RAPPORTO DI REVISIONE

I dubbi dell’EDPB sul Data Privacy Framework: ancora tante le questioni aperte



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L’European Data Protection Board ha pubblicato il primo rapporto di revisione sul Data Privacy Framework (DPF): secondo l’EDPB, le misure implementate dal DPF, sebbene migliorative, lasciano aperte questioni rilevanti sulla reale equivalenza delle garanzie offerte rispetto a quelle europee. Ecco quali

Pubblicato il 7 nov 2024

Francesca Niola

Ph.D Researcher, Sapienza Università di Roma – Fellow ISLC, Università di Milano



Data Privacy Framework rapporto revisione EDPB

Il primo rapporto di revisione sul Data Privacy Framework (DPF), pubblicato dall’European Data Protection Board (EDPB) il 4 novembre 2024, segna una tappa decisiva nel monitoraggio della protezione dei dati personali dei cittadini europei trasferiti verso gli Stati Uniti.

Nato come risposta alla sentenza “Schrems II” della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), che nel 2020 aveva invalidato il Privacy Shield per carenze di tutela, il DPF cerca di rispondere alle esigenze di bilanciamento tra diritti individuali e interessi di sicurezza nazionale statunitensi, introducendo principi quali la necessità e la proporzionalità nelle operazioni di sorveglianza.

L’EDPB, tuttavia, osserva come le misure implementate dal DPF, sebbene migliorative, lascino aperte questioni rilevanti sulla reale equivalenza delle garanzie offerte rispetto a quelle europee.

In particolare, il report solleva dubbi riguardo alla trasparenza delle pratiche di raccolta dati e all’efficacia del meccanismo di ricorso, un sistema teoricamente aperto ai cittadini europei per ottenere rimedi in caso di violazione dei loro diritti.

I dubbi dell’EDPB sul Data Privacy Framework

Il contesto giuridico attuale, intriso di una pervasiva presenza tecnologica, rende la protezione dei dati una questione che va oltre la sfera privata, diventando un presidio fondamentale per la democrazia e l’autonomia decisionale dell’Europa.

Pertanto, il rapporto dell’EDPB invita a un’attenzione critica e costante sulle modalità applicative del DPF, affinché la salvaguardia dei diritti dei cittadini europei non sia solo nominale ma sostanziale, evitando che ragioni di sicurezza nazionale possano eclissare il rispetto dei principi fondanti del diritto alla protezione dei dati.

La mancanza di controllo sull’auto-certificazione delle aziende

Il Data Privacy Framework (DPF) tra Unione Europea e Stati Uniti introduce un meccanismo di auto-certificazione per le imprese statunitensi, le quali dichiarano la conformità ai principi di protezione dei dati stabiliti.

Tuttavia, l’EDPB ha evidenziato che l’affidamento esclusivo sull’auto-certificazione può risultare insufficiente senza un monitoraggio proattivo da parte delle autorità competenti. La mancanza di controlli ex officio potrebbe compromettere l’effettività del DPF, poiché le imprese potrebbero non aderire pienamente ai requisiti senza la prospettiva di verifiche indipendenti.

La scarsa fiducia degli interessati nei meccanismi di ricorso

La questione della gestione dei reclami accentua ulteriormente le riserve dell’EDPB. Benché il DPF preveda meccanismi di ricorso per i cittadini europei, i quali sospettino violazioni dei propri diritti, il numero esiguo di reclami registrati fa emergere una criticità di fondo: la scarsa fiducia degli interessati in un sistema che appare lontano e opaco.

L’EDPB osserva che la possibilità di reclamo dovrebbe essere accompagnata da un’effettiva capacità di risposta da parte delle autorità competenti, attraverso verifiche proattive sulle aziende certificate. In mancanza di ispezioni e verifiche, infatti, il meccanismo di reclamo rischia di divenire un’arma spuntata, inabile a garantire una tutela autentica per i diritti degli interessati.

