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Annunci pubblicitari online, Big Tech di nuovo nel mirino del legislatore USA: quali conseguenze

Negli USA è stato presentato un disegno di legge il cui scopo è quello di evitare l’insorgere di conflitti di interesse nel settore della pubblicità digitale: se approvato, sarebbe il cambiamento più significativo alla legge antitrust avvenuto sinora e potrebbe portare a importanti conseguenze nel settore degli annunci online. Facciamo il punto

Pubblicato il 25 Mag 2022

Marina Rita Carbone

Consulente privacy

Annunci pubblicitari online

È stato presentato, da parte di un gruppo di senatori bipartisan statunitensi guidati dal Senatore Repubblicano dello Utah Mike Lee, un disegno di legge il cui scopo è quello di evitare l’insorgere di conflitti di interesse nel settore della pubblicità digitale.

L’approvazione di detto disegno di legge, denominato Competition and Transparency in Digital Advertising Act, porterebbe a importanti conseguenze nel settore degli annunci online, prendendo di mira le grandi aziende che operano nel settore della pubblicità digitale.

Si tratta di un settore in vertiginosa crescita (quasi il 50% in più rispetto allo scorso anno, secondo le rilevazioni svolte da WARC, il servizio di marketing intelligence internazionale) cui le sole Big Tech contribuiscono per oltre il 10%, con investimenti multimiliardari. Per tale ragione, appare fondamentale prevenire, mediante una specifica regolamentazione, i limiti entro cui le aziende possono operare in detto mercato, prevenendo possibili forme di abuso che snaturerebbero il mercato e lederebbero la sana concorrenza.

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Il mercato degli annunci pubblicitari online

Come anticipato in premessa, il Competition and Transparency in Digital Advertising Act è stato promosso sia dal senatore Mike Lee che dai senatori Ted Cruz (Texas), Amy Klobuchar (Minnesota) e Richard Blumenthal (Connecticut). Come rilevato dal Wall Street Journal, si tratta di una delle proposte legislative più aggressive nei confronti delle Big Tech fra quelle avanzate sinora, con impatti diretti per le aziende che operano nel mercato del digital advertising e che hanno fatto di tale attività il loro cavallo di battaglia.

Lo scopo perseguito dai senatori è quello di limitare la capacità dei grandi player della pubblicità digitale di possedere più parti del c.d. “stack pubblicitario”. Così facendo, sarebbe ripristinata e tutelata la concorrenza del mercato, ed eliminati i fenomeni di conflitto di interesse che, ad oggi, hanno consentito l’insorgenza di forme di monopolio su uno dei mercati più rilevanti dell’economia digitale tutta.

Come esplicato all’interno della scheda informativa resa pubblica dai Senatori, il mercato degli ads pubblicitari funziona mediante un sistema di aste in tempo reale: quando un utente apre un sito web o una app, l’asta viene generata e, in una frazione di secondo, il vincitore può pubblicare il proprio annuncio nello spazio riservato del sito. Questo accade miliardi di volte al giorno, mediante l’utilizzo, da parte degli editori e degli inserzionisti di broker che comunicano fra loro, gestendo la domanda e l’offerta per gli annunci.

Ad oggi, si legge nella scheda, “La pubblicità digitale è dominata da Google e Facebook. Google, in particolare, è l’attore principale o dominante in ogni parte dello stack pubblicitario: buy-side, sell-side e lo scambio che li collega. Ad esempio, Google Ad Manager è utilizzato dal 90% dei grandi publisher e nel terzo trimestre del 2018 ha pubblicato il 75% di tutte le impressioni degli annunci online. Google utilizza il suo pervasivo potere di mercato in tutto l’ecosistema della pubblicità digitale e sfrutta numerosi conflitti di interesse per estrarre rendite di monopolio e impilare il mazzo a suo favore. Questi canoni di monopolio funzionano come una tassa, fino al 40%, su ogni sito Web supportato da pubblicità e su ogni attività che pubblicizza online, collettivamente un enorme segmento dell’economia moderna”.

