Il 15 giugno 2023, il NIS Cooperation Group, l’ente preposto a garantire un livello comune di sicurezza per le reti e i sistemi informativi dell’UE, in collaborazione con gli Stati Membri e l’ENISA, ha pubblicato il secondo report sullo stato di implementazione del Toolbox sulla sicurezza delle reti 5G.
In base alle informazioni raccolte, dieci Stati Membri avrebbero già proceduto ad introdurre delle restrizioni in materia, mentre altri tre starebbero lavorando all’implementazione di una legislazione nazionale.
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I provvedimenti dell’UE contro Huawei e ZTE
Nel 2020, infatti, erano state promulgate le suddette raccomandazioni con la finalità di identificare un insieme di misure in grado di mitigare i principali rischi correlati alle reti 5G e promuovere un approccio coordinato tra gli Stati Membri.
Tale attività è stata condotta attraverso l’analisi di diversi scenari di rischio e ha prodotto misure di mitigazione tecniche e strategiche.
Rientrerebbero tra queste ultime i provvedimenti presi dall’Unione nei confronti di Huawei e ZTE, dal momento che, come affermato dal Commissario Europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, “i due colossi delle tlc cinesi rientrano tra gli operatori considerati ad alto rischio nelle raccomandazioni UE e rappresentano un grave rischio per la sicurezza collettiva dell’Unione”.
Tale posizione è stata appoggiata anche dalla Vicepresidente della Commissione Europea Margrethe Vestager che via Twitter ha dichiarato che “la Commissione restringerà per questi fornitori i nostri servizi di connettività e gli strumenti di finanziamento della UE”.
Today Member States report on 5G security. The Commission considers restrictions taken on Huawei & ZTE are justified & compliant with the EU Toolbox. The Commission will restrict these suppliers from our own connectivity services and EU funding instruments https://t.co/YmAb8GA3gP
— Margrethe Vestager (@vestager) June 15, 2023
Sempre il 15 giugno, la Commissione ha divulgato la comunicazione Implementation of the 5G cybersecurity Toolbox in cui Huawei e ZTE vengono classificate come “operatori ad alto rischio”.
Tale considerazione si fonda su valutazioni condotte dagli Stati europei e terzi e sulle rispettive misure legislative volte ad affrontare i rischi derivanti dai fornitori.
Altri criteri presi in considerazione sono:
- i report redatti dalla Corte dei Conti europea;
- la probabile interferenza di uno Stato terzo senza gli adeguati vincoli giuridici o giudiziari;
- il livello delle attività malevole in grado di ostacolare la sicurezza informatica delle istituzioni europee;
- i rischi di potenziali interruzioni nella catena di approvvigionamento di apparecchiature 5G nell’attuale scenario geopolitico;
- la presenza di fornitori ad alto rischio nelle reti 5G dell’Unione europea.
Reti 5G: l’UE vuole evitare dipendenze tecnologiche
Sulla base delle informazioni disponibili, la Commissione Europea collaborerà con gli Stati Membri e gli operatori di telecomunicazioni per evitare l’esposizione delle proprie comunicazioni aziendali alle reti mobili che si servono di Huawei e ZTE.
Le due aziende cinesi saranno progressivamente escluse dai servizi di connettività dei siti della Commissione, dal momento che, come affermato da Breton, mantenere dipendenze in settori critici come quello delle reti 5G costituirebbe una vulnerabilità troppo alta per la sicurezza comune.
Già prima della diffusione della comunicazione della Commissione Europea, il 7 giugno nel Regno Unito è stato proposto un inasprimento delle leggi sugli appalti per proteggere i settori strategici. Nello specifico, il Governo ha proposto l’istituzione di una nuova agenzia, l’Unità di Sicurezza Nazionale per gli Appalti, con il compito di indagare sui fornitori e con il potere di vietare a specifiche entità di partecipare a determinati appalti.
Sempre per questioni relative alla sicurezza nazionale, nello stesso periodo Londra ha annunciato la propria intenzione di rimuovere le apparecchiature di sorveglianza di fabbricazione cinese da siti governativi sensibili. I legislatori britannici avevano già chiesto in passato di proibire la vendita e l’uso di telecamere prodotte da Hikvision e Dahua, due aziende cinesi in parte di proprietà statale, per timori legati alla privacy degli utenti e alla possibilità che i loro prodotti fossero collegati a violazioni dei diritti umani in Cina.