Servono linee guida precise sul trasferimento dati verso Paesi terzi

Un terzo punto di rilievo riguarda l’Accountability for Onward Transfer, ovvero la responsabilità delle aziende certificate nel trasferire dati personali verso Paesi terzi.

L’EDPB invita le autorità americane a fornire linee guida più precise per evitare che i trasferimenti successivi di dati vengano gestiti in maniera incoerente o addirittura lesiva dei principi di protezione stabiliti dal DPF.

In particolare, il concetto di ‘HR Data’ — i dati relativi ai dipendenti — necessita di chiarimenti ulteriori, considerato che la definizione varia tra ordinamenti e potrebbe generare confusione nelle interpretazioni pratiche, compromettendo i diritti alla privacy dei lavoratori.

Rafforzare le veridiche e la cooperazione tra Autorità

In ultima analisi, il rapporto dell’EDPB evidenzia come il DPF, per realizzare un’effettiva equivalenza con gli standard europei, richieda un rafforzamento sostanziale delle verifiche e una cooperazione più strutturata tra autorità europee e statunitensi.

Le raccomandazioni esposte mirano a trasformare il DPF in un sistema di protezione che non si limiti a rispettare la forma, ma che possa realmente tutelare la sostanza dei diritti fondamentali sanciti dall’ordinamento europeo, in un contesto internazionale dove la sovranità digitale diviene un tema centrale.

Aspetti critici dell’ordinamento USA sul controllo nel trasferimento dati

Ciò consente un parallelo con l’ordinamento degli USA quanto al controllo pubblico sul trasferimento dei dati.

L’accesso dei pubblici poteri statunitensi ai dati personali dei cittadini europei rappresenta un nodo cruciale nel contesto del Data Privacy Framework (DPF). L’Executive Order 14086, emanato dal Presidente degli Stati Uniti, introduce formalmente i principi di necessità e proporzionalità nelle attività di intelligence, imponendo che la raccolta di dati sia limitata a quanto strettamente necessario per perseguire obiettivi di sicurezza nazionale e che le modalità di trattamento siano proporzionate rispetto alle finalità perseguite.

Tuttavia, l’implementazione pratica di tali principi solleva interrogativi: l’EDPB sottolinea la necessità di un monitoraggio rigoroso per garantire che queste disposizioni non rimangano mere dichiarazioni di intenti, ma si traducano in prassi operative concrete che rispettino i diritti fondamentali degli individui.

Parallelamente, il rinnovo della Sezione 702 del Foreign Intelligence Surveillance Act (FISA) ha destato preoccupazioni significative. Le recenti modifiche legislative hanno ampliato la definizione di “service provider”, includendo una gamma più ampia di entità obbligate a collaborare con le autorità di sorveglianza.

Questa estensione potrebbe incrementare l’ambito delle attività di monitoraggio, incidendo sui diritti alla privacy e alla protezione dei dati personali. L’EDPB esprime riserve su questa espansione, evidenziando il rischio di una sorveglianza più invasiva che potrebbe compromettere le garanzie previste dal diritto europeo.

La risposta USA alle critiche: il Data Protection Review Court

In risposta alle critiche precedenti, è stato istituito il Data Protection Review Court (DPRC), un organismo giudiziario specializzato incaricato di esaminare i reclami relativi alla violazione dei diritti in materia di protezione dei dati.

L’introduzione di giudici con competenze specifiche rappresenta un progresso significativo verso una maggiore tutela dei diritti individuali.

Tuttavia, l’efficacia di questo meccanismo dipenderà dalla sua operatività pratica: sarà fondamentale valutare se il DPRC disporrà dell’indipendenza necessaria e dei poteri effettivi per fornire rimedi adeguati in caso di violazioni, garantendo così un equilibrio tra le esigenze di sicurezza nazionale e la protezione dei diritti fondamentali.

L’EDPB: manca trasparenza nelle norme di sorveglianza

Di contro, l’European Data Protection Board (EDPB) ha sottolineato l’importanza di un monitoraggio costante per garantire che le garanzie essenziali europee siano rispettate nel contesto del Data Privacy Framework (DPF) tra l’UE e gli Stati Uniti.

