Il caso

Cookie wall dei giornali, scoppia il caso: al lavoro il Garante privacy

Il Garante privacy italiano è intervenuto in seguito a diverse segnalazioni per approfondire la liceità del cookie wall, cioè la richiesta di consenso avanzata da alcuni giornali online di accettare sistemi di tracciamento in cambio dell’accesso a contenuti normalmente riservati agli abbonati: un tema su cui urge far luce

Pubblicato il 21 Ott 2022

Nicoletta Pisanu

Redattrice Cybersecurity360

Cookie terze parti

Cookie wall per la profilazione in cambio di servizi, si può fare o forse no? L’iniziativa di molte testate giornalistiche è ora sotto la lente del Garante privacy, per capire se la pratica è legale.

Infatti l’autorità ha comunicato di star esaminando, alla luce della normativa attuale, la liceità dell’iniziativa intrapresa da molti giornali online, che prevede il consenso all’installazione dei cookie da parte degli utenti in alternativa al classico obbligo di sottoscrizione dell’abbonamento per accedere ai contenuti. Il 21 ottobre il Garante privacy ha comunicato di aver avviato una serie di istruttorie per accertare la compliance delle iniziative alle norme UE.

Una situazione complessa: “Occorre fare chiarezza, perché chiarezza ad oggi non c’è e ci sarebbe da interrogarsi sullo stesso senso delle nostre attuali preoccupazioni sull’utilizzo odierno di tali sistemi”, ha commentato l’avvocato Andrea Lisi. Per Anna Cataleta, senior partner di P4I, si tratta di “una pratica ambigua e che può compromettere la trasparenza nei confronti degli utenti. Pertanto, non si può che accogliere con favore questa nuova iniziativa del Garante, auspicando che vengano forniti dei chiarimenti”. 

Cookie, le nuove linee guida del Garante Privacy: suggerimenti pratici per le aziende

Cookie wall, cosa dice il Garante privacy

Negli ultimi anni si è diffuso l’utilizzo del paywall, cioè un filtro che blocca l’accesso ai contenuti di una testata online, riservati agli abbonati: per superare la barriera e leggere gli articoli, è necessario in tal caso sottoscrivere un abbonamento. Nei giorni scorsi però è comparsa una possibilità di alternativa. Se non si vuole sottoscrivere l’abbonamento, si può scegliere di rilasciare il proprio consenso all’installazione di cookie e altri strumenti di tracciamento dei dati personali. È questo il cookie wall, su cui il Garante privacy sta lavorando per far luce.

Spiega una nota ufficiale che l’autorità “anche a seguito di alcune segnalazioni, sta esaminando tali iniziative alla luce del quadro normativo attuale, anche al fine di valutare l’adozione di eventuali interventi in materia”.

In seguito, il Garante ha comunicato di aver rilevato che “la normativa europea sulla protezione dei dati personali non esclude in
linea di principio che il titolare di un sito subordini l’accesso ai contenuti, da parte degli utenti, al consenso prestato dai medesimi per finalità di profilazione (attraverso cookie o altri strumenti di tracciamento) o, in alternativa, al pagamento di una somma di denaro”, spiega in una nota ufficiale l’autorità. Tuttavia sono state avviate diverse istruttorie “per accertare la conformità di tali iniziative con la normativa europea”.

Le linee guida del Garante sul cookie wall

Nelle linee guida dei cookie wall in vigore da gennaio scorso il Garante aveva già detto che sono vietati se il titolare del trattamento – i giornali in questi casi – obbligano ad accettare il cookie e la profilazione relativa in cambio dell’accesso al sito; ma è pratica permessa se danno accesso a servizi o contenuti equivalenti senza consenso.

Questione spinosa, dato che i giornali danno sì accesso comunque ma a pagamento. Proprio sul punto il Garante dovrà fare chiarezza.

Il valore del cookie wall

Numerose e famose testate online generaliste hanno avviato l’iniziativa sui propri portali, chiedendo l’autorizzazione a tutti i cookie “evidentemente, non solo quelli tecnici, ma anche quelli di profilazione e di terze parti”, commenta Lisi, “di fatto, riconoscendo un valore economico e, dunque, monetizzando i dati personali degli utenti. È stato tutto portato avanti effettivamente in modo un po’ grossolano, oserei dire goffo, e questo la dice lunga sullo stato della privacy in Italia”.

