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Intelligence israeliana, il flop hi-tech contro Hamas: cosa non ha funzionato

L’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre scorso ha causato molteplici morti e feriti e riaperto una guerra che è stata già definita “lunga e difficile” sulla Striscia di Gaza. Nonostante l’inespugnabilità dell’intelligence israeliana, guadagnata e dimostrata negli anni, qualcosa sembra non aver funzionato, mettendo in evidenza un clamoroso flop dell’imponente sistema digitale di controllo e videosorveglianza

Pubblicato il 17 Ott 2023

Marco Santarelli

Investigative Analysis Government Entities, Advisory Information Security and Terrorism, Semiotics and Intelligence Professor

Hamas e servizi segreti israeliani

Con l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso, le tensioni tra Palestina e Israele si sono riaperte in una guerra che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha già definito “lunga e difficile”. Quello che stupisce è come possa essere successo che i servizi segreti israeliani non abbiano avvertito il pericolo dell’attacco.

L’intelligence israeliana è una sorta di fortezza che nel tempo si è consolidata sempre più, come dimostrano gli innumerevoli risultati ottenuti dalle agenzie quali il Mossad, lo Shin Bet e l’intelligence militare.

Guerra Israele-Hamas, che brutta figura per il digitale

Un’intelligence insolitamente impreparata

Questa volta il Paese è stato colpito in un giorno di festività ebraica e si è fatto trovare impreparato, nonostante il confine israeliano sia corazzato di telecamere di sicurezza, soldati di guardia, droni di sorveglianza e il lavoro costante delle agenzie di intelligence a tutte le informazioni possibili per la difesa nazionale.

Le truppe israeliane sono state ritirate da Gaza nel 2005 e, anche se nel 2007 Hamas ne ha preso il controllo, Israele ha mantenuto il suo vantaggio grazie all’intelligence tecnologica e umana, riuscendo a colpire facilmente i leader di Hamas, sorprendendoli anche nelle loro case e conoscendo i tunnel sotterranei utilizzati per il passaggio di armi e combattenti.

Secondo Amir Avivi, generale israeliano in pensione e presidente e fondatore del Forum di difesa e sicurezza israeliano, Israele, non avendo un punto d’appoggio all’interno di Gaza, si è affidata sempre di più alla tecnologia per l’acquisizione delle informazioni.

Hamas ha, invece, agito in maniera più rudimentale, sfruttando il passaggio umano di informazioni, in stanze protette dallo spionaggio tecnologico o dalla clandestinità, e non telefoni o computer. In questo modo l’intelligence israeliana ha avuto accesso solo a una piccola parte delle intenzioni di Hamas, che non le ha consentito di prevenire l’attacco.

Il giornalista Giovanni Minoli, in un’intervista televisiva, ha affermato che “È crollato il mito dei servizi segreti israeliani, era un castello di carta che ci è stato venduto come impenetrabile e perfetto, non è vero. Tutta l’intelligence, prevalentemente quella israeliana, si è basata sulla sorveglianza elettronica, mentre i capi di Hamas, reduci delle varie Intifada, hanno capito quello che Totò Riina sapeva, cioè che è meglio comunicare con i pizzini che con internet o il telefono. E nessuno sapeva come comunicavano”.

“È la riscoperta dell’essere umano nell’intelligence”, continua ancora Minoli. “Lo spionaggio e il controspionaggio si possono fare solo se si riscopre che bisogna stare nei posti fisicamente, infiltrarsi, conoscere e avere rapporti con le persone. Israele progressivamente si è troppo tecnologizzata e i servizi segreti sono diventati prevalentemente sorveglianza elettronica. È un problema di partenza fondamentale che riguarda tutti i servizi segreti. Servono cose concrete fatte da uomini. In qualche modo esce sconfitta la tecnologia pura, l‘affidarsi in modo eccessivo e quasi divino escludendo progressivamente l’uomo e la sua capacità di analisi”.

Nell’epoca della Digital Transformation e di un inarrestabile sviluppo tecnologico, ecco che il Paese tra i più avanzati dal punto di vista tecnologico e con un’intelligence che ha basato su questo la sua forza, si è fatto sorprendere da un attacco pianificato sul vecchio metodo dei pizzini e degli incontri sotterranei.

Il mito dei servizi segreti israeliani

Israele nasce nel 1948 e da subito con una forte intelligence a sua difesa. La struttura dei suoi servizi è costituita da tre reparti: l’agenzia che si occupa dell’estero, il Mossad, l’agenzia per gli affari interni, lo Shin Bet, e il corpo di intelligence militare dell’Israel Defence Force, l’Aman. Questi apparati non agiscono mai senza il consenso del governo di Tel Aviv.

Il Mossad ha una storia di oltre settant’anni di colpi importanti portati a segno, dall’infiltrazione della spia Eli Cohen ai vertici della Siria alla guerra “ombra” degli ultimi anni contro l’Iran e il suo programma nucleare e tanto altro. Al suo interno si ramifica in diversi dipartimenti per le operazioni sul campo, centri di raccolta informativa e unità destinate alla destrutturazione delle reti economiche e finanziarie dei terroristi, così come un fondo di venture capital che segretamente finanzia start-up tecnologiche per poi acquisirne le competenze.

Lo Shin Bet si dedica alla difesa e al controspionaggio e opera soprattutto contro il terrorismo in Israele e nei territori occupati nel West Bank come di Gaza attraverso il “dipartimento arabo” e con un’unità operativa, la Yamas, sottoposta alla direzione operativa dello Shin Bet e interna all’organico della polizia di frontiera.

Ultimo, ma non per importanza, l’Aman ha il compito di raccogliere ed elaborare dati e informazioni per progettare campagne militari e operazioni coperte. Notevole il suo impegno nella cyberintelligence, anche grazie alla sua Unità 8200, interna, che si occupa delle operazioni nel dominio cyber.

Criptovalute a sostegno della macchina bellica di Hamas: così adesso si finanzia il terrorismo

Falle nell’intelligence o c’è altro?

Le ultime vicende tra Israele e Palestina sembrano aver portato a galla una falla nell’intelligence israeliana, che ha permesso a Hamas di colpire indisturbata. Mossad e Shin Bet, a quanto pare, non hanno potuto evitare la più grande operazione avvenuta mai in Medio Oriente, come l’ha definita l’ex capo del controspionaggio italiano Marco Mancini in un’intervista, il controspionaggio di Hamas.

Secondo Mancini, “Qui c’è stata una decadenza a livello mondiale dell’uso del fattore humint, quella che è sempre stata la base di tutte le intelligence del mondo compresa la nostra quando c’era Giovannone”. Hamas ha fatto in modo di far arrivare a Tel Aviv notizie incomplete, utilizzando finte fonti, e nel frattempo ha addestrato giovani sequestratori che si sono recati con i deltaplani in Egitto, dove ci sono scuole di volo.

Come afferma Mancini, quello di cui ha peccato l’intelligence israeliana è stata affidarsi totalmente alla tecnologia, che è sì un aspetto importante, ma non può essere fondamentale e sostitutivo del fattore umano. “Un servizio segreto che funziona deve essere imperniato sulla attività humint, sul reclutamento di fonti umane. Le fonti tecniche sono un supporto degli umani non una sostituzione. Hamas infiltra il Mossad e lo Shin Bet e propala notizie e questo si può sconfiggere solo con il reclutamento di fonti umane”.

La facilità con cui Hamas è riuscita a organizzare il sequestro di 200 israeliani, sfuggendo al controllo della loro intelligence, fa pensare alla possibilità che attacchi di questo tipo possano ripetersi anche in altri paesi o addirittura in Europa.

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