Un aspetto cruciale riguarda la chiarezza, la precisione e l’accessibilità delle norme di sorveglianza statunitensi. La mancanza di trasparenza in queste normative può portare a interpretazioni arbitrarie, compromettendo la protezione dei diritti dei cittadini dell’UE.

Pertanto, l’EDPB insiste sulla necessità di una legislazione statunitense che sia chiara e accessibile, in modo che gli individui possano comprendere come i loro dati vengono trattati e quali sono i loro diritti.

Inoltre, l’EDPB evidenzia l’importanza di meccanismi di ricorso efficaci e accessibili per i cittadini dell’UE, affinché possano far valere i propri diritti in caso di violazioni. Senza tali garanzie, esiste il rischio che le misure di sorveglianza possano essere applicate in modo sproporzionato, mettendo a repentaglio i diritti fondamentali degli individui.

In sintesi, l’EDPB richiama l’attenzione sulla necessità di un quadro normativo statunitense che rispetti i principi di necessità e proporzionalità, garantendo al contempo trasparenza e accessibilità, per assicurare una protezione effettiva dei diritti dei cittadini dell’UE nel contesto del DPF.

Aspetti rilevanti dell’impatto del Data Privacy Framework

L’European Data Protection Board (EDPB) ha sollevato importanti questioni relative all’impatto del Data Privacy Framework (DPF) sulla concorrenza nel settore tecnologico, concentrandosi su due aspetti rilevanti: le divergenze interpretative sul concetto di “HR Data” e le implicazioni della revisione della Sezione 702 del Foreign Intelligence Surveillance Act (FISA).

Uno dei punti critici del DPF riguarda la definizione e il trattamento dei “dati HR” o “HR Data”. L’interpretazione statunitense, infatti, tende a restringere la categoria ai soli dati dei dipendenti trasferiti all’interno dello stesso gruppo aziendale, mentre l’EDPB e la normativa europea attribuiscono al concetto un’accezione più ampia, includendo qualsiasi dato personale trattato nel contesto di una relazione di lavoro.

Questa divergenza non è una questione meramente teorica: incide profondamente sulle modalità di trasferimento e protezione dei dati dei dipendenti da parte delle imprese transatlantiche.

Le aziende che operano in Europa potrebbero adottare politiche più rigorose di protezione dei dati, mentre le controparti statunitensi certificate DPF potrebbero godere di maggiore flessibilità, sfruttando una definizione ristretta dei dati HR.

Questo squilibrio può creare vantaggi competitivi per le imprese statunitensi, le quali beneficiano di minori vincoli normativi, mettendo le aziende europee in una posizione di svantaggio sul piano della conformità e della fiducia dei consumatori in materia di privacy.

La revisione della Sezione 702 del FISA rappresenta un ulteriore elemento di distorsione competitiva. Le recenti modifiche, che ampliano la definizione di “service provider” obbligato a rispondere alle richieste di accesso governativo ai dati, hanno esteso la sfera d’azione delle autorità di sorveglianza.

Questa espansione obbliga un numero maggiore di aziende statunitensi a cooperare con le richieste di intelligence, il che può minare la loro affidabilità percepita presso i consumatori, sia europei sia globali.

Di contro, i provider europei non sono soggetti a queste disposizioni e possono offrire maggiori garanzie di privacy, un elemento di crescente importanza per il mercato.

Tuttavia, questa asimmetria può avere effetti opposti sul lungo termine: sebbene i provider statunitensi possano essere percepiti come meno sicuri, l’accesso del governo ai loro dati potrebbe consentire una maggiore competitività in termini di analisi e innovazione dei dati stessi.

I provider europei, pur vantando una maggiore aderenza ai principi di privacy, potrebbero risultare meno competitivi in un contesto di economia digitale globalizzata, che premia l’accesso e l’analisi su larga scala dei dati.

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