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Libertà di espressione nell’era Trump: quale futuro per la moderazione dei contenuti online



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Una delle prime mosse della nuova amministrazione Trump punta a ridefinire i confini tra moderazione online, ruolo del governo e rischi di polarizzazione. Ecco le conseguenze della battaglia sulla libertà di espressione

Pubblicato il 7 feb 2025

Luisa Franchina

Presidente Associazione Italiana Infrastrutture Critiche (AIIC)

Tommaso Diddi

Analista Hermes Bay



Libertà di espressione nell’era Trump

Negli Stati Uniti, la libertà di espressione è nuovamente al centro del dibattito politico dopo che il presidente Usa Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo volto a “ripristinare la libertà di parola” e a porre fine a quella che definisce “censura federale”.

La mossa solleva interrogativi sui confini tra moderazione online, ruolo del governo e rischi di un ecosistema digitale sempre più polarizzato.

Il nuovo ordine esecutivo di Trump e la moderazione online

L’ordine esecutivo firmato da Trump rappresenta una delle prime mosse della sua nuova amministrazione per modificare le politiche di moderazione dei contenuti online.

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L’iniziativa accusa l’amministrazione Biden di aver censurato i cittadini attraverso pressioni su Big Tech per rimuovere contenuti “scomodi”, in particolare su temi come i vaccini Covid-19, l’integrità elettorale e i fatti del 6 gennaio 2021.

Trump sostiene che questa condotta costituisca una violazione del Primo Emendamento, il quale garantisce la libertà di espressione senza interferenze governative.

La mossa riapre un dibattito spinoso sul ruolo dello Stato nella regolazione dei contenuti digitali, tra libertà costituzionali, sicurezza pubblica e rischi di manipolazione politica.

La pratica del jawboning

Al centro della controversia c’è il concetto di jawboning, ovvero la pratica con cui funzionari governativi cercano di influenzare, senza mandato legale, le decisioni delle aziende private.

Sebbene il jawboning non sia tecnicamente illegale, i critici sostengono che possa trasformarsi in una forma di censura indiretta, specialmente quando il governo minaccia implicazioni legali o regolatorie contro le aziende che non si conformano alle sue richieste.

Durante la pandemia, l’amministrazione Biden aveva intensificato i contatti con Meta, Twitter (oggi X) e Google per segnalare post ritenuti pericolosi, come teorie anti-vaccino o affermazioni infondate sulle elezioni.

Per i democratici, si trattava di proteggere la salute pubblica e la democrazia; per i repubblicani, di censura mascherata.

Il caso Missouri vs. Biden ha portato la questione fino alla Corte Suprema, che tuttavia non ha stabilito che ci fosse stata censura illegale, ma ha rimandato la questione ai tribunali inferiori, lasciando un vuoto interpretativo.

Il caso Missouri v. Trump: la pressione sul fact-checking

Ora, con Trump nel ruolo di imputato (il caso è ribattezzato Missouri v. Trump), l’approccio dell’esecutivo potrebbe ribaltarsi. L’ordine esecutivo chiede al Dipartimento di Giustizia di indagare le azioni dei funzionari Biden, minacciando sanzioni per chi abbia «oltrepassato i limiti costituzionali».

Parallelamente, l’FCC, guidata dal nuovo commissioner Brendan Carr, ha avviato un’offensiva contro enti come NewsGuard, organizzazione no-profit che valuta l’affidabilità delle testate online.

In una lettera, Carr ha definito tali realtà «strumenti di censura progressista», invitando le piattaforme a tagliare i legami con chi «classifica arbitrariamente i media».

Questo episodio mostra come la battaglia sulla libertà di espressione si stia spostando anche verso le organizzazioni che si occupano di fact-checking, aumentando la pressione sulle piattaforme per allinearsi alle nuove direttive governative.