Nel caso di Google, sono molteplici le condotte anticoncorrenziali che si presume siano state adottate, e che hanno generato un conflitto di interesse dannoso per clienti e concorrenti terzi dell’azienda:

  1. fornitura, per i propri servizi pubblicitari, di informazioni e dati che hanno generato un vantaggio, in termini di velocità, rispetto alla concorrenza;
  2. preferenza dei propri servizi a discapito di clienti e concorrenti dell’azienda;
  3. utilizzo delle informazioni sull’attività commerciale dei concorrenti per avere un vantaggio sui propri prodotti;
  4. imposizione, nei confronti degli editori, della licenza dell’ad server di Google;
  5. utilizzo del suo controllo sulla pubblicazione degli annunci dell’editore per bloccare la concorrenza di altri scambi di annunci;
  6. manipolazione delle aste per escludere la concorrenza dai servizi pubblicitari concorrenti;
  7. assenza di trasparenza;
  8. utilizzo del proprio stack di annunci per sanzionare editori e concorrenti che cercano di sviluppare nuove alternative all’ad server di Google.

I comportamenti anticoncorrenziali rilevati in capo a Google possono estendersi anche nei confronti degli altri soggetti che operano nel mercato, e che si trovano ad operare decine di miliardi di operazioni di ad digitale.

I dettagli del disegno di legge

Il disegno di legge cerca di affrontare alcune delle accuse venute alla luce nella causa antitrust intentata contro Google nel 2020 da oltre una dozzina di procuratori generali dello stato, guidati dal procuratore generale del Texas Ken Paxton. L’accusa sosteneva, in particolare, che Google abbia ingannato editori e inserzionisti per anni, circa i prezzi e le modalità di funzionamento delle proprie aste pubblicitarie, strutturando in segreto dei programmi che riducevano le vendite per alcune aziende, mentre aumentavano i prezzi per gli acquirenti.

Il Competition and Transparency in Digital Advertising Act prevede due distinte modalità per tutelare la concorrenza nel mercato della pubblicità digitale.

In primo luogo, si vieta alle grandi aziende che operano nel mercato di possedere più di una parte dell’ecosistema pubblicitario digitale, nel caso in cui elaborano più di 20 miliardi di dollari in transazioni pubblicitarie digitali. Non potrà esserci commistione di ruoli tra i proprietari di piattaforme lato offerta, i proprietari di piattaforme lato domanda, e i proprietari di uno scambio pubblicitario (salvo che i proprietari dello scambio intendano pubblicizzare i loro stessi prodotti).

In secondo luogo, si richiede alle società di pubblicità digitale di medie e grandi dimensioni che elaborano più di 5 miliardi di dollari in transazioni pubblicitarie digitali, di rispettare una serie di obblighi, tra cui, in particolare:

  1. agire nel miglior interesse dei propri clienti;
  2. rendere ai propri clienti informazioni trasparenti, di modo tale che gli stessi possano verificare il rispetto del precedente obbligo;
  3. se la società è autorizzata ad operare su entrambi i lati del mercato, ossia domanda ed offerta, deve erigere dei firewall per prevenire l’insorgenza di fenomeni di abuso e conflitti di interesse;
  4. fornire un accesso equo al mercato a tutti i clienti, per quanto riguarda le prestazioni rese e le informazioni relative alle transazioni, ai processi di scambio e alla funzionalità della piattaforma.

Si prevede anche un diritto di azione da parte dei clienti lesi nel caso in cui si riscontrino delle violazioni degli obblighi citati, quando a violarli siano le aziende che superano la soglia del 20 miliardi di dollari delle transazioni.

Le aziende avrebbero un anno dall’entrata in vigore della legislazione per conformarsi alle nuove regole. Una volta entrata in vigore, la normativa sarebbe applicata dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e dai procuratori generali dello stato.

Le conseguenze per Google e le altre Big Tech

Sulla scorta di quanto sinora esposto, ben si evince come la misura avrebbe un impatto diretto su Google, che oggi rappresenta il player principale nella catena che collega gli acquirenti e i venditori di pubblicità online, gestendo i principali strumenti che aiutano le aziende a commercializzare annunci, così come le case d’asta o le piattaforme di scambio su cui le transazioni avvengono.

Google, così come le altre grandi aziende dotate delle medesime caratteristiche nel mercato di riferimento, si vedrebbe costretta, al fine di adeguarsi alla normativa, a rinunciare a parte delle proprie attività, che solo nel 2021 hanno generato entrate per 31,7 miliardi di dollari. Anche Facebook sarebbe probabilmente obbligata a cedere porzioni significative della sua attività pubblicitaria ai sensi della nuova legislazione.