Le reazioni di Pechino alle manovre dell’UE
In seguito alla divulgazione della comunicazione, un portavoce del Ministero degli Affari Esteri di Pechino ha manifestato la sua opposizione alla proposta e ha affermato che la Commissione Europea non ha alcuna base legale né prove concrete per limitare le attività delle imprese cinesi.
Da parte sua, Huawei ha criticato la manovra, affermando che non si basa su una valutazione approfondita, trasparente, obiettiva e tecnica delle reti 5G. Infine, ZTE ha richiesto ai legislatori e alle autorità di regolamentazione europee di essere ricevere una valutazione equa e obiettiva, come qualsiasi altro fornitore.
Malgrado i provvedimenti nei confronti delle società tecnologiche cinesi siano stati giustificati come misure necessarie a proteggere comparti strategici, secondo le stime dell’industria, i divieti sulle apparecchiature di telecomunicazione Huawei potrebbero costare agli Stati Uniti e ai loro alleati più di 100 miliardi di dollari.
Altri effetti potrebbero riguardare un’introduzione più lenta dei servizi 5G e l’applicazione di prezzi più elevati da parte dei concorrenti di Huawei.
Le possibili conseguenze geopolitiche
Da un punto di vista geopolitico, le sanzioni nei confronti delle imprese di Pechino potrebbero provocare reazioni da parte della Repubblica Popolare Cinese.
Per esempio, nel maggio 2023 il Governo ha comunicato agli operatori nazionali di non acquistare più i beni dell’azienda statunitense produttrice di chip Micron Technology.
La mossa ha fatto seguito alla conclusione di un’indagine iniziata a marzo dall’Amministrazione Cinese del Cyberspazio, l’organo che regola Internet nel Paese.
L’ente ha reso noto che tali prodotti “comportano gravi rischi per la sicurezza delle reti che mettono a repentaglio l’infrastruttura informatica cinese e incidono sulla sicurezza nazionale”.
Come ha puntualizzato Megha Shrivastava, ricercatore presso il Dipartimento di Geopolitica e Relazioni Internazionali dell’Accademia di Istruzione Superiore di Manipal, in India, l’azione di Pechino è avvenuta sullo sfondo di due eventi.
In primis, il vertice del G-7 a Hiroshima in cui è stato deciso di diversificare le catene di fornitura di tecnologie critiche, indicando i rischi posti dalla Cina. In secondo luogo, l’annuncio della Micron di voler investire 3,6 miliardi di dollari in Giappone.
Prima di avviare la verifica dei prodotti Micron, i responsabili politici cinesi hanno approvato un finanziamento da 1,9 miliardi di dollari a Yangtze Memory Technologies Corp (YMTC), il più grande produttore nazionale di chip di memoria.
Grazie a questa somma, YMTC dovrebbe riprendersi dalle sanzioni imposte da Washington a febbraio e avvicinarsi a concorrenti come Samsung e SK Hynix. Anche Eric Xu, Presidente a Rotazione di Huawei, ha dichiarato che la società ha creato strumenti di progettazione necessari per produrre semiconduttori.
Gli impatti e i possibili scenari
Secondo Shrivastava, una delle strategie della Cina per compensare l’impatto delle misure statunitensi consisterebbe nel rafforzare la dipendenza dei Paesi stranieri dal proprio mercato.
La Repubblica Popolare rappresenta, infatti, la destinazione principale per qualsiasi azienda produttrice di chip. L’esclusione di un’impresa straniera dal mercato cinese favorirebbe Pechino per due motivi.
In primo luogo, la sua ritorsione darebbe un senso di esclusività alle autorità di regolamentazione cinesi, incoraggiando le aziende a non agire contro gli interessi nazionali. Inoltre, l’eliminazione dei fornitori stranieri dal mercato interno creerebbe spazio per quelli nazionali emergenti.
Mentre produttori come SK Hynix e Samsung dipenderebbero dall’estero, il bacino cinese sarebbe abbastanza grande da poter ospitare le aziende nascenti.
In particolare, la piattaforma mediatica cinese Ijiwei ha riferito che la decisione di escludere Micron potrebbe favorire i produttori nazionali di memorie, come Ingenic, ChangXin Memory Technologies, YMTC e GigaDevice.