L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – l’antitrust italiano – ha annunciato in data odierna l’avvio di una istruttoria nei confronti di Google, al fine di verificare se la società del gruppo Alphabet abbia utilizzato la propria posizione dominante nel mercato dei servizi digitali per impedire la portabilità dei dati fra la propria piattaforma e quella di un fornitore di servizi terzo.
In questo, Google avrebbe violato il GDPR, dove è incluso il diritto alla portabilità.
Indice degli argomenti
L’antitrust italiano su Google
A censurare il comportamento della Big Tech è stata la società Hoda, il quale ha rappresentato come la condotta di Google determini una restrizione della concorrenza, in quanto limita la capacità degli operatori diversi dalla stessa Google di sviluppare “forme innovative di utilizzo dei dati personali”.
Sanzione Antitrust a Google, è stato vero abuso? Vediamola da un’altra prospettiva
La stessa AGCM, nel proprio comunicato stampa, ha riferito come “L’istituto della portabilità dei dati, nella misura in cui permette di facilitare la circolazione dei dati e la mobilità degli utenti, offre ad operatori alternativi la possibilità di esercitare una pressione concorrenziale su operatori come Google, che fondano la propria dominanza sulla creazione di ecosistemi basati sulla gestione di quantità tendenzialmente illimitate di dati, funzionale solo al proprio modello di business. Inoltre, il diritto alla portabilità, se accompagnato da effettivi meccanismi di interoperabilità, può offrire agli utenti la possibilità di conseguire il massimo potenziale economico dall’utilizzo dei dati personali, anche attraverso modalità di sfruttamento alternative a quelle attualmente praticate dall’operatore dominante”.
Google, impegni antitrust negli USA per il mercato pubblicitario
Secondo fonti del Wall Street Journal, Google ha presentato al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti un’offerta: dividerebbe la sua attività di ad-tech, che mette all’asta e inserisce annunci su siti web e app, in una società separata di proprietà di Alphabet. Non si tratterebbe di una vendita di asset o di una cessione di queste parti dell’attività, come richiesto da alcuni critici, ma di una ristrutturazione interna delle modalità di gestione dell’attività.
Sappiamo che Google svolge un ruolo centrale nell’attività di intermediazione degli annunci su Internet, controllando tutti gli stack: l’acquisto e la gestione della pubblicità. Si prevede che quest’anno gli inserzionisti spenderanno più di 600 miliardi in annunci digitali in tutto il mondo. E l’attività di Google di intermediazione di questi annunci ha rappresentato circa il 12% del suo fatturato totale di 31 miliardi di dollari.
Le preoccupazioni sul ruolo di Google nella tecnologia pubblicitaria, come broker e casa d’aste per gli annunci digitali, stanno tenendo banco in molte giurisdizioni del mondo. È un aspetto che non solo gli Stati Uniti stanno esaminando, ma anche l’UE e il Regno Unito. L’UE ha aperto un’indagine l’anno scorso sui timori che Google potesse privilegiare il proprio business in modo monopolistico. Una delle principali lamentele che sono state esaminate è che non è possibile acquistare annunci su YouTube. Una delle piattaforme video online più grandi al mondo, se non la più grande, a meno che non si utilizzino gli strumenti pubblicitari di Google. La sua nuova offerta permetterebbe ai concorrenti di intermediare la vendita di annunci direttamente su YouTube.
Europa e Google
La Commissione ue sta continuando a litigare con Google in merito a un trio di decisioni antitrust prese nei confronti dell’azienda nel corso del decennio precedente, in cui ha inflitto a Google multe per circa 8,3 miliardi di dollari. Google ha presentato ricorso in tribunale, anche se l’anno scorso ha perso l’appello del primo caso in un tribunale di grado inferiore. L’azienda si è poi appellata alla corte suprema dell’UE.
Inizialmente Google ha cercato di risolvere i reclami oggetto di tali decisioni e ha raggiunto accordi provvisori simili con la Commissione europea, ma alla fine i funzionari dell’UE hanno respinto tre diverse offerte di accordo da parte di Google.
Compito dell’Autorità, dunque, sarà quello di accertare se le censure mosse da Hoda siano corrispondenti al vero e se la condotta assunta da Google possa ritenersi lesiva della concorrenza, ai sensi della normativa vigente.
Le censure di Hoda
La vicenda oggi in esame trae origine da una segnalazione avanzata da Hoda, società sviluppatrice di una App di banca di investimento dati, denominato Weople: il core business della società, come si legge nel provvedimento di AGCM, si basa proprio sulla disponibilità di un elevato quantitativo di dati e sulla valorizzazione degli stessi. Weople, in particolare, “consente alle persone fisiche che si iscrivono ad essa di immettere i propri dati in una sorta di conto/cassetta e di beneficiare di un guadagno ogni volta che le imprese richiedono tali dati, in forma statistica, aggregata e anonima, per lo svolgimento della propria attività di targhettizzazione della clientela o per altri fini, come la creazione di database statistici o strumenti di enrichment”.
