DATA PROTECTION

Data masking: cos’è e perché è utile a evitare sanzioni GDPR

Nello sviluppo di processi aziendali o procedimenti amministrativi occorre spesso condividere dati personali contenuti nei propri database, ma questo aumenta il rischio di data breach. Un’efficace soluzione è costituita dal data masking, misura tecnica per l’offuscamento dei dati. Ecco di cosa si tratta

Pubblicato il 30 Set 2021

Giuseppe Alverone

Consulente e formatore Privacy. DPO certificato UNI 11697:2017

Data masking cos'è e a cosa serve

Una delle misure tecniche più efficaci per ridurre l’esposizione dei dati aziendali è sicuramente quella del data masking che, in parole semplici, consiste nel “mascherare” i dati sensibili originali con altri fittizi generati mediante procedure di offuscamento, anonimizzazione e pseudonomizzazione in modo da renderli, ad esempio, non correlabili con l’identità originaria di un interessato pur garantendo la fruibilità delle informazioni.

Per comprendere l’utilità di adottare misure tecniche di data masking basti pensare che le imprese e le PA nello sviluppo dei processi aziendali o dei procedimenti amministrativi devono spesso condividere grandi quantità di dati personali, contenuti nei loro database, con utenti cosiddetti “non di produzione”, che possono essere interni – chiamati a svolgere attività di formazione o sviluppo di applicazioni – o anche esterni cioè “outsourcers” nel ruolo di responsabili del trattamento di dati personali. Tra questi ultimi vi sono anche le organizzazioni che eseguono manutenzione delle applicazioni o analisi aziendali per finalità di marketing o di ricerca.

Si tratta di attività che, seppur necessarie, allargano il perimetro di sicurezza delle imprese e delle P.A., aumentando l’esposizione dei dati e, conseguentemente, il rischio di data breach che comporta l’obbligo di notifica al Garante e, nella maggior parte dei casi, anche la comunicazione agli interessati, con rilevante impatto anche sulla reputazione della impresa o della P.A. coinvolta e sulla fiducia dei rispettivi clienti/utenti.

Assume quindi un’importanza strategica ridurre l’esposizione dei dati personali, mantenendone l’usabilità per scopi non di produzione.

Quali sono le possibili soluzioni?

Pseudonimizzazione e GDPR: le difficoltà tecniche e applicative per le aziende

Le indicazioni del GDPR

Il GDPR che pone disposizioni di carattere “generale” e molto spesso “generiche”, su questo particolare aspetto, non si limita genericamente a prescrivere ai titolari l’obbligo di mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio ma entra nel dettaglio, offrendo alcune specifiche indicazioni utili e necessarie non solo per realizzare la compliance normativa – ed evitare così pesanti sanzioni – ma anche per offrire prodotti e servizi di qualità e salvaguardare il posizionamento competitivo, la reputazione dell’impresa e la fiducia dei clienti/utenti.

Infatti, non a caso, l’art. 34, paragrafo 3, lettera a) GDPR prevede che, in occasione di un “data breach”, l’impresa o la P.A. titolare del trattamento dei dati, non sia tenuta a darne comunicazione agli interessati, se proattivamente aveva messo in atto le misure tecniche e organizzative adeguate di protezione, destinate a rendere i dati personali incomprensibili a chiunque non fosse a autorizzato ad accedervi.

Questa disposizione è complementare al Considerando 28 GDPR che sottolinea come l’applicazione della pseudonimizzazione ai dati personali possa ridurre i rischi per gli interessati e aiutare i titolari del trattamento e i responsabili del trattamento a rispettare i loro obblighi di protezione dei dati.

Per pseudonimizzazione si intende “il trattamento dei dati personali in modo tale che i dati personali non possano più essere attribuiti a un interessato specifico senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive, a condizione che tali informazioni aggiuntive siano conservate separatamente e soggette a misure tecniche e organizzative intese a garantire che tali dati personali non siano attribuiti a una persona fisica identificata o identificabile”[1].

