Varsavia qualche giorno fa è stata la sede dell’incontro tra la CIA, rappresentata dal suo direttore William J. Burns, il Mossad, tramite il suo capo David Barnea, e l’emiro del Qatar Mohammed Al Thani per pianificare una nuova tregua Israele-Hamas dopo quella che si è tenuta nell’ultima settimana di novembre.
La capitale polacca è stata lo scenario del secondo incontro tra Barnea e Al Thani, che si sarebbero visti anche ad Oslo qualche giorno prima, secondo quanto riporta il Wall Street Journal.
Dominio tecnologico israeliano nella lotta ad Hamas: vera forza in campo, ma anche tallone d’Achille
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Medio-oriente: il ruolo dell’intelligence e il caso Spy Cables
Nell’avvicinamento tra i capi delle intelligence coinvolte oggi c’è un precedente. Risale a 8 anni fa ormai, parliamo del 2015, una delle fughe di dati di intelligence classificati più importanti, dopo il caso Snowden del 2013, chiamata Spy Cables, comprendente documenti dal 2006 al 2014.
Tra le informazioni secretate diffuse in quell’occasione da Al Jazeera e The Guardian, tutte di livello di segretezza Top Secret Ultra – Eyes Only, anche i tentativi da parte della CIA di mettersi in contatto con Hamas, tramite un agente sudafricano, anche se esiste un divieto ufficiale degli Stati Uniti, dell’Europa e di Israele, essendo il gruppo islamico classificato come organizzazione terroristica.
Il secondo documento trapelato riguardava l’informazione sui tentativi dell’Iran di costruire un’arma nucleare, a cui i servizi segreti israeliani non hanno mai dato credibilità, e le preoccupazioni in merito espresse dal primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu durante la 67° sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Il rapporto condiviso dal Mossad israeliano con il Sudafrica, a seguito della sessione con le Nazioni Unite, ribadiva l’impossibilità dell’Iran di produrre armi nucleari e il Mossad a quanto pare aveva fatto pressione alle Nazioni Unite sulla missione conoscitiva a Gaza, preoccupato che potesse pregiudicare la posizione di Israele negli accordi di pace con la Palestina.
L’ex capo dell’intelligence israeliana Meir Dagan aveva contattato il collega sudafricano prima del voto in merito nel Consiglio dei diritti umani delle Nazioni unite. L’appoggio a Dagan da parte del leader dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas era dovuta ai timori secondo cui il rapporto delle Nazioni Unite avesse favorito Hamas.
Su richiesta da parte di Washington, i servizi segreti del Sud Africa avevano poi sfruttato risorse per monitorare agenti iraniani e la MI6, l’intelligence inglese, aveva sospeso le vendite sudafricane verso una società iraniana, coinvolta probabilmente nello sviluppo di missili balistici.
Nel terzo documento diffuso la volontà da parte della MI6 di reclutare un agente della Corea del Nord, per cui l’intelligence inglese aveva chiesto una lista di possibili agenti da avvicinare durante i voli tra Sudafrica e Corea del Nord. Non si è mai conosciuto l’esito della richiesta.
Assenti Regno Unito e Francia
Secondo fonti anonime, le informazioni segrete rese note tramite Spy Cables potrebbero celare la motivazione che ha portato il Regno Unito e la Francia a essere assenti a Varsavia.
Le due potenze europee sono state le protettrici occidentali di Israele fino a quando il Presidente inglese Johnson non ha permesso al governo israeliano di acquistare carri armati americani e aerei di combattimento.
Ricordiamo che negli anni Settanta il Presidente Nixon aveva mandato aiuti diretti a Tel Aviv, ufficializzando l’entrata dello Stato ebraico sotto l’egida degli Stati Uniti e ancora più indietro, negli anni Cinquanta, Regno Unito e Francia si erano servite di Israele per fronteggiare il leader panarabo egiziano Nasser che, con la nazionalizzazione del Canale di Suez e il conseguente divieto di passaggio delle loro navi, aveva tentato di minare gli interessi economici di entrambe le europee.
Un cessate il fuoco unanime
Un altro degli obiettivi primari della riunione a Varsavia è stato quello di raggiungere un’altra pausa umanitaria sulla Striscia di Gaza, seconda a quella che tra il 24 e il 30 novembre scorso ha permesso di portare aiuti umanitari e di liberare 110 ostaggi israeliani in cambio di circa 300 detenuti palestinesi. Al ripristino delle tensioni, terminata la tregua temporanea, Israele ha ripreso con forza i bombardamenti e si è spinta con le operazioni anche a sud attorno a Khan Yunis.
L’alto numero di vittime e feriti, che secondo fonti palestinesi si aggirano intorno, rispettivamente, ai 19.000 e ai 50.000, e le tante uccisioni di civili innocenti, ha indotto gli Stati Uniti, che hanno mandato a Tel Aviv prima il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan e poi il segretario alla Difesa Lloyd Austin, a sottolineare la necessità di portare l’operazione militare a una fase 2, depotenziata rispetto a come è attualmente e più mirata, mentre gli altri alleati di Israele stanno chiedendo a gran voce il cessate il fuoco, Regno Unito e Germania, per esempio, e Francia tramite la ministra degli Esteri francese Catherine Colonna, dopo l’uccisione di un funzionario del suo ministero a causa dei bombardamenti su Gaza.
Austin, nei suoi scambi diplomatici, ha anche ricordato l’invio degli aiuti umanitari e l’importanza di distribuirli ai 2 milioni di sfollati a Gaza nella giusta maniera.
Alla luce delle ultime nuove misure adottate da Tel Aviv, come il valico israeliano di Kerem Shalom, da parte di Washington non mancherà il sostegno a Israele con la fornitura dell’equipaggiamento necessario, “inclusi munizioni di importanza cruciale, veicoli tattici e sistemi di difesa aerea”, e per la liberazione degli ostaggi.
La situazione degli ostaggi
Il Jerusalem Post parla di 129 persone al momento ancora tenute in ostaggio a Gaza, ma non tutti vivi a quanto pare.
Quattro ostaggi sono stati liberati durante la prima tregua e uno è stato salvato dai soldati israeliani.
Sono stati recuperati i corpi di 8 ostaggi, 3 sono stati uccisi per errore dalle Forze di difesa israeliane, le quali hanno confermato anche 20 vittime tra gli ostaggi ancora detenuti da Hamas.
Grazie all’intercessione del Qatar, i civili liberati nel primo accordo sono stati 105, di cui 81 israeliani, 23 cittadini thailandesi e un filippino, mentre da parte di Israele sono stati 240 donne e minori palestinesi.