Pochi giorni fa il Dipartimento di Stato americano ha accusato la Cina di utilizzare “metodi ingannevoli e coercitivi” per modellare l’ambiente informativo globale a suo vantaggio, investendo miliardi di dollari per costruire un ecosistema mondiale che promuova la sua propaganda.
Il paese, infatti, starebbe orientando i propri sforzi per agevolare la censura e diffondere la disinformazione, attraverso metodi come l’acquisizione di partecipazioni in giornali e reti televisive straniere e l’utilizzo delle principali piattaforme di social network per esercitare pressioni sulle organizzazioni internazionali e sui media.
Secondo il rapporto storico pubblicato dal Dipartimento di Stato, tali iniziative consentono alla Cina di piegare l’ambiente dell’informazione globale a proprio favore, favorendo la diffusione di informazioni distorte o incomplete in modo da portare gli altri stati a prendere decisioni che subordinano i loro interessi economici e di sicurezza a Pechino.
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Ingerenza informativa globale della Cina: le tecniche
A questo proposito, il Global Engagement Center spiega come, per gestire e controllare il flusso di informazioni critiche, alcuni dei metodi che Pechino ha affinato negli anni sono basati sull’uso di affermazioni false o di parte, accanto a un diffuso impiego della censura.
Il rapporto cita come esempio di tali attività manipolative l’uso, da parte del Partito Comunista Cinese, delle reti di bot automatizzate per amplificare la diffusione dei post dei propri diplomatici o per attaccare quelli degli omologhi stranieri.
Altre tecniche messe in atto in questo senso consistono nell’impiego dei dipendenti dei media statali come “influencer” sui principali social media al fine di raggiungere il pubblico internazionale, e nell’acquisizione di tecnologie satellitari e di telecomunicazioni in modo da poter monitorare e controllare le informazioni diffuse online.
In aggiunta a ciò, la China Central Television, un organo di stato, fornisce gratuitamente riprese video e sceneggiature televisive a 1.700 organizzazioni di stampa straniere. In molti casi, i contenuti prodotti dai media ufficiali della RPC vengono riconfezionati per i media locali senza marchi che possano identificarli come provenienti da un governo straniero.
Negli ultimi anni, inoltre, Pechino ha intensificato le sue campagne di influenza su piattaforme di social media come X (ex Twitter) e YouTube, in particolare su questioni di hot-button come lo Xinjiang, il Mar Cinese Meridionale e Taiwan, mentre i suoi media statali hanno istituito partnership editoriali con media tradizionali e online in altre parti del mondo, a volte anche acquistando il controllo di alcune sedi.
L’ingerenza cinese in Africa e nel sudest asiatico
Nel caso specifico della Thailandia, per aggirare le leggi locali che impongono limiti al controllo estero dei media e acquistare il sito di notizie più popolare del Paese, una delle principali società tecnologiche della RPC è arrivata a creare una propria filiale gestita da cittadini thailandesi.
La Cina è diventata un fornitore leader di servizi televisivi digitali anche in Africa. Nella regione sub-sahariana del continente, infatti, è molto diffusa l’azienda StarTimes, che offre accesso alle reti televisive digitali e via satellite a prezzi accessibili.
Controllando i fornitori di servizi TV via cavo, la RPC è in grado di determinare a quali emittenti gli spettatori possono accedere, escludendo i canali di notizie occidentali dai pacchetti di base.
L’uso dell’intelligenza artificiale nelle fake news
In uno studio del settembre 2023 Microsoft evidenzia che gli sforzi di disinformazione cinesi hanno riguardato anche l’uso dell’intelligenza artificiale per produrre “contenuti accattivanti che hanno attirato la ricondivisione da parte degli utenti riconosciuti dei social media di tali contenuti”.
Già nell’aprile 2023, l’Accademia di Intelligenza Artificiale di Pechino (BAII) – istituto affiliato al Governo – risultava, secondo quanto affermato dal presidente di Microsoft Bradford L. Smith, tra le migliori al mondo nello sviluppo dell’AI generativa.