Pubblicità online, il faro dell’Antitrust Ue sull’accordo Google-Meta: le violazioni contestate
Al fine di valorizzare i dati, Hoda chiede all’utente di essere espressamente delegaa alla raccolta di tutti i dati del medesimo utente presenti sulle principali piattaforme digitali, incluso Google. I dati acquisiti sono poi acquistati da soggetti interessati per svolgere attività di targeting commerciale, riferito non soltanto al digital advertising.
Le richieste avanzate da Hoda nei confronti di Google, tuttavia, hanno avuto sinora esito negativo: secondo quanto riferito dalla società, l’unica modalità offerta da Google agli utenti “per richiedere e ottenere una copia dei loro dati è attraverso Google Takeout, raggiungibile solo direttamente e individualmente da ciascun utente Google e previa autenticazione tramite ID e password”. Tuttavia, continua il provvedimento, la procedura, in quanto piuttosto complessa, “scoraggia l’esercizio da parte degli utenti della portabilità dei dati”; dette evidenze sarebbero confermate dalla drastica riduzione delle richieste proprio in seguito all’introduzione del servizio Takeout, molto complesso anche da esplicare agli utenti mediante delle guide presenti nella piattaforma Weople.
Apple e Google troppo potenti sul mobile: il Regno Unito (e non solo) pronto alla stretta
Il contenuto del provvedimento
Al fine di verificare la possibile sussistenza di una condotta contraria alla normativa antitrust vigente, l’AGCM ha innanzitutto rilevato come nel mercato di riferimento per il caso in esame la principale leva concorrenziale sia rappresentata proprio dalla disponibilità di un “numero elevato di dati e dalla loro rilevanza”.
Pertanto, afferma l’Autorità, “in questo contesto assume particolare rilievo il pervasivo e complesso ruolo che i dati volgono nell’ecosistema sviluppato da Google, in cui l’offerta agli utenti di una gamma di servizi pressoché idonea a soddisfare le diverse esigenze che il singolo individuo ricerca nell’interazione con Internet alimenta l’acquisizione di rilevati quantità di dati”. “Mentre allo stato”, continua l’Autorità, “i dati acquisiti da Google vengono dallo stesso valorizzati nei mercati della pubblicità on-line, nei quali in particolare rappresentano l’elemento fondante della posizione dominante dell’operatore, in prospettiva l’applicazione in chiave pro-concorrenziale dell’istituto normativo della portabilità dei dati disciplinata dall’articolo 20 del GDPR apre agli utenti la possibilità di usufruire di diverse e ulteriori modalità di valorizzazione degli stessi. In particolare, in Italia l’attività di Hoda, ove non ostacolata da Google, potrebbe introdurre forme innovative di trattamento dei dati”.
I mercati rilevanti, dunque, vengono individuati dall’AGCM dall’insieme delle attività che consentono a Google di “accumulare, custodire ed elaborare i dati degli utenti finali”. Inoltre, Google può ottenere il consenso all’utilizzo dei dati degli utenti più facilmente rispetto ad altre piattaforme concorrenti, potendo godere di numerose e varie fonti di consenso, che vanno a costruire sul medesimo soggetto un intero “ecosistema” di dati.
Nessun dubbio viene posto poi da AGCM circa la sussistenza del criterio della posizione dominante in capo a Google, nei singoli mercati rilevanti presi di volta in volta in esame, sulla scorta dei dati già raccolti nei casi Google Android, Google Shopping e Google Fitbit, ancora attuali.
Le condotte contestate da AGCM
Sulla scorta di tutto quanto suesposto e degli elementi presi in esame dall’Autorità, quest’ultima conclude per la possibile sussistenza di condotte lesive dell’art. 2 TFUE. Gli ostacoli frapposti da Google all’individuazione di meccanismi di interoperabilità idonei a rendere i dati presenti nella propria piattaforma disponibili a piattaforme alternative, nel pregiudicare l’esercizio, da parte dell’utente finale, del diritto alla portabilità dei propri dati, stabilito dal menzionato articolo 20 del GDPR, si risolve in un indebito sfruttamento, da parte della stessa Google, dei consumatori finali nella misura in cui determina una limitazione dei benefici che i consumatori potrebbero trarre dalla valorizzazione dei loro dati personali”.
La rilevata condotta, inoltre, “presenta un ulteriore carattere restrittivo della concorrenza nella misura in cui limita la possibilità di operatori alternativi a Google di sviluppare forme innovative di utilizzo dei dati personali”. Mediante i sistemi attualmente in uso, Google riesce a preservare la propria posizione “nello sfruttamento commerciale della mole dei dati personali resi a essa disponibili attraverso la posizione detenuta su una varietà di mercati digitali con beneficio esclusivo di tutte le attività da essa svolte e che si basano sull’utilizzo massivo degli stessi, così ostacolando lo sviluppo di modalità alternative di valorizzazione dei dati e dunque l’esplicarsi di una concorrenza basata sul merito”, ottenendone un “indubbio vantaggio commerciale”.
