I colloqui dei detenuti, via video chiamata, sono meno riservati di quelli tradizionali. Un intervento del Garante privacy e del Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale oggi ha portato alla luce questo problema.
Sono state segnalate più volte occasioni in cui le video chiamate non si sono svolte rispettando la riservatezza. Come spiega Francesco Maldera, Data protection officer e Data specialist, va sottolineato che “in talune fattispecie, ancora più delicate, alle garanzie generali di riservatezza è doveroso aggiungere particolari accorgimenti volti a bilanciare necessità di legalità ed ordine pubblico”.
Per l’avvocato Riccardo Berti, cause principali di questa situazione sono il contesto e la mancanza di strumenti adeguati: “La pandemia ha sconvolto anche la vita del carcere, spesso incidendo, in negativo, sulla qualità della vita dei detenuti e alcune volte addirittura sulle loro possibilità di difesa. L’assenza di infrastrutture (PC e licenze) e di spazi idonei per lo svolgimento dei colloqui, hanno reso molto difficile la gestione di questo essenziale frangente della vita dei detenuti durante la fase emergenziale nelle strutture carcerarie”.
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Video call in carcere, la situazione
Già prima della pandemia, come indicato dalla circolare 0031246 del 30 gennaio 2019 della Direzione dell’Amministrazione penitenziaria, ai detenuti è stata data la possibilità di svolgere i colloqui via Skype per semplificare le operazioni. La digitalizzazione dei processi ha permesso di facilitare la situazione, si pensi per esempio al caso di parenti residenti in posti lontani dal carcere di dover affrontare il viaggio per raggiungere il proprio congiunto.
A tal fine, era stato predisposto anche un manuale operativo con tutte le indicazioni del caso per svolgere in modo sicuro le chiamate tramite la piattaforma. Con l’avvento dell’emergenza sanitaria e le conseguenti restrizioni personali, la necessità di ricorrere alla tecnologia per comunicare con l’esterno del carcere si è acutizzata. E sono arrivate anche segnalazioni di presunte irregolarità.
Le raccomandazioni dei Garanti privacy e dei detenuti
I Garanti dunque hanno richiamato le direzioni degli istituti penitenziari a rispettare “alcune essenziali garanzie per la tutela della riservatezza delle persone detenute” che utilizzano le piattaforme per le video call per comunicazioni o colloqui.
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Inoltre, raccomandano di predisporre postazioni per i collegamenti che permettano al personale di controllare a distanza l’andamento del colloquio, “avvicinandosi allo schermo solo per procedere alle necessarie operazioni di identificazione degli interlocutori, senza tuttavia ascoltare la conversazione”, ovviamente a meno di eventuali provvedimenti ad hoc dell’Autorità giudiziaria.
I Garanti hanno inoltre raccomandato di identificare l’interlocutore all’inizio e alla fine della conversazione, abbandonando però in modo tempestivo “l’ambiente di comunicazione per garantire la riservatezza della conversazione”.
Le contraddizioni dei collegamenti audio-video
Certamente, durante i colloqui sono trattati dati personali, come spiega il DPO Francesco Maldera: “I volti, le parole, la voce già da soli sono riferibili a persone fisiche e, quindi, coerenti con la definizione dell’art. 4 del GDPR. Se, poi, si considera che vengono trattati insieme ai dati utilizzati per stabilire la connessione ovvero ai numeri di telefono, all’indirizzo e‑mail o ad altri identificativi, la riferibilità diventa ancora più immediata. Quindi, questi strumenti, comodi ed utili, devono offrire tutte le garanzie (misure tecniche ed organizzative, dice il GDPR) per tutelare i diritti e le libertà degli individui proteggendo i loro dati personali”.
Non mancano tuttavia i fronti critici: “Occorre dire che il colloquio in presenza, una volta identificato l’interlocutore del detenuto, non comporta particolari problemi se si osserva l’art. 18 della legge 354/1975 che prevede che i colloqui si svolgano in appositi locali sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia”. La legge, commenta Maldera, “stabilisce questo tipo di controlli per motivi di sicurezza (scambio di documentazione o di oggetti). Nei colloqui a distanza tale necessità è ancora più cogente se si pensa che, in mancanza di un controllo visivo, esiste la possibilità che l’interlocutore cambi in corsa e, quindi, che il detenuto possa parlare con un soggetto diverso dal familiare (per esempio un affiliato ad una associazione criminale). In questo momento, quindi, le Direzioni degli istituti di pena hanno ragionato consentendo all’operatore di polizia penitenziaria di avvicinarsi fisicamente alla postazione con grave compromissione della riservatezza rilevata, appunto, dalle due autorità”.
La legge però in alcuni casi è stata violata: “Se tradurre questo controllo nel mondo digitale è complesso, questa complessità non può certo finire per trasformarsi in un escamotage che sacrifichi il diritto alla riservatezza dei detenuti”, ha commentato Berti.
Video call in carcere e privacy, possibili soluzioni
Necessario dunque apportare cambiamenti organizzativi, per la compliance alla normativa privacy. Le strade suggerite da Maldera sono due: “dotazione delle singole postazioni di auricolare e microfono per evitare la diffusione audio dei contenuti del colloquio oppure dotazione di maxischermi in visione agli operatori di polizia penitenziaria che proiettino in continuo i riquadri degli interlocutori delle postazioni per controllare la permanenza dello stesso interlocutore. Certamente, come per tutte le misure di garanzia, occorre un investimento adeguato che, tuttavia, appare ormai ineludibile”.