Le raccomandazioni EDPB del 10 novembre hanno lo scopo di guidare gli enti nel far fronte alle conseguenze derivanti dalla decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea “Schrems II”.
Tale decisione, considerata una pietra miliare nell’ambito del diritto europeo della protezione dei dati, ha ritenuto invalido il Privacy Shield e imposto requisiti aggiuntivi agli enti che trasferiscono dati personali sulla base di una delle garanzie adeguate previste dall’articolo 46 GDPR.
Se alle tanto attese nuove Raccomandazioni si possono riconoscere degli evidenti meriti, d’altra parte si riscontrano anche diversi aspetti critici. Un’analisi degli uni e degli altri viene proposta qui di seguito.
Indice degli argomenti
Data transfer: cosa convince delle Raccomandazioni EDPB
Innanzitutto, le Raccomandazioni forniscono delle chiari indicazioni sui passaggi che gli enti possono seguire ogni volta che intraprendono un nuovo trasferimento dati, oltre ad una lista non esaustiva delle misure aggiuntive che i data exporter possono tenere in considerazione per garantire una protezione effettiva dei dati trasferiti.
Inoltre, le Raccomandazioni sottolineano il ruolo primario del principio di accountability e suggeriscono numerosi esempi di clausole da includere nei contratti data exporter – data importer.
Analizziamo dunque in dettaglio tutti questi punti.
La metodologia proposta dalle Raccomandazioni
Le Raccomandazioni prevedono che il data exporter debba valutare se lo strumento utilizzato per il trasferimento (ad esempio le standard contractual clauses) consenta in concreto una protezione adeguata dei dati alla luce del regime giuridico straniero che si applica al data importer.
Questo potrebbe non essere il caso se, ad esempio, nel paese straniero il data importer dovesse essere soggetto a requisiti legali che gli impediscano di rispettare gli obblighi previsti dallo strumento utilizzato per il trasferimento (ad esempio gli obblighi che le standard contractual clauses impongono al data importer).
Tale valutazione deve essere effettuata prima che inizi il trasferimento. In particolare, la procedura proposta nelle Raccomandazioni si articola in sei passaggi chiave:
- condurre un mapping dei dati personali che vengono trasferiti all’estero, passaggio, questo, che deve tener conto anche dei cosiddetti trasferimenti onwards e degli eventuali sub-responsabili del trattamento utilizzati dal data importer;
- identificare lo strumento previsto dall’Articolo 46 GDPR, che costituisce la base del flusso transfrontaliero di dati (standard contractual clauses, binding corporate rules ecc.);
- valutare l’efficacia dello strumento alla luce di un’analisi del quadro normativo a cui il data importer è soggetto nel paese straniero, con particolare riferimento ad eventuali obblighi di fornire i dati personali ad autorità pubbliche, alla possibilità per gli interessati di far valere i propri diritti ecc.;
- adottare misure aggiuntive di salvaguardia dei dati per far fronte alle carenze individuate nel passaggio precedente;
- considerare i passaggi procedurali necessari per implementare le misure;
- monitorare e rivalutare periodicamente l’analisi iniziale nel caso in cui vi siano dei cambiamenti (ad esempio in considerazione di eventuali sviluppi legislativi nel paese terzo).
Come si vede, la procedura proposta dall’EDPB, prevede passaggi chiari che gli enti possono seguire ogni volta che intraprendono un nuovo trasferimento dati.
Tale procedura dovrà iniziare a fare parte delle prassi aziendali in tema di flussi transfrontalieri di dati.
