Nel white paper Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System fondativo della criptovaluta più diffusa e importante, i termini privacy, fiducia e sicurezza ricorrono più volte e segnano il lancio del progetto di una moneta elettronica senza intermediari bancari/finanziari e senza dover accertare la fiducia (o solvibilità in termini creditizi) dei soggetti tra cui intercorre la transazione monetaria.
La fiducia, secondo il gruppo che si cela dietro lo pseudonimo Satoshi Nakamoto, va riposta nel sistema stesso di certificazione distribuita della correttezza delle transazioni, che da un lato tutela la privacy e dall’altro è costruito in modo tale che le probabilità di successo di un attacco siano sistematicamente sfavorevoli rispetto alle probabilità di successo della certificazione della correttezza della transazione da parte dei “nodi onesti” della rete.
Era quindi evidente fin dalle origini che si stava aprendo un fronte di tecnologie che avrebbero investito la sicurezza e la privacy.
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Conoscenze e risorse professionali per far fronte ai cambiamenti
Sappiamo che le banche hanno preso in considerazione, soprattutto nel Regno Unito, le tecnologie connesse alle criptovalute, al fine di dotarsi di conoscenze e risorse professionali per far fronte ai cambiamenti dell’attività di intermediazione finanziaria.
Non è affatto detto che le criptovalute siano in grado di erodere crescenti quote di questa attività alle istituzioni bancarie e finanziarie, anzi: i segnali recenti sono di una contrazione del loro valore, sia in termini di quotazione rispetto alle divise tradizionali come dollaro ed euro, sia in termini di volumi scambiati. Molti Hedge Fund nati per speculare sull’incremento di valore di Bitcoin e delle altre criptovalute negli ultimi dodici mesi hanno chiuso, i più corretti restituendo i fondi raccolti.
D’altra parte, il primo periodo successivo al fatidico gennaio 2009 in cui vide la luce Bitcoin, sono stati esplosivi per le criptovalute: in 5 anni erano già oltre 500, la maggior parte di scarso interesse per il pubblico. I Bitcoin in circolazione nel 2010 erano circa 2 milioni e oggi sono circa 18 milioni; hanno avuto un andamento della quotazione (in dollari) che è salita da poco sopra lo zero a 19.500 nel dicembre 2017, per precipitare sotto i 3.500 dollari oggi (-80% del valore), con una dimensione delle transazioni scesa da 300 miliardi a meno di 80.
Oltre agli Hedge Fund stanno chiudendo le società specializzate nel mining ossia nella creazione di Bitcoin attraverso la asseverazione delle transazioni e la soluzione dei “puzzle” computazionali che consentono di mettere in ordine i blocchi e di certificarli.
Le ragioni della crisi delle criptovalute
Secondo gli osservatori, ci sono diverse ragioni per la crisi attuale delle criptovalute:
- la confusione nel trattamento normativo a livello internazionale;
- l’interesse politico di alcuni grandi paesi, come la Cina, dove internet non è un sistema aperto e competitivo, come richiesto per il funzionamento di Bitcoin;
- la scarsa trasparenza sui fondi speculativi e l’utilizzo per effettuare transazioni illegali o al fuori del controllo fiscale.
Sull’interesse strategico della Cina alla demolizione di Bitcoin e in conseguenza di tutte le criptovalute, uno studio recente avanza una serie di opzioni e di possibili spiegazioni che mettono in luce opzioni strategiche di assoluto rilievo internazionale.
Le opzioni tecniche sono diverse e sempre richiedono una capacità di governare le risorse distribuite in modo pressoché maggioritario: cosa non impossibile, ma sicuramente non facile da raggiungere.
Tra le motivazioni, la più seguita è quella che sottolinea l’inconciliabilità tra una visione del potere molto centralistica, come quella cinese, in cui anche il governo della moneta è strettamente nelle mani del Partito, e la visione “peer to peer” dell’esperimento Bitcoin, la sua dichiarata volontà di disintermediare ed evitare ogni forma di controllo sull’emissione e sul governo della moneta.
Eppure, nonostante queste criticità rilevantissime delle criptovalute, l’interesse per la tecnologia del “libro mastro distribuito”, ossia di quel processo di certificazione distribuito nella rete della validità delle transazioni, non accenna a diminuire.
Tanti spunti di riflessione
ITASEC19, l’appuntamento della ricerca sulla cyber security, allargato alle istituzioni e agli operatori, che si è aperto a Pisa il 12 febbraio, sviluppa la riflessione su questi temi in modo esteso, coinvolgendo in processi di formazione (tutorial) e di workshop i giovani, sia quelli che stanno studiando (a partire da quelli delle medie superiori) sia quelli che hanno intenzione di aprire o hanno già aperto una start up.
Il Workshop tecnico dedicato alle tecnologie delle criptovalute (Distributed Ledger Technologies-DLT), tenuto prima dell’apertura ufficiale e coordinato dal prof. Stefano Bistarelli (Università di Perugia) e dal prof. Paolo Mori (CNR), è lo spunto per aprire la riflessione sui campi applicativi disparati a cui i DLT possono dare risposte.
Il quadro delle applicazioni può essere riassunto in modo schematico con il grafico che abbiamo adattato dalla relazione tenuta a fine 2018 da due ricercatori delle Università di Hong Kong e di Londra (Mahdi H. Miraz and Maaruf Ali, Blockchain Enabled Enhanced IoT Ecosystem Security, International).
Poiché nei sistemi IoT le comunicazioni sono prevalentemente M2M (Machine to Machine) la questione della fiducia tra gli apparati è cruciale e quindi la tecnologia Blockchain può essere risolutiva, essendo i dati crittografati in base alle tecniche di hashing.
Andrà risolto il problema dei limiti computazionali degli apparecchi IoT, dal momento che gli algoritmi crittografici richiedono grande capacità di calcolo, ma non c’è dubbio, allo stato dell’arte, che Blockchain in prospettiva appare come una potenziale “macchina della verità” nell’interazione M2M.