Da ieri Google ha cominciato a togliere i cookie di terze parti dal browser più usato al mondo, Chrome; per ora su 1 per cento di utenti, per poi completare l’opera a fine 2024. La progressiva dismissione dei cookie di terze parti non è soltanto un adattamento tecnologico, ma una vera e propria rivoluzione nell’ecosistema digitale. Ricordiamo che è una tecnologia presente dagli albori della rete e che permette di tracciare gli utenti nella navigazione su diversi siti, per creare un loro profilo di interessi utile alla pubblicità personalizzata.
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L’addio al tracciamento online degli utenti su diversi siti e app
La consapevolezza crescente delle minacce alla privacy e le attenzioni rivolte da parte delle varie Autorità europee hanno spinto alcune tra le più importanti industrie Tech a riconsiderare il loro approccio al tracciamento online. Già da anni i browser Firefox di Mozilla e Safari di Apple limitano fortemente i cookie di terze parti.
Questi stessi motivi hanno spinto Apple di limitare, da due anni, il tracciamento degli utenti anche sulle app. L’Europa è intervenuta per limitare il tracciamento online con leggi (da ultimi il Digital Services Act e Digital Markets Act) e interventi delle autorità privacy.
L’apocalisse dei cookie di terze parti: le alternative al tracciamento nel rispetto della privacy
Pioniera – gioco forza- in tal senso è stata Google che con il suo “Privacy Sandbox” che ha visto la luce nell’ormai lontano 2022, ha tracciato definitivamente la strada verso la cosiddetta “Post Third-Party Cookie Era”. Strada che è stata imboccata anche da altri colossi del web, Meta su tutti.
Google aveva annunciato l’addio ai cookie di terze parte già nel 2020, in realtà, ma ha rimandato due volte il passo per timore di uno scossone troppo forte nel mercato pubblicitario, dove è attore dominante. Nel 2024 ormai però sembra che sia inevitabile questo passaggio epocale.
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Perché sulla privacy non dobbiamo rilassarci
Due sono, tuttavia, le domande che occorre porsi: con cosa verranno sostituiti? E ancora: siamo davvero sicuri che si andrà verso un mondo di maggiori tutele dell’utente web in termini di riservatezza?
A tali domande, Google in primis, prova a dare una risposta annunciando che, al posto degli ormai celebri “ga” & co, saranno implementate nuove tecnologie quali, giusto per citarne alcune: la privacy differenziale, la cosiddetta k-anonymity e l’elaborazione sul dispositivo.
Se quindi il primo dei due quesiti pare avere una soluzione, sicuramente molto più complesso è cercare di rispondere al secondo. Cambieranno infatti gli strumenti e i nomi ma la legislazione rimane la stessa: non bisogna pensare o credere che le parole di chi, per propria intrinseca natura, ricerca solamente il profitto possano essere sufficienti a offrire una maggiore tutela agi utenti.
In altre parole: il GDPR e la copiosa e preziosa giurisprudenza dei vari Garanti europei che si è venuta a creare intorno alla questione cookie durante questi anni continua e deve continuare ad essere il faro da seguire. Questo si traduce, in termini pratici, nella ricerca della corretta condizione di liceità prima di effettuare qualsivoglia trattamento dei dati degli utenti e nell’attenta e scrupolosa valutazione degli impatti effettivi che nuovi strumenti potranno effettivamente avere sulla riservatezza dei dati degli utenti, esattamente come si è fatto per tutto questo tempo nei confronti dei cookie. Da questo punto di vista, è bene ribadirlo, nulla è cambiato.
Il pericolo infatti, è che da una parte inizi effettivamente una nuova era post-cookie ma che le soluzioni che verranno introdotte siano solo in apparenza meno lesive della privacy rispetto ai cookie celando invece tecniche e tecnologie più disparate e complesse di quanto non siano gli attuali cookie e quindi più difficili da classificare e da regolamentare con il rischio di trovarsi di fronte ad una nuova ed enorme zona grigia.