L’approvazione del regolamento sulla procedura di certificazione degli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie tra fornitori di piattaforme online e destinatari del servizio (delibera n. 282/24/CONS) da parte dell’AGCOM può essere letta come un evento di rilevante importanza nella giurisprudenza dei servizi digitali, un atto che si staglia su un orizzonte normativo denso di implicazioni e di ambivalenze.
Il regolamento, apparentemente tecnico e settoriale, porta con sé una serie di interrogativi giuridici che toccano le fondamenta stesse del diritto regolatorio e della governance digitale.
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Il ruolo di AGCOM e la nuova stagione di poteri e responsabilità
Innanzitutto, il ruolo centrale attribuito all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, quale Coordinatore dei Servizi Digitali in Italia, inaugura una nuova stagione di poteri e responsabilità, che se da un lato mira a garantire una gestione armonizzata e centralizzata delle controversie digitali, dall’altro rischia di concentrare in un’unica autorità un potere eccessivo, con potenziali ripercussioni sul piano della trasparenza e dell’equilibrio istituzionale.
Non è solo una questione di efficienza amministrativa, ma si tratta di un delicato bilanciamento tra l’autonomia regolatoria nazionale e la necessità di conformarsi alle normative sovranazionali dell’Unione Europea, che impongono uniformità di azione ma lasciano aperti spazi di ambiguità interpretativa.
In questo contesto, la certificazione degli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie non è un mero adempimento procedurale, bensì un atto che incide profondamente sul diritto degli utenti e sul funzionamento del mercato digitale.
L’imperativo di garantire l’indipendenza e l’imparzialità di questi organismi si scontra con la realtà operativa, dove le fonti di finanziamento e i rapporti tra le parti possono generare conflitti di interesse latenti, difficili da monitorare e regolare in modo efficace.
L’atto normativo dell’AGCOM, quindi, sebbene necessario e in linea con il dettato europeo, solleva interrogativi fondamentali che riguardano non solo la sua applicabilità pratica, ma anche la sua legittimità giuridica e costituzionale.
L’accentramento di poteri regolatori, la gestione delle dinamiche di potere tra le piattaforme digitali e gli organismi ADR, e la tutela dei diritti degli utenti costituiscono le linee di faglia su cui si giocherà il successo o il fallimento di questa nuova architettura normativa.
Tra regolamentazione del mercato digitale e tutela dei diritti dei consumatori
Il quadro normativo delineato dalla delibera n. 282/24/CONS dell’AGCOM per la certificazione degli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie (ADR) si configura come un intervento legislativo di profonda rilevanza, tanto per la regolamentazione del mercato digitale quanto per la tutela dei diritti dei consumatori.
Questo regolamento nasce dall’esigenza di applicare in Italia le disposizioni del Regolamento sui Servizi Digitali (Digital Services Act, DSA) dell’Unione Europea, specificamente l’articolo 21, che disciplina i requisiti per la certificazione degli organismi ADR.
La normativa impone che gli organismi ADR, per ottenere la certificazione, dimostrino un’elevata indipendenza, anche finanziaria, dai fornitori di piattaforme online e dai destinatari dei servizi.
Tale requisito, sebbene essenziale per garantire l’imparzialità delle decisioni, introduce una serie di problematiche pratiche non trascurabili.
L’indipendenza finanziaria, infatti, non è solo un principio formale, ma un criterio sostanziale che deve essere concretamente rispettato, imponendo agli organismi ADR di strutturarsi in modo da evitare qualsiasi legame economico potenzialmente influenzante con le parti coinvolte nelle controversie: come può un organismo che opera in un mercato così interconnesso e dominato da pochi grandi attori economici garantire una vera autonomia?
L’indipendenza finanziaria, infatti, rischia di rimanere un principio teorico difficile da attuare, soprattutto in un contesto in cui le risorse economiche degli organismi ADR sono limitate e spesso dipendenti dalle stesse piattaforme che dovrebbero regolamentare.
La ricerca di fonti di finanziamento alternative, che non compromettano l’autonomia decisionale, diventa dunque un’operazione delicata e complessa.
Un’eccessiva rigidità delle procedure di certificazione
Questa criticità si intreccia con un altro aspetto centrale del regolamento: la rigidità delle procedure di certificazione. Il regolamento, infatti, impone criteri stringenti che mirano a garantire la qualità e l’efficacia degli organismi ADR.
Tuttavia, questa rigidità potrebbe portare a un effetto collaterale non trascurabile: l’esclusione di organismi che, pur non soddisfacendo pienamente tutti i requisiti, potrebbero comunque svolgere un ruolo significativo nella risoluzione delle controversie.
In un mercato in continua evoluzione come quello digitale, la capacità di adattamento e la diversità delle competenze operative sono fondamentali. La regolamentazione stringente rischia, quindi, di soffocare la flessibilità necessaria per affrontare le sfide complesse che emergono quotidianamente nel settore digitale.
Questa tensione tra il bisogno di indipendenza e la rigidità procedurale solleva una questione più ampia relativa al ruolo dell’AGCOM come Coordinatore dei Servizi Digitali.