Pseudonimizzazione e tecniche di hashing per la protezione dei dati: strategie, rischi e soluzioni

Più semplicemente la pseudonimizzazione consiste nell’assegnare ad un dato personale (ad esempio un nominativo) uno pseudonimo (ad esempio il numero di protocollo della pratica riguardante l’interessato) che non dà la possibilità di identificare l’interessato, se non consultando il registro di protocollo che associa il nominativo al numero di protocollo della pratica.

Generalmente, per ottenere la pseudonimizzazione, si assegna uno pseudonimo digitale – in genere una funzione di hash – che cifra i dati personali, creando una relazione biunivoca certa fra i dati personali cifrati e l’interessato, il quale rimane sempre identificabile tramite la chiave di decifratura.

La pseudonimizzazione è ritenuta dal GDPR una misura davvero molto efficace, tanto che è specificamente raccomandata negli artt. 25, paragrafo 1 – 32, paragrafo 1, lettera a) – 40, paragrafo 2, lettera d) e 89, paragrafo 1.

Il quadro di indicazioni utili e necessarie è completato dal Considerando 26 GDPR che stabilisce che i principi di protezione dei dati non si applicano a dati personali resi sufficientemente anonimi da impedire o da non consentire più l’identificazione dell’interessato.

Si tratta dell’anonimizzazione del dato personale cioè dell’eliminazione delle caratteristiche che consentono di correlare il dato all’interessato e quindi identificarlo.

Pseudonimizzazione e anonimizzazione dei dati: differenze tecniche e applicative

La misura tecnica del data masking

Sia la pseudonimizzazione che l’anonimizzazione comportano quindi l’offuscamento, il mascheramento dei dati personali con dati fittizi che non consentono l’identificazione immediata degli interessati. Invero, l’identificazione degli interessati con la pseudonimizzazione è ancora possibile tramite una chiave di decifratura, mentre con l’anonimizzazione viene impedita o non più consentita.

Questo particolare risultato si può ottenere, per l’appunto, applicando il data masking, i.e. un processo che consente di ottenere un “mascheramento”, sostituendo in modo permanente i dati personali “reali” conservati nel repository dell’organizzazione con dati fittizi, che non sono più “reali” ma “realistici” cioè rappresentativi dei dati da cui sono stati originati, dei quali conservano l’“integrità referenziale” e quindi l’”aspetto funzionale”, cioè la possibilità di eseguire in modo affidabile analisi, test, formazione, ricerca e sviluppo.

Tali dati, una volta mascherati, sono irreversibili cioè non è più possibile recuperare o accedere ai dati reali originali che restano così protetti e riservati.

Il data masking è una misura tecnica già globalmente diffusa nel mondo aziendale, molto prima dell’emanazione del GDPR, al fine di proteggere le seguenti tipologie di “dati sensibili” comunemente usati per realizzare gli obiettivi di business delle imprese:

  • PII (Personally Identifiable Information): informazioni di identificazione personale;
  • PHI: (Protected health information): informazioni sanitarie protette;
  • PCI-DSS (Payment Card Industry Data Security Standard) informazioni sulla carta di pagamento, rectius: un insieme di requisiti stabilito per garantire la sicurezza delle informazioni dei titolari di carte di pagamento.

Tipologie di data masking

Per mascherare i dati ci si può avvalere di specifici tools, anche open source, che funzionano secondo le seguenti due modalità:

  • statica (Copy Then Mask) Si crea una replica del database corrispondente a quella originale, tranne che per i campi che devono essere mascherati. Quindi i dati vengono mascherati in modo permanente ed irreversibile;
  • dinamica (Mask While Copy): i dati originali rimangono nel repository e sono accessibili a un’applicazione che autorizzata dal sistema agisce sugli stessi dati “runtime”, oscurandoli. Solo gli utenti autorizzati possono vedere i dati reali.

