L’intelligenza artificiale mette il sindacato e la contrattazione collettiva dinanzi ad importanti sfide. Nel mondo del lavoro, la regolamentazione del rapporto tra l’uomo e l’intelligenza artificiale è infatti per la maggior parte affidata alle intese tra sindacati dei lavoratori e sindacati datoriali o, a livello aziendale, datori di lavoro. In una parola sola, alla contrattazione collettiva.
In tale prospettiva, gli angoli di osservazione sono due: il primo interessa i lavoratori assunti nel mondo del lavoro che non conosceva l’intelligenza artificiale ma attivi in quello che la conosce; il secondo interessa i lavoratori nati in questo nuovo mondo lavoro, come quelli della gig economy.
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I lavoratori che hanno vissuto l’avvento dell’AI
Dal primo angolo di osservazione, si giunge ad almeno quattro riflessioni. In primo luogo, il sindacato è chiamato a promuovere la formazione dell’attuale forza lavoro per renderla compatibile con l’innovazione. Questo vuol dire soprattutto promuovere la conversione delle competenze dei lavoratori da hard skills, legate alla fabbrica fordista, a soft skills necessarie per la fabbrica innovativa, al pari dell’abilità logico-matematica, del pensiero computazionale, della capacità di lavoratore in team. Vuol dire, in altri termini, creare le condizioni per quella che l’economista Weitzman definisce crescita ricombinante. E così, ad esempio, non sarà affatto scontata la scelta di licenziare il lavoratore rispetto a quella di disattivare la macchina quando alle aziende si imporranno operazioni di riduzione dei costi o di conseguimento di maggior profitto. Del resto, come rivela la recente ricerca di AIDP, “Robot, intelligenza artificiale e lavoro in Italia“, per il 56% delle aziende, l’impiego dell’intelligenza artificiale ha la finalità di supportare le persone e dunque deve considerarsi principalmente un’estensione delle attività umane e non un rischio per la loro sostituzione.
In secondo luogo, il sindacato è chiamato a rimodulare gli attuali mansionari. Essi, infatti, prevedono figure professionali difficilmente compatibili con le specificità introdotte in azienda dall’intelligenza artificiale. La contrattazione collettiva del resto è il riflesso di una situazione in cui la macchina dipendeva dall’intelligenza dell’uomo, agli antipodi di quella attuale in cui uomo e macchina sono entrambi dotati di intelligenza e pertanto in grado di cooperare. Peraltro, questi mansionari sono difficilmente compatibili anche con il fenomeno della cosiddetta industry convergence per cui una stessa azienda svolge attività in settori diversi.
In terzo luogo, i sindacati sono chiamati a rimodulare gli elementi della retribuzione, oggi composta da pochi elementi variabili, utili a misurare la produttività dell’uomo nell’interazione con la “macchina sapiente”. Per la prima volta, la retribuzione dovrà valorizzare la cooperazione tra lavoratore e tali macchine e, a seconda dei casi, premiare il primo.
Infine, il sindacato è chiamato a rimodulare il proprio agire. Un contesto di interazione continua tra uomo ed intelligenza artificiale suggerisce infatti, di accelerare il processo di digitalizzazione nell’ottica dello svolgimento di parte dell’attività sindacale in modalità “virtuale”. La partita della rappresentatività del sindacato potrà giocarsi, del resto, soprattutto su questo piano.
Lavoratori della gig economy
Dal secondo angolo di osservazione, quello relativo ai lavoratori della gig economy, come i riders di Foodora, che ricevono commesse su una piattaforma governata da algoritmi, il sindacato è chiamato ad una riflessione sulla propria identità. Se è vero che il sindacato ha sino ad oggi esercitato la funzione di rappresentanza dei lavoratori all’interno del perimetro della fabbrica, è vera allora la difficile compatibilità tra questa funzione e i lavoratori che, come quelli della gig economy, in fabbrica non metteranno mai piede. E così, il sindacato è chiamato a convertirsi da sindacato di rappresentanza a sindacato di servizi, per offrire ai gig workers, la garanzia di alcune tutele che, in quanto legate al lavoro in fabbrica, non avrebbero altrimenti mai avuto.
Si tratta del modello del sindacato cooperativo, cosiddetto umbrella companies, alla stregua del sindacato Smart in Belgio, che ha offerto ai proprio aderenti pacchetti di tutele. In altri termini, il sindacato è chiamato a garantire a questi lavoratori le tutele di quello che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha definito decent work, ovvero il lavoro in grado di garantire a chi vi accede, sotto qualsiasi forma, soprattutto eguaglianza, salario equo, condizioni sicure. Come si legge sul sito dell’ILO: “Decent work sums up the aspirations of people in their working lives. It involves opportunities for work that is productive and delivers a fair income, security in the workplace and social protection for families, better prospects for personal development and social integration, freedom for people to express their concerns, organize and participate in the decisions that affect their lives and equality of opportunity and treatment for all women and men“.
Gestire il rapporto tra lavoro e intelligenza artificiale
Governare il rapporto tra uomo e macchina per scongiurare il rischio che l’uno diventi schiavo dell’altra. Assicurare la tenuta di contesti lavorativi caratterizzati da specificità tutte nuove. Tracciare nuovi percorsi di carriera. Cavalcare l’onda della rivoluzione tecnologica per allargare le maglie dell’occupazione. Dare voce ai lavoratori che, nell’era dell’intelligenza artificiale, scontano alcune debolezze. Sono queste le sfide cui il sindacato è chiamato a far fronte in rapporto all’intelligenza artificiale.
Del resto, era proprio Gino Giugni a riconoscere l’attitudine del sindacato a interpretare con lucidità i mutamenti della realtà “in rapporto al graduale mutamento delle condizioni tecnico economiche della produzione”.