All’interno del comunicato stampa, il senatore Lee ha affermato che “La pubblicità digitale è la linfa vitale dell’economia di Internet. Supporta la maggior parte dei contenuti e dei servizi gratuiti su cui gli americani fanno affidamento, incluso il giornalismo locale essenziale, e consentono alle aziende di ogni dimensione di raggiungere i propri clienti in modo rapido ed efficiente. continuo, anche la pubblicità online sta soffrendo sotto il controllo di aziende tecnologiche da trilioni di dollari”.

“Quando Google funge contemporaneamente da venditore e acquirente e gestisce uno scambio, ciò dà loro un vantaggio ingiusto e indebito sul mercato, che non riflette necessariamente il valore che stanno fornendo”, ha aggiunto Lee nel corso di un’intervista. “Quando un’azienda può indossare tutti questi cappelli contemporaneamente, può impegnarsi in una condotta che danneggia tutti”.

La senatrice Klobuchar ha dichiarato a sua volta, che: “Questa mancanza di concorrenza nella pubblicità digitale significa che gli affitti di monopolio vengono imposti a ogni sito Web supportato dalla pubblicità e a ogni azienda, piccola, media o grande, che fa affidamento sulla Internet per far crescere la propria attività. È come una tassa su migliaia di imprese americane, e quindi una tassa su milioni di consumatori americani. Sebbene la pubblicità online sia essenziale per quasi tutte le aziende, questo sistema rotto è stato il motore di crescita per le aziende principali tecnologiche che ci hanno deluso in tanti altri modi: minando la nostra privacy, censurando il nostro modo di parlare e sfruttando i nostri figli. […] Per troppo tempo Google e Facebook hanno dominato il mercato della pubblicità digitale a spese di inserzionisti, editori e consumatori. È passato il tempo per un settore della tecnologia pubblicitaria trasparente in cui viene data la priorità ai migliori interessi dei clienti e le aziende di tutte le dimensioni sono in grado di competere. Questa legislazione metterà in atto regole per fare questo, ripristinando e proteggendo la concorrenza nella pubblicità digitale per promuovere condizioni di gioco più uniformi che promuoveranno l’equità e l’innovazione andando avanti”.

Una portavoce di Google ha dichiarato al Wall Street Journal che: “Gli strumenti pubblicitari di Google e di molti concorrenti aiutano i siti Web e le app americane a finanziare i loro contenuti, aiutano le aziende a crescere e aiutano a proteggere gli utenti dai rischi per la privacy e dagli annunci fuorvianti”. La portavoce ha aggiunto: “Rompere questi strumenti danneggerebbe editori e inserzionisti, ridurrebbe la qualità degli annunci e creerebbe nuovi rischi per la privacy. E in un momento di maggiore inflazione, ostacolerebbe le piccole imprese alla ricerca di modi semplici ed efficaci per crescere online. Il vero problema sono i broker di dati di bassa qualità che minacciano la privacy degli americani e li inondano di annunci spam”.

Il quadro negli USA

Se approvata, la legislazione sarebbe il cambiamento più significativo alla legge antitrust avvenuto sinora, andando a modificare il Clayton Act del 1914, una delle due leggi che costituiscono il fondamento della legge antitrust americana e che è rimasta immutata sin dal 1970.

Mentre il Clayton Act e il suo predecessore, lo Sherman Act del 1890, riporta il Wall Street Journal, hanno dato alle forze dell’ordine antitrust un ampio margine di manovra per combattere il comportamento anticoncorrenziale, è indubbio che negli ultimi decenni i principi dettati dalla normativi sono stati interpretati secondo uno standard ristretto di benessere dei consumatori che guarda esclusivamente all’aumento dei prezzi. SI tratta di un approccio che non può più valere per i servizi gratuiti resi dalle Big Tech; per tale motivo occorre ora formulare un quadro nuovo che tenga conto delle peculiarità del mercato digitale.

Il disegno di legge di cui si è discusso, va ad unirsi ad una vasta schiera di regolamenti e di proposte di legge incentrate proprio sull’industria tecnologica e ad oggi non è ancora dato sapere se sarà approvato. Un altro disegno di legge sponsorizzato dalla Senatrice Klobuchar, che impedirebbe alle grandi aziende tecnologiche di preferire i propri prodotti sulle loro piattaforme proprietarie, è stato votato favorevolmente dalla commissione, proprio all’inizio di quest’anno.

Inoltre, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, una legislazione simile al Competition and Transparency in Digital Advertising Act dovrebbe essere introdotta alla Camera dal repubblicano Ken Buck del Colorado e dalla democratica Pramila Jayapal di Washington.

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