L’utilizzo di cercapersone e walkie-talkie esplosivi, armati probabilmente da Israele contro gli esponenti di Hezbollah, ha ridefinito i confini della guerra ibrida così come l’avevamo descritta finora e anche del terrorismo internazionale.
Un vero e proprio attacco alla supply chain che ha dimostrato quanto, ormai, i domini cinetico e cibernetico siano convergenti tra loro, sollevando anche serie questioni sulla sicurezza internazionale.
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Cercapersone e walkie-talkie esplosivi: il fatto
Come ricorderemo, lo scorso 17 settembre Libano e Siria sono stati il centro di un’esplosione di massa che ha coinvolto migliaia di cercapersone.
Nella giornata del 18 settembre, di nuovo in Libano, a esplodere sono stati migliaia di walkie-talkie, insieme ad altri dispositivi, quali telefoni cellulari, sistemi di energia solare e computer portatili. In entrambi i casi sono stati registrati diversi morti e numerosi feriti.
Da Israele, probabile mandante dell’attacco, nessuna rivendicazione ufficiale, anche se il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha parlato di una “nuova fase” della guerra, che da Gaza si sposterà inevitabilmente verso il confine nord con il Libano.
I dispositivi esplosi erano quelli utilizzati dal partito-milizia sciita Hezbollah, che proprio tempo fa aveva chiesto ai suoi membri, per ragioni di sicurezza e tracciabilità, di abbandonare i telefoni cellulari e affidarsi a strumenti più obsoleti.
Secondo quanto riportato da Carola Frediani nella newsletter Guerre di Rete n. 191 del 22 settembre 2024, fonti della sicurezza libanese raccolte dalla CNN affermano che i cercapersone sarebbero stati acquistati mesi fa da Hezbollah e l’esplosione è avvenuta simultaneamente su tutti i dispositivi a seguito della ricezione di un messaggio.
Le cariche esplosive sarebbero state inserite da Israele accanto alla batteria dei cercapersone insieme ad un meccanismo per la detonazione.
Chi ha prodotto cercapersone e walkie-talkie
Nel caso dei cercapersone, si tratterebbe del modello AR-924 dell’azienda taiwanese Gold Apollo, che avrebbe appaltato la realizzazione di questi strumenti alla BAC Consulting, società ungherese.
Pare che quest’ultima sia, però, una società di facciata, alla quale la Gold Apollo ha ceduto in passato il diritto di utilizzo del marchio in cambio di parte dei profitti, creata dai servizi segreti israeliani appositamente per realizzare cercapersone per Hezbollah, riempiti questi ultimi, diversamente dai dispositivi prodotti per gli altri clienti, del composto esplosivo PETN.
I walkie-talkie, invece, provenivano dalla società giapponese Icom e sono del modello IC-V82. La produzione, a detta della società, sarebbe stata avviata nel 2004 e poi sospesa a fine 2014. In quel periodo questi strumenti sono stati spediti in molti paesi, Medio Oriente compreso, ma produzione e distribuzione sono stati fermi per dieci anni, così come lo è stata la produzione della batteria di quel modello.
La Icom ritiene, pertanto, che tutti i walkie-talkie in circolazione siano contraffatti e quelli esplosi in particolare non avevano l’adesivo che ne dimostra l’autenticità.
L’intercettazione della catena di fornitura
Da dichiarazioni di funzionari americani e israeliani sull’accaduto, “le esplosioni di cercapersone (e poi walkie-talkie e forse altri dispositivi) hanno rappresentato il culmine di un investimento pluriennale per penetrare nelle strutture di comunicazione, logistica e approvvigionamento di Hezbollah.
Molto prima che i cercapersone fossero imbottiti di esplosivo, hanno detto alcuni funzionari, l’agenzia di intelligence esterna israeliana, il Mossad, e altri servizi avevano sviluppato una comprensione dettagliata di “ciò di cui Hezbollah aveva bisogno, quali erano le sue lacune, quali le società di comodo con cui lavorava, dove erano, chi erano i contatti”.
L’operazione sarebbe partita 15 anni fa, con il coinvolgimento di società di comodo, funzionari dell’intelligence israeliana e beni che hanno fatto da copertura ad una società legittima che ha prodotto i cercapersone.
Si è trattato di una “intercettazione della catena di fornitura”, come la stessa Frediani riporta, ossia di un attacco diretto ai dispositivi hardware, che sono stati manipolati nella fase di produzione e controllati nella fase di approvvigionamento, quindi “un’operazione di intelligence tradizionale”.
Come dichiarato da alcuni militari britannici esperti di esplosivi, “la spiegazione più ovvia è che una piccola quantità di materiale esplosivo fosse nascosta all’interno dei cercapersone. I dispositivi sarebbero esplosi alla ricezione di un messaggio specifico (coded).
Si tratta di qualcosa di simile a un ordigno innescato da un telefono cellulare, ma su scala molto più piccola e molto più difficile da individuare […] Per decenni, gli eserciti hanno utilizzato tattiche di sabotaggio con quantità variabili di esplosivo per interrompere le catene di approvvigionamento, di solito prendendo di mira le organizzazioni insurrezionali”.
Cresce la creatività nel terrorismo
Il tipo di approccio che è stato utilizzato negli accadimenti del 17 e del 18 settembre scorsi mostra che la “creatività” non è più un elemento marginale rispetto all’organizzazione degli stessi.
Infatti, la capacità e lo sviluppo tecnologico imperante sono direttamente proporzionali all’utilizzo di mezzi che possono risultare anche antiquati o addirittura appartenenti ad epoche diverse.
Cercapersone e walkie-talkie rappresentano ormai gli antenati dei nostri evolutissimi smartphone e nonostante ciò e l’inarrestabile digital transformation in atto da qualche tempo, sono stati questi il mezzo per realizzare un attacco che ha causato numerosi morti e feriti.
Nell’era attuale, quelli che potevano essere definiti “oggetti”, intesi come elementi di arredo o funzioni, si sono trasformati in “cose” perché dalla relazione tra l’uomo e l’oggetto, diventato cosa, può scaturire un effetto dall’impatto negativo, come un attacco terroristico.
Da qui l’evoluzione dell’Internet delle cose in Intelligence delle cose, la possibilità di focalizzare l’attenzione non sull’importanza primaria dell’uomo o della macchina, ma su come il rapporto uomo-macchina possa avere un senso solo se e come comunicazione, ovvero informazioni.
Nella vita di tutti i giorni, così come in campo terroristico, Intelligence delle cose significa riuscire a individuare ciò che mette in pericolo la nostra esistenza non più da canali tradizionali, ma da interfacce totalmente insospettabili, dove intelligence vuol dire prevalentemente metodo dei servizi segreti per la gestione di queste minacce, che per forza di cose rappresentano una complessità e un ponte tra passato, presente e futuro.
Il termine intelligence, quindi, non va tradotto con intelligenza, ma con studio più accurato e di alta qualità che unisce i metodi OSINT e HUMINT e che rappresenta il cuore vero dello spionaggio.