La crescita esponenziale dell’utilizzo di internet e dei social media ha indotto le persone a un aumento nella diffusione e condivisione di informazioni on line. Informazioni che spesso ricadono nella sfera della privacy personale.
Quando la diffusione da parte di parenti e genitori di dati online, immagini, video dei loro bambini diventa forsennata, ossessiva o minuziosamente continua anche a fine di aumento dei like o del numero di follower, allora si ricade nella casistica dello sharenting. Si tratta di una pratica diffusa, che spesso sfugge alle normali regole di buonsenso, scade nell’abuso e nel peggiore dei casi “scopre il fianco” a predatori di minori.
La normativa per la tutela in questo particolare fenomeno è poco specifica e quindi considerabile carente, ma vi sono iniziative per ristabilire almeno una serie di linee guida e di accorgimenti per i genitori per orientarli ad una maggiore tutela dei minori e della loro esposizione online.
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L’insidia dello sharenting e i suoi rischi
I social network, le chat online per la messaggistica istantanea, i gruppi online, e i siti che offrono spazi di condivisione, sono stati negli anni sempre più frequentati da fasce crescenti di popolazione senza che questi utenti fossero accompagnati da una vera e propria educazione all’uso di tali strumenti digitali.
Il risultato principale è stata la crescita, duplicazione e moltiplicazione perpetua di dati personali on line, in forma di dati personali digitalizzati, immagini, video, audio.
Ma se questa mole di dati ha fatto sorgere ragionamenti sulla tutela e la sicurezza dei social network per gli utenti adulti, il tema in relazione ai minori è stato meno dibattuto. Anzi, l’attenzione alla privacy dei minori, in particolare di quelli minorenni, che sono oggetto di “condivisione”, è stata minima. Perlomeno fino ad oggi.
Infatti, da qualche tempo la condivisione forsennata, ossessiva e fuori controllo di immagini di minori on line ha un nome: sharenting. Valentina Fiorenza, avvocato e consulente legale spiega che il termine “sharenting deriva dall’unione del verbo inglese “to share” condividere, e la parola “parenting”, genitorialità e indica, in sostanza, la pratica di molti genitori di condividere in maniera costante, e a tratti ossessiva, ogni momento della vita dei propri figli, soprattutto piccolissimi“.
Un comportameno ad alto rischio. “Si, perché può avere effetti particolarmente insidiosi e pericolosi per il minore. In primo luogo, lo sharenting realizza una esposizione ai predatori sessuali. Essa deriva, da un lato, dalla possibilità che le immagini di bambini e bambine vengano sottratte e riutilizzate come materiale da scambiare con altri pedofili o per le creazioni di deep fake a contenuto pedopornografico; dall’altro dalla condivisione di informazioni molto precise, su gusti, spostamenti, luoghi frequentati, cerchia sociale del minore, può aiutare il predatore sessuale, nel caso di tentativo di avvicinamento del bambino o della bambina, a vincere le sue resistenze”.
Ma ci sono altri aspetti, tutt’altro che secondari. Spiega Valentina Fiorenza: “Il genitore, comportandosi in questo modo, forma un’identità del minore che potrebbe non corrispondere con quella che lo stesso vuole mostrare alla propria cerchia sociale. Ciò, da un lato, impedisce al minore la sua autodeterminazione, dall’altro, potrebbe esporlo, una volta diventato preadolescente o adolescente, ad episodi di prevaricazione da parte di coetanei come bullismo e cyberbullismo. Non sono da sottovalutare, in ultime eventuali problematiche che si potrebbero formare, in considerazione la prospettiva valoriale del consenso degli altri”.
I rischi elencati sono spesso sottovalutati dai genitori e parenti che potrebbero non avere una chiara conoscenza dei pericoli on line (grooming, adescamento, pedopornografia, cyberbullismo), e che potrebbero sottostimare anche i rischi nella relazione con il minore adolescente.
Una relazione soggetta a tensioni di tipo “naturale” quando dipendenti dalla crescita e trasformazione dell’individuo da bambino a individuo più conscio di sé; ma soggetta anche a potenziali tensioni derivanti proprio dall’immagine che l’adolescente vuole avere di sé nelle reti sociali e che potrebbe non gradire nella versione diffusa dal genitore o parente. Tanto da passare dalle liti alla denuncia. Vi sono stati casi in questo senso fin dal 2016, anno in cui una ragazza austriaca fece causa ai genitori per aver pubblicato oltre 500 foto di lei sul famoso social network Facebook senza il suo permesso (Fonte: la Stampa). Anche nel resto dell’Europa ci sono stati casi simili.