Corte Suprema: come i social media gestiscono i contenuti controversi

La decisione della Corte Suprema su questo tema potrebbe avere profonde implicazioni per il modo in cui i social media gestiscono i contenuti controversi.

Durante la presidenza Biden, le piattaforme come Facebook e Twitter (ora X) hanno adottato misure per contrastare la disinformazione su temi sensibili come la pandemia e le elezioni, spesso collaborando con esperti governativi e istituzioni scientifiche.

Il nuovo ordine esecutivo di Trump potrebbe spingere queste piattaforme a ridurre significativamente la loro attività di moderazione per evitare accuse di complicità con il governo.

Al di là delle dispute politiche, la questione solleva interrogativi più ampi sulla natura della libertà di espressione nell’era digitale.

Se da un lato la riduzione della moderazione potrebbe favorire un dibattito più libero, dall’altro rischia di creare un ambiente in cui la disinformazione, l’odio e le teorie del complotto si diffondano senza ostacoli.

In passato, piattaforme come Facebook e YouTube hanno dovuto affrontare forti critiche per aver permesso la proliferazione di contenuti falsi o dannosi, spesso con conseguenze tangibili sulla salute pubblica e sulla sicurezza nazionale. Il nuovo indirizzo politico potrebbe portare a un indebolimento delle misure di controllo, trasformando il panorama digitale in un terreno ancora più polarizzato.

Doppio standard

Nonostante l’enfasi posta da Trump sulla libertà di parola, alcuni osservatori sottolineano che lo stesso ex presidente ha adottato strategie simili durante il suo primo mandato.

Nel 2020, dopo che Twitter aveva etichettato alcuni dei suoi post con avvisi di verifica dei fatti, Trump aveva firmato un ordine esecutivo per riesaminare la Sezione 230 del Communications Decency Act, una legge che protegge le piattaforme digitali dalla responsabilità legale per i contenuti pubblicati dagli utenti.

Questa mossa era stata interpretata come un tentativo di pressione sulle aziende tecnologiche per modificare le loro politiche di moderazione in un modo più favorevole all’amministrazione repubblicana.

Questo doppio standard solleva dubbi sulla reale coerenza dell’attuale posizione di Trump e sulla possibilità che le sue nuove politiche siano più un’arma politica che una difesa genuina della libertà di espressione.

Il futuro della moderazione dei contenuti online

Le reazioni all’ordine esecutivo sono state contrastanti. Mentre i sostenitori di Trump lo vedono come un passo necessario per limitare il potere delle grandi piattaforme tecnologiche e impedire interferenze governative, i critici temono che possa aprire le porte a una maggiore diffusione di disinformazione e contenuti dannosi.

Anche alcune organizzazioni per i diritti digitali si trovano divise: se da un lato difendono la necessità di proteggere la libertà di espressione, dall’altro riconoscono il rischio di un ambiente digitale senza controlli adeguati.

Il futuro della moderazione dei contenuti online dipenderà in larga parte dagli sviluppi giuridici e dalle decisioni delle principali piattaforme.

Mark Zuckerberg ha già indicato che Facebook, Instagram e Threads si orienteranno msempre più verso una visione della libertà di espressione meno vincolata, riducendo le politiche di moderazione. Allo stesso tempo, il ritorno di Trump potrebbe mettere pressione su altre piattaforme per seguire la stessa strada, specialmente se il governo federale adotterà misure contro chi continua a implementare restrizioni.

L’esito di questo dibattito potrebbe ridefinire il rapporto tra politica, media digitali e libertà di parola per gli anni a venire.

Con un governo deciso a ridurre l’intervento pubblico nella moderazione dei contenuti e un’opposizione che teme le conseguenze di un web senza regole, la polarizzazione del discorso pubblico sembra destinata ad aumentare.

Le decisioni che verranno prese nei prossimi mesi potrebbero avere ripercussioni durature sulla qualità dell’informazione e sul diritto dei cittadini a esprimersi liberamente online.

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