Quanto sostenuto da Smith trova riscontro anche in un report della RAND Corporation, dal titolo “The Rise of Generative AI and the Coming Era of Social Media Manipulation 3.0 – Next-Generation Chinese Astroturfing and Coping with Ubiquitous AI”, il quale esamina come Pechino potrebbe utilizzare l’intelligenza artificiale generativa – insieme ai modelli linguistici di ultima generazione come ChatGPT – per condurre le sue operazioni di aumento della propria influenza tramite la distorsione delle informazioni.
Tuttavia, il rapporto del Dipartimento di Stato ha messo in luce che i notevoli investimenti cinesi per raggiungere l’impatto desiderato sia nei paesi asiatici che occidentali hanno incontrato importanti resistenze in quest’ultimi, soprattutto da parte dei media locali e della società civile portando, su questo fronte, a dei risultati contrastanti per il programma della RPC.
Al contrario, nei paesi asiatici, i media statali cinesi troverebbero un terreno fertile, diffondendo “in modo amplificato” la propria propaganda anti-NATO e pro-Cremlino. Ad esempio, tali media sostengono la posizione di Mosca secondo cui nell’ambito dell’attuale conflitto in Ucraina vi erano delle strutture segrete per le armi biologiche finanziate dagli Stati Uniti sul territorio ucraino.
Una sfida per l’integrità dello spazio informativo globale
La manipolazione globale dell’informazione da parte della Cina non è semplicemente una questione di diplomazia pubblica, ma una sfida per l’integrità dello spazio informativo globale. Più in generale, la RPC cerca di coltivare e sostenere una struttura di incentivi mondiale che incoraggi governi, società civile e giornalisti stranieri ad accettare le sue narrazioni principali ed evitare di criticare la sua condotta.
In questo contesto, date le premesse sull’ampio uso della disinformation cinese come strumento di ingerenza sociopolitico, è interessante esaminare il ruolo che, secondo la stampa americana, potrebbe avere Pechino in vista delle elezioni presidenziali statunitensi del 2024.
A tal proposito, le politiche di Pechino potrebbero tradursi in un futuro in cui la tecnologia produca una forte contrazione della libertà di espressione globale.
La Cina, infatti, potrebbe avere una funzione significativa – e spesso occulta – nel determinare la stampa e il contenuto digitale di cui la società civile si serve nei paesi in via di sviluppo, amplificando così le narrazioni preferite di Pechino su questioni come Taiwan e l’economia internazionale.
L’accesso ai dati globali, combinato con gli ultimi sviluppi della tecnologia di intelligenza artificiale, consentirebbe alla RPC di rivolgersi in modo puntuale al pubblico straniero e quindi probabilmente influenzare le decisioni economiche e di sicurezza a suo favore.
Ipotizzando questo scenario, ciò costituirebbe una sfida diretta a tutti i paesi che cercano di intraprendere relazioni con la RPC in virtù delle valutazioni basate sui fatti dei loro interessi sovrani.
La manipolazione delle informazioni è una seria minaccia
Pertanto, emerge la necessità di una maggiore vigilanza e consapevolezza riguardo all’ampio utilizzo di mezzi e strategie, non solo da parte della Cina, ma anche da parte di altri paesi, per manipolare le notizie e influenzare l’ambiente informativo globale. La manipolazione delle informazioni rappresenta una minaccia non solo per gli interessi dei singoli paesi, ma anche per l’integrità del dibattito pubblico e la libertà di espressione in tutto il mondo.
È essenziale la collaborazione tra nazioni
In risposta a questa sfida, è necessario che i governi si impegnino attivamente nel promuovere dialoghi internazionali che approfondiscano questi temi complessi e i rischi associati alla manipolazione dei mezzi di informazione.
La collaborazione tra nazioni è essenziale per sviluppare strategie e soluzioni condivise in un’epoca in cui la tecnologia e le tattiche di disinformazione sono sempre più sofisticate.