Aspetti normativi, lacune e profili di pena
Da un punto di vista legale, Valentina Fiorenza chiarisce che attraverso lo sharenting “potrebbero configurarsi profili di abuso nei confronti del minore che venga in qualche modo ‘costretto’ ad assumere certi atteggiamenti o ripetere dei comportamenti che ingenerino una soddisfazione nel genitore. In poche parole, se il bambino sa di fare felice il genitore mettendosi in posa o compiendo determinate azioni che verranno condivise sui social e dunque sarà ‘bravo’ perché la foto ha fatto ‘tanti like’, potrebbero ingenerarsi dei profili di abuso psicologico. Tuttavia, poiché si tratta di un fenomeno nuovo, è necessario comprenderne meccanismi ed effetti sulla psiche del bambino e sulla relazione tra bambino e genitore”.
Le norme in Italia e all’estero
In Italia ci sono leggi che regolano la pubblicazione di immagini (foto e video) altrui: la 633 del 1941, e una più recente, la 196 del 2003 (che tutela la privacy), ma è naturalmente il GDPR – Regolamento 2016/679, la norma più recente che tutela e articola la protezione dei dati personali.
Tuttavia, anche il GDPR pone il controllo della privacy digitale dei minori nelle mani dei genitori, indipendentemente dalla loro competenza digitale.
Sheila Donovan, per Peace Human Rights Goernance, ha definito questo punto del GDPR come un “tentativo affrettato di garantire la sicurezza online dei minori che non ne ha rispettato la privacy, in particolare di quelli minori che lo sono i membri più vulnerabili della nostra società e che hanno una maggiore presenza online, presenza ed esposizione al pericolo come risultato del networking online dei genitori” (Fonte: ‘Sharenting’: The Forgotten Children of the GDPR).
In Francia, invece sono le autorità a consigliare la non divulgazione in rete di foto dei loro bambini e di chiunque non dia il consenso alla pubblicazione, compresi maggiorenni amici e familiari. In caso di denuncia il rischio è legato alla detenzione fino ad un anno e ad una multa di 45 mila euro.
L’avvocato Fiorenza chiarisce come “al momento non paiono esserci profili di punibilità riferiti all’attività pura e semplice dello sharenting. Di questo fenomeno, per lo più, si stanno occupando le Autorità Garanti dei dati personali in relazione ai rischi derivanti dalla condivisione dei dati dei minori (si segnalano in proposito i report della CNIL francese e del Garante Privacy italiano). Alcuni studi teorizzano che le attività proprie dello sharenting potrebbero comportare alcuni tipi di abuso sui minori, tuttavia, poiché la questione è estremamente delicata, è necessario che venga analizzata in maniera interdisciplinare”.
In Italia l’attuale legislazione in tema di pubblicazione illecita, comporta la rimozione dell’oggetto alla reclusione (da sei mesi a tre anni, in caso di diffamazione o di trattamento illecito di dati), e il pagamento di un’ammenda non inferiore a 516 euro. Tuttavia, come si può osservare il riferimento alla pubblicazione illecita è generico e la punibilità è legata alla diffamazione o al trattamento illecito di dati. Non ci sono quindi specifiche casistiche legate allo sharenting.
La proposta di legge
Forse è a causa di questa lacuna nel corpus legislativo, ma comunque in Italia è stata presentata una proposta di legge per tutelare la privacy dei bambini protagonisti dei canali social dei loro genitori.
La proposta in esame alla camera da marzo di quest’anno è commentata negli aspetti salienti dall’avv. Fiorenza: “l’attuale proposta di legge contiene spunti decisamente interessanti, già in parte presenti nella legislazione francese, come quelli sulla necessità, per i genitori dei baby influencer, di mantenere i guadagni prodotti dal minore in un conto a lui intestato, vincolato e accessibile solo al compimento della maggiore età, oppure, per tutti, avere la possibilità di chiedere la cancellazione dei contenuti che li ritraggono, appena compiuti i 14 anni. Altre disposizioni potrebbero essere di difficile attuazione e poco pratiche da considerare nel mondo digitale”. Qui ci si riferisce alla proposta di obbligo di informazione all’AGCOM con una dichiarazione congiunta da parte dei genitori.
Quale che sarà l’esito della proposta di legge è certo che una maggiore riflessione sulla attuale generazione alpha e sulla sua privacy si rende necessario: i bambini di oggi hanno meno consapevolezza di un loro diritto, ma gli adulti, in cui si trasformeranno domani, potrebbero chiedere e pretendere una tutela retroattiva non tanto per infanzia negata, ma per un’infanzia inutilmente sovraesposta digitalmente.