“Forse questi cookie wall sono recepimento della direttiva 770 in Italia sulla remunerazione dei dati a fronte di servizi di proprietà intellettuale”, aggiunge Anna Cataleta. “Qualcosa che è accettata altrove nel mondo”.

Perché gli editori applicano il cookie wall

Per Anna Cataleta, tale pratica “può essere interpretata come una risposta da parte degli editori per cercare di contrastare le misure di blocco ai cookie di terze parti e le limitazioni applicate a servizi specifici (si vedano le recenti decisioni su Google Analytics) che possono compromettere i modelli di business di tali società”. Tuttavia, Cataleta sottolinea l’ambiguità della pratica. 

Nuovi cookie wall del giornali: è legale?

Per Lisi “occorre però essere anche chiari e schietti su questi argomenti tabù, perché da una parte non ci stupiamo più se Alexa ci dà la sensazione di spiarci o se Google o Facebook ci consigliano il prodotto di cui stavamo discutendo con amici un minuto prima e magari accettiamo allegramente app come Deep Face (o ci innamoriamo di video deepfake), e dall’altra parte abbiamo favorito spensieratamente il più potente ecosistema economico che si mantiene e manutiene a livello internazionale sulle nostre identità digitali e i nostri dati personali”.

Insomma, bisogna chiedersi se “ha davvero senso oggi storcere il naso o bacchettare un editore del web che si comporta in modo un po’ grossolano, mentre – lo ripeto – parte del mondo si serve di sistemi sofisticatissimi di profilazione e manipolazione di massa?”. Ben venga quindi l’intervento dell’autorità: “Forse il Garante italiano, ma sarebbe meglio se poi questa questione possa essere portata sui tavoli europei, potrebbe cogliere quest’occasione per illuminare la strada con un’interpretazione evolutiva, che tenga conto di tutto il quadro normativo europeo”.

Una questione europea

Lisi ricorda che “già Giovanni Buttarelli, nel suo ruolo di Garante europeo, nel parere 2016/C 463/10, aveva chiaramente fatto luce su questa ipocrisia e auspicando maggiore trasparenza sulla monetizzazione dei dati degli utenti. Quindi, o con nettezza a livello europeo rendiamo totalmente illegittimi (ammesso che sia possibile) certi servizi divenuti ormai essenziali per la nostra sopravvivenza digitale e che a loro volta sopravvivono mercificando in modo poco trasparente le nostre esistenze oppure favoriamo e pretendiamo da tutti trasparenza, autorizzando anche monetizzazioni consapevoli dei dati personali degli utenti di servizi”.

Attivismo e ambiguità normativa

L’economia digitale per Lisi è infatti senza nazione “e non si possono indirizzare logiche molto garantiste solo da una parte e poi accettare che il resto del mondo faccia tutt’altro su un territorio che è per sua natura – appunto – senza confini. Certe battaglie che si portano avanti con genuino attivismo digitale in questi giorni, tra cui la lotta un po’ talebana verso Google Analytics, mi fanno sorridere amaramente. Peraltro sulla monetizzazione dei dati c’è anche evidente ambiguità normativa e, nella stessa Europa, coesistono approcci e comportamenti profondamente diversi”.

Forse “questi stessi editori che oggi sbeffeggiamo un po’ schizzinosamente avrebbero meritato maggiore chiarezza, almeno per comprendere se politiche di monetizzazione dei dati personali degli utenti portate avanti in modo certamente più chiaro e lineare, quindi, trasparenti e granulari nella gestione dei consensi, siano da ritenersi consentite nel nostro Paese (e in Europa) oppure debbano ritenersi (magari per tutti) assolutamente vietate. Credo che meritiamo tutti maggiore chiarezza e magari un pizzico di coraggio in più”. 

Articolo pubblicato il 18 ottobre 2022 e aggiornato il 21 ottobre 2021 in seguito alla comunicazione del Garante privacy

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