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Sostenibilità e tecnologia: come lo smart working può ridurre l’impatto ambientale



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La sostenibilità è diventata una priorità globale e lo smart working, reso possibile dalle infrastrutture digitali, è anche un potente strumento per ridurre l’impatto ambientale e migliorare la qualità della vita delle persone. In un mondo in cui anche l’intelligenza artificiale può giocare un ruolo chiave. Ecco perché

Pubblicato il 22 ott 2024

Francesco Carante

Managing Director, Edflex Italia



Sostenibilità e tecnologia

In un’epoca in cui la sostenibilità è diventata una priorità globale, la tecnologia sta dimostrando di essere uno degli alleati più preziosi per affrontare le sfide del nostro tempo. Lo smart working, reso possibile dalle infrastrutture digitali, è oggi non solo una modalità organizzativa, ma anche un potente strumento per ridurre l’impatto ambientale e migliorare la qualità della vita delle persone.

Secondo uno studio dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, il lavoro da remoto potrebbe ridurre le emissioni globali di CO2 fino al 5% entro il 2030, grazie alla diminuzione degli spostamenti quotidiani e alla minore domanda di spazi fisici.

L’era dello smart working

Ma la sostenibilità non è solo ambientale: c’è anche un forte elemento sociale. La tecnologia permette una maggiore flessibilità nelle modalità di lavoro, consentendo alle persone di trovare un equilibrio tra vita professionale e privata che altrimenti sarebbe difficile ottenere.

L’adozione di strumenti digitali, dall’intelligenza artificiale alla gestione automatizzata delle attività, rende possibile una personalizzazione del lavoro che si adatta meglio alle esigenze individuali, contribuendo a una maggiore inclusione e benessere sul posto di lavoro.

Sono passati quasi cinque anni da quando il Covid squarciò all’improvviso il velo di Maya dello smart working. Mestieri che sembravano indissolubilmente legati all’ufficio traslocarono dietro le mura domestiche. Riunioni eleganti in saloni sproporzionatamente grandi si trasferirono su Zoom, e così via.

È in quel momento che inizia davvero l’era dello smart working.

La pandemia stravolse questo termine coniato per indicare altro. In quel momento, tutti capirono che quella sarebbe stata una cesura violenta nella storia del lavoro remoto. E non solo remoto. Che ci sarebbero stati un prima e un dopo. Che le abitudini delle persone erano cambiate profondamente in poco tempo.

Eppure, a distanza di anni, sono stati tanti i casi di marcia indietro. L’ultimo, il più fragoroso, è stato quello targato Amazon. In generale, una percentuale di lavoro in remoto è rimasta, ma è stata ridotta da continue battaglie di retroguardia, nel contesto di uno smart working sempre meno smart, ovvero sempre più prodotto di logiche negoziali e sempre meno personalizzato sulle esigenze produttive reali delle aziende e delle persone.

Come in ogni restaurazione, lo spirito reazionario si esprime anche attraverso slogan che influenzano il dibattito pubblico. Questi giovani non hanno più voglia di fare sacrifici per andare in ufficio, e noi vogliamo pure dargli retta? Le vere relazioni, anche quelle lavorative, si coltivano di persona: basta con tutti questi social e cellulari. Anche la vera innovazione nasce solo quando ci si chiude in una stanza reale tutti assieme: è lì che scatta la scintilla, il pensiero laterale, il kilometro extra. Mica su Teams.

Sostenibilità e tecnologia

Ora, è sicuramente vero che quando si lavora a distanza c’è una serie di pericoli da gestire. Essere isolati è alienante, e va sicuramente compensato in qualche modo.

L’energia può risentirne, specialmente se si svolgono determinate attività: penso sempre ai venditori, e a quando è brutto ricevere una raffica di no senza vedere un volto amico. Le dinamiche relazionali vengono messe in difficoltà, soprattutto perché in quell’efficientamento massimale che offre il remoto, per cui si salta da una riunione all’altra senza soluzione di continuità, davvero non c’è più il tempo per parlare di altro che non siano gli obiettivi, le consegne, i risultati.

Sono pericoli, appunto. Ma vanno messi in prospettiva. Quale? Oggi ne azzardiamo una.

Un grande mantra dei nostri tempi è la sostenibilità. Cambiamenti climatici, decarbonizzazione, impegno a costruire un futuro sostenibile. Le aziende fanno a gara a chi si impegna di più per la sostenibilità. Si inseguono certificazioni, si espongono loghi. Ed è giusto.

A livello globale abbiamo creato un sistema esagerato, squilibrato e insostenibile. Non si potrà andare avanti così ancora a lungo. Non ha senso fare profitti di breve se intanto la casa va a fuoco. E sì, in molti casi sono le stesse aziende che nel frattempo fanno di tutto per richiamare i propri dipendenti in ufficio full time. Ma entriamo nel dettaglio.

Sostenibilità ambientale, sociale ed economica

La sostenibilità si articola in tre macroaree: sostenibilità ambientale, sociale ed economica.