Tecniche di data masking

Le tecniche di data masking, usualmente adottate da tempo dalle aziende in tutto il mondo, che vanno sempre adattate alle particolari esigenze organizzative e produttive, sono:

  • la sostituzione (substitution): vengono sostituiti i dati originali di produzione con dati casuali estrapolati da un set di dati simili prestabilito;
  • il rimescolamento (shuffling): è una tecnica simile alla sostituzione; utilizza un set di dati al posto di un altro, spostando i valori tra le righe. Il set di output sembra composto da dati autentici ma non rivela alcuna informazione personale reale;
  • la variazione di numero e data (number and data variance): si modificano i valori esistenti in un intervallo specificato al fine di offuscarli (e.g.: una data di nascita può essere modificata in un intervallo di tempo di più o meno 120 giorni);
  • la crittografia (encryption): i dati vengono mascherati tramite un algoritmo di crittografia. Questa tecnica non sempre viene usata poiché comporta la perdita di integrità referenziale e la conseguente inutilizzabilità dei dati mascherati per test ed analisi;
  • l’annullamento/cancellazione (nulling out or deletion): con questa tecnica si rimuovono semplicemente i dati personali eliminandoli. In pratica vengono sostituiti i dati con un valore nullo. Non è adatta per l’esecuzione di analisi e test poiché nel processo si perde l’integrità referenziale;
  • la mascheratura (masking out): con questa tecnica, viene mascherata solo una parte dei dati originali. Comporta gli stessi effetti dell’annullamento poiché non è efficace per test ed analisi. Ad esempio nei siti di e-commerce ai clienti vengono mostrate solo le ultime 4 cifre del numero della carta di credito per prevenire le frodi.

Il processo di mascheramento

Il processo di mascheramento dei dati personali, sia esso statico o dinamico, viene disegnato ed implementato, prendendo in genere come riferimento il seguente un modello ciclico:

  • individuazione dei dati da mascherare: innanzitutto deve essere analizzato il database per scoprire ed individuare i dati personali che devono essere mascherati, nonché le relazioni e i vincoli di integrità referenziale che devono essere conservati al termine del processo, al fine di rendere i dati usabili per test ed analisi. Questo adempimento potrà essere agevolmente realizzato se l’impresa o la P.A. ha adottato una efficace politica di sicurezza delle informazioni che dovrà necessariamente prevedere[2] la classificazione, l’etichettatura e la gestione delle informazioni secondo un determinato disegno che preveda diversi livelli di accessibilità/disponibilità (non ristretta – ristretta – confidenziale – segreta – Top) per rendere massimo il livello di attendibilità/affidabilità (il c.d. Trustworthiness);
  • esame della situazione: per verificare la posizione dei dati e scegliere la tecnica di mascheramento più adeguata alle esigenze organizzative e produttive;
  • implementazione del mascheramento: facendo ricorso a metodi irreversibili (funzioni di hash), sviluppando processi ripetibili ed utilizzando algoritmi per mascherare i dati personali e sostituirli con dati strutturalmente identici ma numericamente diversi. E.g., il codice fiscale di una persona dopo il mascheramento riporterà valori diversi ma conserverà la struttura caratteristica del codice fiscale;
  • risultati del mascheramento dei dati: al termine del processo ci si dovrà assicurare che:
  1. i dati mascherati sono irreversibili, ovvero non sia possibile risalire dal dato mascherato a quello originale (funzione di hash);
  2. i dati mascherati conservino l’integrità relazionale così da risultare sufficientemente realistici e quindi utili per scopi “non di produzione” come analisi, test, ricerca e sviluppo.
  3. le applicazioni continuino a funzionare con i dati mascherati.

 

NOTE

  1. Art.4, paragrafo1, n.5 GDPR.

  2. Vds. UNI CEI EN ISO/IEC 27001:2017.

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