A distanza di pochi giorni, i due colossi della tecnologia, Huawei e Apple, hanno lanciato al pubblico nuovi prodotti. A fine agosto l’azienda tech cinese ha presentato Mate 60 Pro, il primo smartphone interamente prodotto in Cina capace di collegarsi alla rete 5G, mentre lo scorso 12 settembre da Cupertino sono stati introdotti nuovi dispositivi “incredibili”, come li ha definiti il CEO Tim Cook.
Il Mate 60 Pro di Huawei è caratterizzato da processori realizzati da Smic, azienda cinese leader nella produzione di chip, il tipo di tecnologia che gli Stati Uniti vorrebbero tenere lontani dalle aziende cinesi.
Nel frattempo, è stata avanzata la proposta di vietare l’utilizzo dell’iPhone ad alcuni dipartimenti governativi cinesi e aziende statali, dopo che Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha parlato di indiscrezioni su presunte falle nella sicurezza dei dati sfruttabili dagli USA per spiare gli utenti degli iPhone di Cupertino, e il titolo di Apple è sceso del 6%, cancellando circa 200 miliardi di dollari dal suo valore di mercato.
Anche se, come evidenzia la banca d’affari Jefferies, 7 milioni circa di dipendenti pubblici cinesi possono permettersi un iPhone, la geopolitica influisce negativamente anche sull’azienda americana e sicuramente la rinnovata collaborazione con Smic per la produzione di chip porterà a inasprire i controlli anticinesi oltreoceano, in una reazione a catena senza fine.
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Divieti sui chip e conseguenze
Ricordiamo che lo scorso anno dagli Stati Uniti erano state limitate le esportazioni in Cina di chip avanzati e strumenti per produrli e l’azienda specializzata in processori per l’intelligenza artificiale Nvidia ritiene che i controlli commerciali, che potrebbero arrecare danni alle vendite di chip per l’AI, porteranno le sue entrate trimestrali a -6%, considerando che quasi il 25% dei chip è destinato alla Cina.
Secondo quanto dichiarato da Nvidia, poi, il governo americano lo scorso agosto stava tenendo sotto controllo le esportazioni dei chip verso il Medio Oriente per evitare molto probabilmente che la Cina potesse acquistarli lì.
Anche gli stessi produttori di chip hanno subito ritorsioni cinesi, infatti lo scorso maggio i chip di memoria di Micron sono stati esclusi da alcuni progetti infrastrutturali e ciò potrebbe provocare una riduzione delle entrate annuali di oltre il 10% e in più il divieto imposto da Apple ha fatto scendere in picchiata i prezzi delle azioni dei fornitori americani di chip del produttore di iPhone, come Cirrus, Qualcomm e Skyworks.
Nel caso dei produttori americani di strumenti per la produzione di chip, ad avvertire lo scorso anno di una riduzione delle vendite di 2 miliardi di dollari nel 2023, circa il 10% del fatturato, sono state lam Research e Applied Materials, che, però, possono continuare a vendere apparecchiature dedicate alla produzione di semiconduttori meno avanzati alla Cina, compensando in questo modo le perdite.
Per questo motivo, come riportato dalla società di analisi New Street Research, tra il 2019 e il 2023 sono aumentati di quattro volte gli acquisti cinesi di questi strumenti.
Gli USA vittime della loro stessa guerra tech
A questo quadro già abbastanza critico si aggiunge la possibilità che gli Stati Uniti limitino l’accesso cinese al cloud computing americano, secondo il Wall Street Journal, con conseguenze che non colpirebbero solo Apple, ma anche le altre grandi aziende tecnologiche USA, come Alphabet, Amazon, Microsoft.
Ecco che la lotta americana contro Huawei, Smic e gli altri colossi tech cinese diventa un pericoloso boomerang per gli Stati Uniti.
La quota di Huawei nelle vendite nazionali di smartphone è cresciuta dal 7% al 13% nell’anno fino al secondo trimestre del 2023, secondo la società di ricerca Idc.
Il nuovo dispositivo 5G, che ha registrato il tutto esaurito in due giorni, potrebbe incrementare ulteriormente la quota, così come il divieto di utilizzo dell’iPhone.
Anche Huawei trae vantaggio dagli sforzi di Smic per innovare in base ai controlli americani. Nella settimana successiva al lancio del Mate 60 Pro, infatti, il prezzo delle azioni del chipmaker è balzato del 10%.
Tensioni senza fine
Nelle continue tensioni tra le due potenze, non cessano le accuse dall’una e dall’altra parte. È di qualche giorno fa una nuova accusa dalla Cina nei confronti degli USA sull’aver portato avanti per anni attività di hackeraggio su Huawei.
Secondo quanto ha scritto sul suo profilo WeChat il ministero della Sicurezza di Stato cinese, “Nel 2009 l’Ufficio per le operazioni informatiche di rete (alle dipendenze dell’Agenzia di sicurezza nazionale Usa, Nsa) ha intrapreso attività di infiltrazione dei server nel quartier generale di Huawei, e ha continuato a condurre tali attività di sorveglianza”.
Le attività di spionaggio americane su Huawei sarebbero state scoperte dal Centro nazionale di risposta emergenziale ai virus informatici della Cina nel corso di indagini su un attacco informatico contro la Northwestern Polytechnical University di Xi’an, che avrebbero portato alla luce la presenza dello spyware “Second Date”, “sviluppato dall’Agenzia di sicurezza nazionale Usa, che si è infiltrata in migliaia di reti di numerosi Paesi in tutto il mondo” e in Huawei.