L'APPROFONDIMENTO

Criptovalute e blockchain, corsa alla regolamentazione: il quadro normativo

Il mondo delle blockchain e, in particolare, quello delle criptovalute della DeFi e degli NFT, ha suscitato l’interesse dei legislatori e degli enti fiscali degli Stati che hanno tentato di prevedere forme di regolamentazione in materia. Ecco le principali criticità e la situazione in Italia

Pubblicato il 25 Lug 2022

Luigi Padovan

Avvocato e Data Protection Officer (DPO), Co-founder DPO Compliance Consulting

Criptovalute e blockchain

Non c’è dubbio che gli ecosistemi legato al mondo delle blockchain, su tutti quello delle criptovalute, della DeFi e degli NFT, abbiano suscitato, se non altro in ragione del numero sempre crescente di utenti e dei volumi finanziari coinvolti, ormai già da qualche anno, l’interesse dei legislatori e degli enti fiscali degli Stati, che – in ordine sparso e talvolta in senso diametralmente opposto – hanno tentato di prevedere delle forme di regolamentazione in materia.

Accanto al procedere dei singoli Stati procede poi il percorso di armonizzazione a livello dell’Unione Europea, volto a uniformare il quadro legislativo sovranazionale attraverso la forma regolamentare, che assume e assumerà quindi, al momento delle rispettive entrate in vigore, lo status di legge, direttamente applicabile, in ciascuno degli Stati dell’Unione stessa.

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Come ampiamente preannunciato da ormai quasi un biennio, l’Europa ha mosso i propri passi nel campo della regolamentazione, a livello dell’intera Unione, degli asset basati sulle blockchain.

Dopo una serie di dibattiti e di analisi che hanno portato a diversi aggiustamenti della bozza originaria di regolamentazione (tra tutti l’abbandono delle limitazioni all’utilizzo degli algoritmi Proof-of-Work, sistema utilizzato ad esempio da Bitcoin ed Ethereum) la proposta di Regolamento Europeo è quindi giunta nella sua versione definitiva.

L’annuncio della sua approvazione, da portare al vaglio della Commissione e del Parlamento[1], ha suscitato diversi plausi, soprattutto a parte degli operatori della finanza tradizionale, ma anche dei media generalisti, principalmente perché il legislatore europeo ha inteso orientare le proprie scelte, almeno a livello di intenti, in senso protezionistico a favore di una figura ad esso tanto cara, quella del consumatore.

Secondo il Consiglio, il quadro normativo emergente proteggerà gli investitori e preserverà la stabilità finanziaria, consentendo al contempo l’innovazione e promuovendo l’attrattiva del settore delle criptovalute.

Di qui dunque le numerose regole imposte, innanzitutto agli operatori economici che intendono offrire servizi in questo campo, che possiamo definire i veri destinatari della normativa.

I grandi esclusi: gli NFT

Con una scelta che ha incontrato numerose perplessità, il legislatore europeo ha deciso di escludere dalla proposta di regolamento da sottoporre al procedimento di formazione legislativa appena approvata l’altro grande ambito di operatività delle applicazioni basate sulle blockchain, costituito dagli NFT[2].

Si tratta tuttavia, a ben vedere, di una scelta ampiamente mirata.

Stante il carattere ancora parzialmente embrionale dei risvolti pratici legati al mondo dei Non Fungible Tokens infatti, il Consiglio ha previsto di procedere a una più attenta analisi del fenomeno e a una valutazione ulteriore e più approfondita dei profili di rischio legati a questo tipo di asset, postergando la propria decisione di intervento di diciotto mesi.

Tale tipo di approccio pare quindi sostanzialmente basato sulla consapevolezza della tipicità del fenomeno, che a prescindere dalla sua base, costituita dalle blockchain, è ambito per certi versi a sé stante rispetto agli strumenti finanziari ad esse collegati.

D’altra parte, nel procedimento di formazione normativa in seno all’Europa è prassi abituale (oltre che regola) il procedere, prima della proposta di regolamento, attraverso procedure più o meno complesse di osservazione e consultazione, che portano poi all’individuazione delle linee di intervento che sfociano poi nella proposta di regolamento vera e propria.

Il Regolamento sulle infrastrutture basate sulla tecnologia a registro distribuito

Accanto al MiCa, l’Unione ha poi appena provveduto a introdurre, in via definitiva, una specifica normativa rivolta agli operatori economici operanti attraverso le tecnologie a registro distribuito (DLT).

Si tratta del Regolamento n. 858/2022, la cui applicabilità diretta è prevista dal 23 marzo 2023, che si è prefisso lo scopo di imporre l’adozione di un regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia a registro distribuito, con particolare riferimento, come si legge all’Art.1, a:

  1. la concessione e la revoca di autorizzazioni specifiche a operare le infrastrutture di mercato DLT in conformità del presente regolamento;
  2. la concessione, la modifica e la revoca delle esenzioni alle autorizzazioni specifiche;
  3. l’imposizione, la modifica e la revoca delle condizioni legate a esenzioni e in relazione all’imposizione, alla modifica e alla revoca delle misure compensative o correttive;
  4. la gestione delle infrastrutture di mercato DLT;
  5. la vigilanza delle infrastrutture di mercato DLT;
  6. la collaborazione tra i gestori delle infrastrutture di mercato DLT, le autorità competenti e l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) istituita dal regolamento (UE) n. 1095/2010 (ESMA).