A Milano, per fare un esempio, la stragrande maggioranza della popolazione deve affrontare ben oltre mezz’ora di tragitto casa-lavoro. Il centro della città è ben servito dai mezzi, ma la maggior parte di coloro che arriva dall’hinterland sono praticamente obbligati a spostarsi in automobile. Milioni di persone.

Potremmo investire altra energia per produrre mezzi pubblici ancora più capillari, certo. Potremmo aumentare ancora l’efficienza energetica dei veicoli elettrici, fantastico. Ma quanto è brutto sapere che ogni mattina centinaia di migliaia di veicoli spostano da una scrivania all’altra persone che poi per otto ore faranno le stesse identiche cose che avrebbero fatto a casa? Può sembrare una provocazione, credo invece che sia una responsabilità storica.

In secondo luogo, perché la maggior parte delle persone che ha sperimentato il lavoro da remoto, nonostante viva quotidianamente i contro elencati poco fa, non vuole più tornare indietro? Perché a parità di tempo dedicato al lavoro hanno trovato un equilibrio tutto nuovo. Fare la spesa o una commissione è più facile, c’è tempo per fare sport, per stare con la famiglia, e non c’è più tutta quella parte della giornata tossica, metaforicamente e letteralmente, spesa nel traffico o in metropolitana.

Io sto vedendo crescere mio figlio, per esempio. E non dedicandogli una volta a settimana del “quality time”, espressione coniata per autoassolvere i genitori in carriera che non hanno tempo. Del tempo la mattina, del tempo la sera, tutti i giorni: è ciò che mi resterà di questi anni.

Questo significa sostenibilità sociale: mantenere la produttività conservando però degli standard di vita decenti per le persone, cosa che abbiamo abbondantemente dimenticato negli anni.

Lo smart working è anche una scelta di vita

Infine, questa mania di spostarsi per stare tutti assieme costa al pianeta, alla salute, ma anche al nostro portafogli. Molte persone scelgono un lavoro interamente o ampiamente da remoto a costo di accettare uno stipendio più basso.

Non è solo una scelta di vita. È una considerazione economica abbastanza elementare. Autostrada, benzina, pranzi fuori. Quanto si risparmia in un mese? Vi lascio fare i conti: delle tre questioni è certamente la più arida, ma anche la più facile da misurare.

Ora, se davvero ci stiamo dicendo che la sostenibilità è un obiettivo sovraordinato, nel senso che non possiamo più riuscire a vivere se non la raggiungiamo e quindi tutto il resto viene dopo, possiamo ammettere che forse se lo smart working ha delle controindicazioni, il punto non sta nel metterlo in dubbio e dividerci in fazioni pro e contro, ma nell’accettare che è qui per rimanere e lavorare insieme per risolverle?

Isolamento, cali di energia, difficoltà relazionali: nel momento in cui si accetta che non sono argomenti per mettere in discussione lo smart working, ma effetti collaterali di cui prendersi cura, allora la musica cambia.

Una cosa che abbiamo imparato dallo smart working è che certe cose non accadono da sole, le devi far succedere. Creare momenti in cui condividere cose che non siano un meeting, anche con una scusa. Capire quando è il momento di incontrare fisicamente una persona, perché si sente il bisogno di mangiare insieme dopo tante video call. Ritrovarsi e festeggiare. Trovare altri modi per ricaricare le pile. Dare e chiedere supporto.

Il ruolo chiave dell’intelligenza artificiale

In questo contesto, l’intelligenza artificiale può giocare un ruolo chiave. Grazie a strumenti avanzati di analisi dei dati e automazione, l’AI può contribuire a migliorare la gestione delle relazioni a distanza, personalizzare il carico di lavoro in base alle esigenze individuali e rendere il lavoro da remoto più efficiente.

Un recente studio di McKinsey ha rilevato che l’adozione di strumenti Ai nelle aziende ha portato a un aumento della produttività fino al 40% in specifici settori, migliorando la collaborazione virtuale e l’organizzazione delle attività quotidiane.

Inoltre, l’AI può avere un impatto positivo anche in termini di sostenibilità. Ottimizzando i processi e riducendo gli spostamenti non necessari, l’uso dell’AI nello smart working può contribuire alla riduzione delle emissioni di CO2, come suggerito da un rapporto del World Economic Forum, secondo cui l’automazione e il lavoro da remoto potrebbero far risparmiare fino a 1,5 gigatonnellate di emissioni di carbonio entro il 2030.

Tuttavia, per massimizzare questi benefici, è essenziale saper utilizzarla correttamente.

Siamo in piena controrivoluzione, ma è del tutto evidente che viaggiamo su un piano inclinato e che presto o tardi i nostalgici dovranno ammettere che è meglio così. Per un bene superiore.

Prima facciamo pace con questo fatto e prima possiamo cominciare sul serio a prenderci cura di un nuovo mondo di smart workers.

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