In vista delle elezioni presidenziali americane che si terranno il prossimo 5 novembre e tenendo in considerazione gli interessi nevralgici e gli obiettivi strategici dell’industria tecnologica degli Stati Uniti, le aziende americane hanno incominciato a esternare le proprie preferenze.
Soprattutto dopo che, lo scorso 21 luglio, il presidente Joe Biden ha annunciato ufficialmente su X il proprio ritiro dalla corsa alle presidenziali, aprendo di conseguenza la questione su quale candidato del Partito Democratico sarà a succedergli.
La scelta ufficiale verrà presa durante la convention del Partito che si aprirà il 19 agosto a Chicago e si chiuderà il 22. Ma, sebbene i possibili concorrenti per guidare il Partito alle elezioni siano vari, la scelta più plausibile potrebbe ricadere sull’attuale vicepresidente Kamala Harris.
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I rapporti tra Partito Democratico e settore hi-tech
Kamala Harris, grazie alle sue radici californiane e i suoi legami ben saldi con parte dell’industria tecnologica, è vista come un’opportunità per far ripartire i rapporti tra il Partito Democratico e il settore tech.
A poche ore della comunicazione della rinuncia di Biden, il comitato ActBlue aveva registrato donazioni per un totale di 66,9 milioni di dollari.
La sua candidatura gode del sostegno di figure di spicco del settore tecnologico, tra cui: Sheryl Sandberg e Reid Hoffman attivi nel venture capital high tech; Reed Hastings, co-fondatore di Netflix, il quale ha donato 7 milioni di dollari a un super PAC pro-Harris; Ron Conway, uno dei principali venture capitalist nel settore tecnologico, il quale ha espresso pubblicamente il sostegno a Kamala Harris e aveva riferito direttamente alla Speaker della Camera Nancy Pelosi le sue preoccupazioni sulle performance di Biden durante l’ultimo dibattito televisivo; Bradley Tusk, altro venture capitalist, ha già annunciato una donazione di almeno 100 mila dollari, sottolineando come il supporto finanziario dipenderà dalla percepita viabilità della candidatura Harris; il cofondatore e presidente esecutivo di Linkedin, Reid Hoffman, ha appoggiato pubblicamente l’attuale vicepresidente, organizzandole il 19 luglio una riunione virtuale con 300 donatori del Partito Democratico.
L’industria tech sembra divisa tra chi suggerisce di attendere un chiaro segnale politico dalla Harris e chi, come Adam Kovacevich, ex dirigente Google, ritiene sia più saggio offrire subito il proprio sostegno per influenzare la sua agenda.
Il sostegno delle aziende high tech passa anche attraverso altre questioni importanti in termini di business, infatti, è necessario per le aziende conoscere in dettaglio l’agenda politica della Harris su temi come l’immigrazione qualificata, la tassazione e la regolamentazione dell’intelligenza artificiale e delle criptovalute.
Più volte in passato Harris ha criticato l’industria tech, soprattutto in merito alla questione del revenge porn, sia quando era Procuratore Generale della California sia da senatrice.
L’approccio di Kamala Harris alla regolamentazione dell’AI
Un punto su cui è necessario soffermarsi concerne l’approccio di Kamala Harris alla regolamentazione dell’intelligenza artificiale, il quale si fonda sulla necessità di una regolamentazione globale e di una maggiore responsabilità e trasparenza aziendale nel comunicare al governo i rischi più gravi associati ai loro sistemi.
Kamala Harris propende, tuttavia, per delle politiche che uniscano innovazione e protezione pubblica al fine di implementare una regolamentazione bilanciata, cercando di guidare lo sviluppo dell’IA in direzioni socialmente benefiche senza soffocare l’innovazione.
Resta da vedere come questo approccio si tradurrebbe in politiche concrete, soprattutto considerando la rapida evoluzione della tecnologia IA e le sfide legislative che hanno finora ostacolato tentativi di regolamentazione più incisivi.