L’analisi minuziosa delle misure aggiuntive
Le Raccomandazioni forniscono una lista non esaustiva delle misure aggiuntive che i data exporter possono tenere in considerazione per garantire una protezione effettiva dei dati trasferiti. Questa comprende tre tipologie di misure:
- contrattuali, che includono clausole legali da inserire nei contratto tra data exporter e data importer;
- tecniche, cioè misure di sicurezza da implementare per il trasferimento dei dati, come pseudonimizzazione e cifratura dei dati personali in linea con lo stato dell’arte, o la conservazione della chiave di codifica affidata al solo data exporter;
- organizzative, quali l’implementazione di procedure aziendali che si occupino in maniera specifica di gestione dei flussi transfrontalieri, la tenuta di un registro delle richieste di accesso ai dati ricevute da autorità pubbliche. Se l’EDPB ci ha abituato a linee guida e raccomandazioni che spesso peccano di eccessiva analisi teorica a discapito di maggiori consigli pratici, si deve riconoscere come le Raccomandazioni esulino da ciò.
Il ruolo riconosciuto al principio dell’accountability
Le Raccomandazioni rendono ormai evidente che i tempi della “compliance passiva” con le regole del trasferimento dati da parte dei data exporters sono finiti. I data exporter devono assicurare una protezione in concreto, e non più solo formale, dei dati personali sulla base del principio dell’accountability.
Tale protezione deve basarsi su un’analisi caso per caso delle caratteristiche specifiche del flusso transfrontaliero di dati (quali sono i dati trasferiti? Chi è il data importer? In quale Paese vengono trasferiti?).
Infine, i data exporters devono essere in grado di documentare e dimostrare la valutazione svolta e i passaggi intrapresi per assicurare che il trasferimento avvenga legalmente.
Il principio di accountability ha un ruolo chiave nella compliance degli enti col GDPR, ed è positivo che l’EDPB ne sottolinei l’importanza anche nell’ambito del trasferimento dati.
Clausole nei contratti data exporter-data importer
Le Raccomandazioni forniscono poi diversi esempi di clausole da includere nei contratti data exporter – data importer. Queste clausole sono da considerarsi complementari a quelle già previste all’interno degli strumenti utilizzati per il flusso transfrontaliero e permettono di imporre alle parti obblighi (unilaterali o bilaterali) aggiuntivi in relazione alla protezione dei dati che fanno oggetto del trasferimento. Alcuni esempi di clausole includono:
- quelle che obbligano il data importer ad informare periodicamente il data exporter di eventuali sviluppi normativi nel paese straniero che possano comportare variazioni della valutazione sull’adeguatezza della protezione dei dati;
- quella che richiede al data importer di garantire che non ci siano back doors nei sistemi che permettano l’accesso ai dati da parte di autorità pubbliche;
- quella che prevede l’uso di “warrant canary” da parte del data importer per aggirare il divieto di rivelare pubblicamente di aver ricevuto una richiesta di divulgare i dati da un’autorità pubblica. Quest’ultima clausola si basa, come detto, sull’uso di “warrant canary”, che prende il nome dagli uccelli delle canarie che venivano utilizzati nelle miniere per rilevare la presenza di gas tossici. Il warrant canary è un messaggio pubblicato ad intervalli regolari dall’azienda (ad esempio sul suo sito web) che informa gli utenti o il data exporter che non c’è stato un mandato emesso dall’ autorità pubblica in una determinata data. Se il canary non viene aggiornato per il periodo specificato, come promesso dall’azienda, o se l’avviso viene rimosso, gli utenti e il data exporter possono presumere che il data importer abbia ricevuto un mandato. Lo scopo dei canary warrant è di mettere in guardia il data exporter e gli utenti “in maniera passiva” e aggirare il divieto di comunicare di aver ricevuto una richiesta di accesso ai dati. Le clausole legali proposte dall’EDPB forniranno un supporto concreto e soluzioni alternative (come quella dell’utilizzo del warrant canary) agli enti che saranno impegnati a rivedere gli obblighi contrattuali per il trasferimento dei dati.
Data transfer: cosa non convince delle Raccomandazioni EDPB
Dopo aver analizzato gli evidenti meriti delle Raccomandazioni EDPB sul data transfer in seguito alla sentenza Schrems II, possiamo procedere ad un’attenta analisi anche dei diversi aspetti critici.
