure o linee guida che impediscano di utilizzare i dati per finalità diverse |
Minimizzazione dei dati | Per impostazione predefinita devono essere raccolti solo i dati necessari a raggiungere la finalità indicata in informativa: chiedere ad esempio un numero di telefono per l’iscrizione ad una newsletter è in palese violazione di questo principio | Ogni trattamento dovrà essere valutato per capire, prima di iniziare la raccolta, quali dati possono essere raccolti |
Limitazione del periodo di conservazione | I dati non devono essere conservati per un periodo superiore a quello necessario per tale scopo o per tali finalità. | Occorre valutare, se possibile prima della raccolta del dato, per quanto tempo i dati dovranno essere conservati. Successivamente occorre impostare una regola o procedura che permetta la cancellazione degli stessi trascorso il tempo prestabilito. |
Esattezza e aggiornamento | I dati devono essere raccolti e se necessario aggiornati. | Impostare una procedura che permetta, in caso di comunicazione da parte degli interessati, di aggiornare tempestivamente i dati e di effettuare, periodicamente, un controllo sugli stessi |
Integrità e riservatezza | L’ente dovrà adottare le misure, tecniche e organizzative, adeguate a tutelare i dati e deve essere sempre in grado di dimostrarne l’efficacia | Occorre avviare, dove non ancora intervento, un percorso di adeguamento al regolamento europeo che dovrà prevedere, in maniera constante e continuativa nel tempo, una valutazione sistematica delle misure di sicurezza, tecniche e organizzative, adottate per poter sempre dimostrare che siano adeguate. |
Con i passaggi su indicati e questo breve e sintetico prospetto un ente del terzo settore ha un quadro d’insieme di cosa fare per raggiungere la compliance al GDPR.
Questo percorso, oltre a rendere più sicura l’infrastruttura, informatica e non dell’ente, consente di evitare le sanzioni, inasprite dal nuovo regolamento europeo.
Esemplificativa risulta, a tal riguardo, la multa comminata dal Garante portoghese ad un’azienda ospedaliera per una inadeguata politica di accesso al dato: psicologi, infermieri e medici di qualsiasi reparto potevano non soltanto accedere, ma anche modificare con estrema facilità e in totale assenza del principio di necessità i dati personali e sanitari contenuti nelle cartelle di tutti pazienti.
Risultato, 400.000 euro di sanzione. Questo rappresenta una costante per i vari enti: dipendenti e volontari accedono, spesso, indistintamente ai dati personale degli iscritti/tesserati.
Potrebbe, inoltre, essere sufficiente una singola violazione per esporre l’ente a gravissimi danni d’immagine e a gravi perdite economiche e finanziarie: le sanzioni da un lato e le risorse, anche umane, da spendere per ripristinare la sicurezza.
Da qui si comprende la portata dell’adeguamento privacy: non un mero aggiornamento documentale ma un percorso strutturato che consente all’ente di lavorare in sicurezza e di evitare danni potenzialmente molto elevati.
Conclusioni
Comprendere appieno questo percorso è dunque alla base per poter iniziare il cammino verso l’adeguamento.
Per questo il 21 novembre 2019 alle ore 9.00, presso Hotel Remilia a Reggio Emilia si terrà un incontro gratuito per tutti gli enti del terzo settore, organizzato da 01 S.r.l., dove discuteremo e affronteremo le azioni da attuare da parte degli enti del terzo settore per raggiungere l’adeguamento al Regolamento Europeo. Per info e iscrizioni è sufficiente contattare l’indirizzo e-mail dell’organizzazione o iscriversi a questo indirizzo.
NOTE
- L’incontro, gratuito, è aperto a tutti gli ETS. Si terrà il 21 novembre presso Hotel Remilia, a Reggio Emilia, dalle ore 9.00 alle ore 13.00. Info e iscrizione a questo indirizzo. ↑