L’autorità si trova a svolgere un ruolo duplice e potenzialmente contraddittorio: da un lato deve garantire l’applicazione uniforme delle normative europee, dall’altro deve vigilare su un settore che richiede flessibilità e capacità di adattamento.
Il rischio è che l’accentramento di poteri in un’unica autorità possa portare a una riduzione della pluralità di approcci e della diversità delle soluzioni operative, elementi indispensabili per un’efficace governance del mercato digitale.
Preoccupazioni su concentrazione dei poteri e potenziali conflitti di interesse
L’espansione dei poteri dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) nell’ambito del Regolamento sui Servizi Digitali (DSA) comporta una serie di questioni complesse e interconnesse.
L’AGCOM, designata come Coordinatore dei Servizi Digitali (Digital Services Coordinator, DSC) per l’Italia, ha assunto un ruolo centrale non solo nella vigilanza sulle piattaforme online ma anche nella certificazione e supervisione degli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie (ADR) tra queste piattaforme e i destinatari dei servizi.
Tale ampliamento dei poteri pone l’AGCOM in una posizione di rilievo, conferendole una responsabilità di coordinamento nazionale e di applicazione delle norme europee.
Questo potenziamento istituzionale, sebbene finalizzato a garantire una maggiore armonizzazione e coerenza nell’applicazione del DSA, solleva legittime preoccupazioni in merito alla concentrazione dei poteri e ai potenziali conflitti di interesse.
L’AGCOM, infatti, non solo esercita poteri regolatori, ma diventa anche arbitro nelle controversie, rendendo necessaria una riflessione sull’imparzialità e sull’indipendenza che tale posizione richiede.
Sul piano operativo, la gestione delle funzioni di DSC richiede all’Autorità di affrontare sfide significative in termini di governance interna e coordinamento con altre autorità nazionali ed europee.
La necessità di garantire trasparenza e imparzialità nella certificazione degli organismi ADR, come evidenziato nel documento della Delibera 282/24/CONS, implica che l’AGCOM deve esercitare un controllo rigoroso su criteri quali l’indipendenza finanziaria e operativa di questi organismi, onde evitare indebite influenze da parte delle piattaforme stesse o di altri attori economici coinvolti.
Interrogativi sulla governance interna dell’AGCOM
L’espansione delle competenze dell’AGCOM pone anche una questione cruciale riguardo alla governance interna dell’autorità stessa.
Ci si chiede se l’assunzione di nuovi poteri necessiti di una ristrutturazione delle modalità decisionali, delle risorse impiegate e delle strategie di intervento, per far fronte a un panorama regolatorio che si fa sempre più complesso e interconnesso a livello sovranazionale anche in considerazione della nuova interazione tra l’Autorità e le piattaforme online, che operano spesso su scala transnazionale.
Il coinvolgimento delle piattaforme online nel processo di certificazione degli organismi di risoluzione alternativa delle controversie (ADR) apre una complessa discussione, che si articola attorno a due poli contrapposti: da un lato, la necessità di garantire trasparenza e imparzialità, dall’altro, il rischio di indebite influenze da parte degli stessi soggetti regolati.
La dinamica che si instaura tra i protagonisti del mercato digitale e gli organismi chiamati a dirimere controversie richiede una riflessione profonda, che vada oltre la semplice contrapposizione tra partecipazione ed esclusione.
La totale esclusione delle piattaforme dal processo di certificazione potrebbe apparire come una scelta sicura per preservare l’indipendenza degli organismi ADR.
Tuttavia, tale approccio potrebbe facilmente risultare controproducente, alimentando sospetti di opacità e limitando la percezione di equità del sistema regolatorio.
In un contesto in cui le piattaforme sono spesso percepite come attori dominanti, la loro esclusione potrebbe essere letta come una manovra per marginalizzare interessi legittimi, con il rischio di compromettere la fiducia reciproca necessaria per il buon funzionamento del sistema.
Servono rigorosi meccanismi di verifica e bilanciamento
Un modello che contempli la partecipazione delle piattaforme, pur senza compromettere l’indipendenza degli organismi ADR, richiede un’architettura regolatoria sofisticata.
La chiave risiede nella creazione di un contesto partecipativo formalizzato, in cui le piattaforme possano esprimere osservazioni e fornire input senza che questi si traducano in una capacità decisionale diretta.
Tale partecipazione dovrebbe avvenire tramite processi trasparenti e regolati, come consultazioni pubbliche o forum di confronto, in cui le piattaforme possano contribuire alla discussione in modo costruttivo, ma senza interferire con l’autonomia decisionale degli organismi certificatori.
Un altro aspetto centrale riguarda l’implementazione di rigorosi meccanismi di verifica e bilanciamento che garantiscano che la partecipazione delle piattaforme non si traduca in una forma di influenza indiretta.
Ciò potrebbe essere ottenuto attraverso una chiara separazione delle fasi consultive da quelle decisionali, con un forte accento sulla trasparenza delle procedure e sulla pubblicità degli atti.