Le politiche promosse da Trump rimangono attrattive per l’hi-tech
L’attrazione delle politiche promosse da Trump ha dato come risultato il sostegno di Elon Musk, il quale secondo il The Wall Street Journal, in un articolo pubblicato il 15 luglio, prevederebbe un accordo per una donazione significativa al comitato per la raccolta dei fondi e organizzatore degli eventi di Trump, l’America Pac, e si parla infatti di 45 milioni al mese fino a conclusione delle presidenziali.
Questa notizia, tuttavia, è stata smentita da Musk una settimana dopo la pubblicazione della notizia del The Wall Street Journal.
Il 16 luglio Marc Andreessen e Ben Horowitz, fondatori dell’AH Capital Management LLC, una delle più importanti società di venture capital della Silicon Valley, hanno appoggiato Trump durante un podcast, sostenendo che un settore tecnologico fiorente è fondamentale per sostenere il dominio globale dell’America e hanno anche criticato l’amministrazione Biden per aver ostacolato l’espansione delle criptovalute.
Una posizione ambigua sulle big tech
Un fattore che potrebbe influenzare l’andamento della campagna presidenziale di Trump è stata la nomina di JD Vance come vicepresidente, la quale si allinea perfettamente con le politiche ultraconservatrici del nuovo vento repubblicano alle quali parte dell’industria tecnologica strizza l’occhio.
Non di poca rilevanza risulta la figura di Peter Thiel amico, nonché guida intellettuale per certi versi, di Vance. Thiel è stato il principale promotore della campagna di Vance per il Senato nel 2022. Inoltre, Thiel è stato uno dei co-fondatori di PayPal, eBay e di Palantir Technologies, quest’ultima è un’azienda fornitrice di vari servizi cybersecurity che ha ottenuto commesse da vari Governi.
Concentrandosi sul retroterra di Vance, in passato, ha navigato il competitivo ecosistema delle startup per poi trasformarsi in un critico feroce delle grandi aziende high tech. La sua posizione attuale potrebbe essere definita paradossale: attacca i giganti del tech e contemporaneamente riceve il sostegno di una fazione significativa dell’industria tecnologica.
Questo supporto è motivato in parte dall’opposizione alle politiche dell’amministrazione Biden, percepite come ostili all’innovazione.
Vance si fa portavoce di queste preoccupazioni, criticando la regolamentazione delle criptovalute e dell’intelligenza artificiale, che a suo avviso favorisce indebitamente le grandi aziende a scapito delle startup.
Tuttavia, la posizione di Vance sul big tech rimane ambigua. Se da un lato critica la regolamentazione eccessiva, dall’altro condivide l’approccio antitrust aggressivo dell’amministrazione Biden.
Questa ambivalenza riflette una visione economica che combina elementi di libertarismo con un forte interventismo statale, probabilmente a favore di interessi meno progressisti per quanto concerne la salvaguardia dei diritti individuali se non legati alla crescita economica-finanziaria.
Inoltre, la tipologia di “populismo economico” di Vance, unito alle sue posizioni isolazioniste in politica estera, genererebbe preoccupazioni nel mondo degli affari tradizionale.
Mentre alcuni settori sperano in deregolamentazione e tagli fiscali, altri temono che un’amministrazione Trump-Vance possa esacerbare le tensioni commerciali internazionali e creare un clima di incertezza economica.
Vance, in conclusione, si presenta come una figura che, come vicepresidente, potrebbe essere in grado di attirare sia i liberali tradizionali interessati a politiche di investimento espansive nell’industria tecnologica sia la fetta di popolazione americana più conservatrice legata indissolubilmente alla cultura locale e al territorio, come, d’altronde, rappresentato chiaramente nel suo libro Hillybilly Ealy pubblicato nel 2016.
Il duo Trump-Vance, dunque, potrebbe spianare la strada all’agglomerato di aziende high tech che pende per tecnologie più invasive e meno attente alle garanzie e protezioni della privacy, ama allo stesso tempo più profittevoli in termini finanziari.