DOMANDA
La mia Società offre servizi di consulenza web marketing anche tramite fornitori statunitensi, che cosa devo fare con lo stop del Privacy Shield?
RISPOSTA
Con la sentenza della Corte di Giustizia Europea relativa alla Causa C-311/18 e la dichiarazione circa l’invalidità della decisione (UE) 2016/1250 (il c.d. Privacy Shield), la Corte ha stabilito che il livello di protezione richiesto per i dati personali trasferiti verso gli Stati Uniti non è adeguato.
In estrema sintesi, il trasferimento dei dati verso gli Stati Uniti, se basato sul Privacy Shield, non è più ammesso, ovvero lo stop del Privacy Shield comporta l’impossibilità, per il titolare o responsabile del trattamento, di trasferire i dati personali negli Stati Uniti laddove tale trattamento è basato sulla decisione bocciata dalla Corte.
Questo però non implica una richiesta di cambio repentino di fornitori di servizi, nel caso questi abbiano sede negli Stati Uniti.
Tale scenario andrebbe analizzato alla luce di una valutazione di non adeguatezza degli altri meccanismi previsti dal GDPR. Infatti, la legittimità del trasferimento dei dati oltreoceano può comunque essere garantita laddove applicabile uno dei casi previsti dagli artt. 46-49 del GDPR.
Operativamente, prima di quest’ultima analisi, si suggerisce di procedere con la mappatura dei trattamenti effettuati sia in qualità di titolare sia di responsabile del trattamento, quindi di individuare i soli fornitori con base negli Stati Uniti e verificare le condizioni di ammissibilità del trasferimento.
Un ultimo suggerimento, che pare utile proprio in considerazione dello stato normativo in rapida evoluzione, è quello di monitorare il sito web del Garante privacy italiano e dell’European Data Protection Board (EDPB).
Quest’ultimo, in particolare, ha recentemente pubblicato una serie di risposte alle domande più frequenti in relazione allo stop del Privacy Shield e ha annunciato che a breve pubblicherà delle linee guida a supporto dei titolari e responsabili del trattamento.
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