È noto che Apple abbia adottato una politica volta alla protezione della privacy dei propri utenti: solo nell’ultimo anno, il colosso di Cupertino ha introdotto l’App Transparency Framework affinché gli utenti prestino il loro consenso esplicito per essere tracciati dalle app e il private relay per le e-mail e Safari (seppur attivo a pagamento solo con iCloud+).
Data la capillare diffusione dei dispositivi della mela morsicata, è diventato sempre più difficile profilare gli utenti che ne fanno uso, con particolare impatto non solo per le big tech che offrono servizi di pubblicitari, ma anche per le imprese che sino a oggi hanno basato le proprie campagne di acquisizione e fidelizzazione dei clienti sulle tecnologie delle prime.
Le prime due vittime illustri di questa politica “privacy-centrica” di Apple sono Twitter e Snap, che, nonostante registrino un lieve calo, non hanno ancora ben ridefinito le proprie politiche di advertising.
Facebook (i cui rapporti con Apple sono sempre stati abbastanza tesi), invece, pur allontanandosi pian piano dal business dei big data così come lo abbiamo conosciuto sino ad oggi per concentrare i propri sforzi e le proprie risorse sulla creazione del metaverso (tanto da abbandonare la face recognition sui propri social, ricollocando le risorse umane sullo sviluppo della realtà aumentata), nonostante stia crescendo in borsa, ha registrato una forte contrazione degli investimenti sulle inserzioni (circa il 62% secondo uno studio di eCommerceFuel), a differenza di Google: gli inserzionisti, infatti, a causa dell’accennato blocco dei tracciamenti promosso da Apple, non possono che aumentare gli investimenti pubblicitari per ottenere risultati costanti.
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Le inserzioni di Google crescono, a discapito di Facebook
S’è già avuto modo di vedere come Google abbia intenzione di rivedere il proprio modello di business con l’introduzione di un sistema di tracciamento meno invasivo della privacy e che tenga conto di un particolare insieme di persone affini per gusti e non più del singolo utente.
Dall’introduzione dell’App Transparency Framework di Apple, Big G è il player ad aver accusato meglio il colpo inferto dalla politica di Cupertino per un insieme di ragioni: innanzitutto, può contare sull’analisi comportamentale degli utenti del suo sistema operativo mobile, molto più diffuso di iOS, oltre ad essere il motore di ricerca più diffuso al mondo, utilizzato anche dai tradizionali computer Windows.
Inoltre, secondo quanto dichiarato da Google stessa, YouTube sembra non aver perso terreno. Ancora, le aziende preferiscono investire su Google perché la domanda latente e quella consapevole degli utenti sono subito chiare, dato che possono essere rilevate immediatamente da ciò che digitano nel box di ricerca.
La rapida crescita di Google Ads è figlia anche del vertiginoso aumento dei costi pubblicitari dei social di Meta: alcune aziende hanno notato che il costo di acquisizione di un singolo lead è, in alcuni casi, decuplicato, rendendo quindi totalmente sconvenienti le campagne pubblicitarie su Facebook e Instagram.
Una nuova frontiera della data protection
Ad ogni modo, se Atene piange, Sparta di certo non ride: Google è ben conscia del fatto che Apple potrebbe ulteriormente alzare la posta in gioco, cosa che ha parzialmente già fatto in iOS 15 con l’introduzione della beta del private relay in Safari, che impedisce qualsiasi forma di tracciamento dell’utente separando e crittografando ogni richiesta di trasmissione di dati, nascondendolo, per giunta, dietro un altro indirizzo IP (pur collocato all’interno della stessa zona geografica dell’utente).
È, quindi, evidente che anche Google dovrà iniziare a pensare nuovi metodi per tracciare i propri utenti e continuare ad offrire agli inserzionisti un servizio di alto livello, onde evitarne a dispersione verso servizi concorrenti.
Qualsiasi sia la soluzione allo studio, in quel di Mountain View dovranno anche tenere conto della crescente sensibilità alla privacy, che ha condotto gli utenti di iOS ad abilitare, nella quasi totalità dei casi, i servizi di inibizione del tracciamento.
I problemi dell’e-mail marketing
Le restrizioni di Apple non riguardano, però, solo il social media marketing, ma anche le campagne pubblicitarie per posta elettronica, dato che in Mail (il client di iOS, iPadOS e macOS) è abilitato di default un altro private relay che non permette al mittente di registrare nemmeno i dati sull’apertura delle e-mail e sui click eventualmente effettuati su di essa dal destinatario.
Sin dagli albori di internet, il longevo e-mail marketing è uno dei metodi migliori per raggiungere l’utenza veramente interessata ai servizi offerti dalle aziende, ma dato che queste avranno sempre meno dati a loro disposizione per valutare l’efficacia di una campagna e-mail, si troveranno, nell’immediato futuro, in seria difficoltà.
Compliance e creatività, una diade come possibile soluzione
Le aziende, presto orfane dei circuiti pubblicitari di Meta per gli alti costi dell’acquisizione dei lead e con difficoltà sempre crescenti sui gli altri canali di marketing, devono iniziare sin da oggi a riprogettare le modalità di comunicazione con i clienti e i potenziali tali.
Innanzitutto, è il caso di ripensare i processi di raccolta e trattamento dei dati personali, nel pieno rispetto degli interessati che, come s’è visto, stanno sviluppando una sempre maggiore coscienza e sensibilità sul tema.
Peraltro, diversi studi hanno rilevato nel corso degli ultimi anni come i consumatori ripongano più fiducia nelle aziende che si dimostrano attente ai loro dati.
La compliance, però, non può da sola essere risolutiva, dato che ogni azienda dovrà migliorare le proprie strategie di comunicazione, puntando sull’originalità dei propri contenuti, di modo che questi possano diventare virali e diffondersi sui social network indipendentemente dalla spesa necessaria per promuoverli.