A supporto delle proprie tesi AGCM richiama l’indagine conoscitiva IC53 svolta congiuntamente ad AGCom e al Garante della Privacy, nella quale si rilevava proprio che “La portabilità dei dati può costituire un elemento di fondamentale rilevanza sotto il profilo concorrenziale. Riducendo i costi di switching dell’utente da una piattaforma all’altra, la portabilità dei dati può incidere, infatti, sulla mobilità degli utenti. La circolazione dei dati e la riduzione dei costi di switching possono contribuire a far sì che i dati non costituiscano una barriera all’ingresso, riducendo possibili rischi di lock-in, e che la mobilità degli utenti riduca gli effetti di rete connaturati all’attività delle piattaforme”.
Il problema
Google, dunque, prevedendo degli ostacoli all’individuazione di meccanismi di portabilità diretta fra piattaforme che non prevedano l’intervento attivo dell’utente, starebbe, a detta di AGCM, abusivamente ostacolando l’emersione di servizi innovativi e concorrenziali di valorizzazione dei dati personali degli utenti, basati sul consenso, nel rispetto di quanto previsto dal GDPR.
La compressione del diritto di cui all’art. 20 GDPR, afferma, “è suscettibile per un verso di pregiudicare in maniera considerevole le dinamiche concorrenziali in termini di livello dei servizi offerti, ampiezza e varietà dell’offerta, innovazione e diversità dei modelli di business, in tal modo ostacolando l’esplicarsi di una concorrenza basata sul merito, e per altro verso di sfruttare indebitamente i diritti dei consumatori”.
Ora Google, chiamata in causa, sarà ascoltata dall’Autorità, affinché la stessa possa intraprendere i provvedimenti e avviare le indagini che più riterrà opportuni.
I dati della discordia: Amazon cerca accordo con antitrust UE
I dati sono al centro anche di uno scontro tra l’Europa e Amazon, che ora cerca un compromesso per evitare la sanzione.
Amazon ha promesso di non utilizzare i dati non pubblici dei venditori sul suo marketplace, dopo che l’UE ha accusato Amazon di violare la legge sulla concorrenza utilizzando informazioni non pubbliche dei commercianti per competere con loro.
Giovedì la Commissione europea, il principale regolatore della concorrenza del blocco, ha dichiarato di essere alla ricerca di un feedback sugli impegni offerti da Amazon per risolvere i casi.
L’accordo proposto si applicherebbe alle attività di Amazon nell’UE per un periodo di cinque anni. Sebbene non richieda ad Amazon di apportare modifiche alle sue pratiche commerciali al di fuori dell’Europa, gli avvocati hanno affermato che gli impegni potrebbero avere ripercussioni più ampie, poiché le aziende a volte scelgono di applicare alle loro attività globali le modifiche che sono costrette a fare in Europa.
Nell’ambito dell’offerta di accordo, la Commissione ha dichiarato che Amazon ha proposto di astenersi dall’utilizzare i dati non pubblici che ottiene dai venditori di marketplace di terze parti, come le condizioni di vendita, i ricavi e le prestazioni dei venditori, per competere con loro. La Commissione ha dichiarato che l’impegno si applicherebbe agli strumenti automatizzati di Amazon e ai suoi dipendenti, impedendo di fatto all’azienda di utilizzare i dati dei venditori per prendere decisioni in materia di vendita al dettaglio.
Amazon ha inoltre dichiarato che applicherà lo stesso trattamento a tutti i venditori quando deciderà cosa inserire nel suo “buy box”, che promuove un singolo venditore e consente di acquistare rapidamente un prodotto in vetrina premendo un pulsante di acquisto. Il modo in cui Amazon seleziona i commercianti per il buy box, e se ha dato priorità ai commercianti che pagano i servizi logistici di Amazon, è stato oggetto di un’indagine separata dell’UE che finora non ha portato ad accuse formali.
L’azienda ha dichiarato che mostrerà una seconda offerta concorrente oltre all’articolo principale del “buy box” se c’è una differenza sostanziale nel prezzo o nella consegna. L’accordo proposto si applicherebbe alle attività di Amazon nell’UE per un periodo di cinque anni.
Ulteriori impegni relativi al programma Prime di Amazon prevedono che l’azienda stabilisca condizioni non discriminatorie per i venditori terzi e consenta loro di scegliere qualsiasi fornitore per i servizi di logistica e consegna. Amazon ha dichiarato che non utilizzerà le informazioni ottenute sui fornitori terzi di servizi logistici attraverso Prime per i propri servizi logistici.
Secondo i termini dell’accordo, l’azienda non dovrà pagare una multa e la Commissione non concluderà formalmente che sono state violate le norme antitrust. L’accordo provvisorio sarà ora sottoposto a un periodo di commenti pubblici prima che la Commissione decida se accettarlo.
Una violazione degli impegni potrebbe comportare una multa fino al 10% del fatturato globale dell’azienda.
Amazon ha dichiarato di non essere d’accordo con diverse conclusioni della Commissione e di nutrire serie preoccupazioni per la nuova legislazione dell’UE che “colpisce ingiustamente Amazon e alcune altre aziende statunitensi”. Ha dichiarato di essersi impegnata in modo costruttivo per rispondere alle preoccupazioni della Commissione e per preservare la sua capacità di servire i clienti e le aziende in Europa.