Si è previsto, in sostanza, un framework regolamentare per gli operatori di tali piattaforme che ammettono alla negoziazione strumenti finanziari basate sulla tecnologia DLT, in forma tokenizzata, al fine di contribuire allo sviluppo di un mercato secondario per tali attività, al fine di completare il progetto circolare di regolamentazione composto anche dal DORA, in materia di cyber security, e dallo stesso MiCa, per quanto attiene alle criptoattività.

Vale la pena sottolineare infatti che la regolamentazione relativa alle infrastrutture basate su DLT non riguarda direttamente i crypto-assets, la cui inclusione in tali previsioni è subordinata ai solo casi in cui essi siano anche “strumenti finanziari” (nel senso della Direttiva UE 2014/65) mentre, qualora non lo siano, non saranno ammessi sui mercati DLT ma ricadranno nell’ambito applicativo del MiCa.

La situazione in Italia

La data del 18 luglio rappresenta una chiave di volta per gli operatori economici (soprattutto gli Exchange) che offrono servizi di acquisto, scambio, custodia e consulenza in ambito “cripto”, per i quali ad oggi, al di là di interpretazioni analogiche di norme in qualche modo riconducibili a tali servizi.

Si tratta infatti del termine previsto per comunicare la propria operatività in Italia presso l’Organismo per la gestione degli Elenchi degli Agenti in attività finanziaria e dei Mediatori creditizi (più semplicemente OAM) e poter quindi continuare ad esercitare l’attività in questo campo.

Le conseguenze, nel caso di mancato rispetto del termine o di diniego da parte dell’OAM in caso di mancanza dei requisiti previsti, sono costituite dall’abusività dell’esercizio; inoltre, e questo forse è l’aspetto maggiormente rilevante per gli utenti, dall’iscrizione nel Registro, conseguirà l’obbligo per gli operatori di fornire trimestralmente al MEF la comunicazione delle operazioni compiute tramite il portale con l’indicazione dei nominativi dei clienti.

Le criticità più evidenti

Lungi dal considerare la regolamentazione di per sé intesa come un aspetto in qualche modo negativo, non v’è dubbio che in linea generale, al di là del suo stridere con lo spirito che ha portato alla genesi del fenomeno, volto alla creazione di un sistema alternativo a quello della finanza tradizionale e della sua centralizzazione, la maggiore perplessità, dal punto di vista operativo, è rappresentata dal “doppio binario” costituito dalla sovrapposizione degli interventi legislativi statali, accanto a quella europea.

Seppure sia certamente necessario attendere, da un lato, il completamento del percorso normativo intrapreso e, dall’altro, le eventuali misure di coordinamento tra la normativa nazionale creatasi nel frattempo e quella introdotta a livello europeo, le precedenti esperienze non suggeriscono risultati limpidi.

Sulla scorta infatti di quanto accaduto in altri ambiti, ad esempio quello della Protezione dei Dati personali, sussiste il fondato timore dei più di vedersi nuovamente imposte una serie di regole, molto dettagliate ma scarsamente coordinate tra loro, con il concreto rischio di una sovrapposizione delle stesse, che potrebbe necessitare di continui interventi interpretativi da parte dei giudici nazionali, il cui esito potrebbe essere rappresentato da un’applicazione variegata da stato a stato, ma non solo.

L’introduzione di dettagliate regole tecniche in ambiti ancora non del tutto esplorati dai più, compresi in questo senso gli operatori “finali” onerati della loro applicazione (agenzie fiscali, organi di polizia, ecc.) potrebbe infatti facilmente comportare, di fatto, l’applicazione a macchia di leopardo delle regole introdotte o persino la loro disapplicazione, quantomeno parziale, soprattutto in contesti già di per sé oberati da un’ampia mole di imposizioni e di obblighi di controllo, siano essi di natura operativa che, più semplicemente, di natura fiscale.

Non è infatti difficile giungere alla considerazione che tali conseguenze ben potrebbero ricadere, per la maggior parte, non già sugli operatori economici coinvolti, bensì proprio sui destinatari dei “benefici” che tali regole intendono portare, ovvero i consumatori, con l’ovvio risultato costituito da un’ampia mole di contenzioso in materia, dagli esiti tutt’altro che scontati.

 

NOTE

  1. Qui il testo del comunicato.

  2. Si noti che tale esclusione non opera qualora le funzioni sostanziali degli NFT esaminati possa essere ricondotta alla normativa di previsione, ovvero qualora tali asset rivestano funzioni sostanzialmente assimilabili alle criptovalute o, più in generale, a quella di asset finanziari.

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