Valutazione del quadro giuridico straniero
Le Raccomandazioni impongono al data exporter di valutare se il quadro giuridico del paese in cui si trova il data importer permetta una protezione adeguata dei dati personali, ad esempio valutando se quest’ultimo sia soggetto a legislazione straniera che gli imponga di divulgare i dati ricevuti ad autorità pubbliche (come accade se ad una azienda si applica la legislazione americana Foreign Intelligence Surveillance Act 702 o l’Executive Order 1233).
Al data exporter è anche richiesto di considerare se questi obblighi si limitino “a quanto sia necessario e proporzionale in una società democratica” o se questi possano interferire con le garanzie di protezione previste nello strumento per il trasferimento che il data exporter utilizza (come le standard contractual clauses).
Il benchmark per tale analisi è da individuare nelle “European Essential Guarantees” analizzate dall’EDPB nelle Raccomandazioni 02/2020, anche queste adottate lo scorso 10 novembre.
A tal riguardo, viene il dubbio che l’EDPB stia esternalizzando un compito che dovrebbe far parte delle sue funzioni, e che richiedere agli enti di occuparsi di tale valutazione risulti eccessivamente oneroso e comporti il rischio di inadeguatezze.
Misure aggiuntive relative alle Standard Contractual Clauses
Nonostante l’EDPB riconosca che delle misure aggiuntive possano rendersi necessarie non solo quando il data exporter basa il flusso transfrontaliero sulle standard contractual clauses, ma anche quando altri strumenti dell’Articolo 46 GDPR (come le binding corporate rules, o i codici di condotta) vengono utilizzati, nessuna linea guida viene fornita in riferimento a questi ultimi.
Gli enti che basano i trasferimenti sulle binding corporate rules si trovano dunque ancora privi di raccomandazioni su come garantire un’adeguata protezione dei dati anche in questo contesto.
Si deve tuttavia riconoscere che l’EDPB si è impegnato ad adottare presto delle linee guida aggiuntive anche su questo tema, e si spera arrivino quanto prima.
L’indice di probabilità della divulgazione dei dati personali nella valutazione del data exporter
Le Raccomandazioni si soffermano sui criteri che devono guidare il data exporter nella valutazione dell’adeguatezza della protezione dei dati trasferiti (come il tipo di dati, il formato in cui i dati vengono trasferiti, la possibilità che questi facciano oggetto di trasferimenti successivi).
Se da una parte le Raccomandazioni suggeriscono che “elementi soggettivi”, come la probabilità che i dati facciano oggetto di una domanda di accesso da parte di un’autorità pubblica, non debbano essere tenuti in conto nella valutazione dell’adeguatezza della protezione dei dati, l’EDPB sembra contraddirsi nel proporre che il data importer fornisca al data exporter informazioni e statistiche sull’accesso dei dati da parte di autorità pubbliche per permettere al data exporter di documentare la sua valutazione.
Inoltre, non si comprende come la maggiore o minore probabilità che i dati vengano divulgati venga considerata come un “elemento soggettivo” (soprattutto se basata su report e statistiche di dominio pubblico) e come l’EDPB non permetta al data exporter di tener conto, ad esempio, del fatto che il data importer abbia già ricevuto in passato richieste di divulgazione o meno o che sia attivo in un settore in cui le gli enti sono particolarmente soggetti a tali richieste da parte delle autorità pubbliche.
Promozione di soluzioni utopistiche
Una delle misure aggiuntive proposte dall’EDPB nelle Raccomandazioni riguarda l’offerta, da parte degli enti, di assistenza legale agli interessati (inclusa un’eventuale copertura dei costi).
Nonostante si possa riconoscere un certo valore aggiunto all’impegno da parte degli enti a facilitare l’esercizio dei diritti degli interessati, l’EDPB pecca di ingenuità nel ritenere che tali misure possano essere prese effettivamente in considerazione dal maggior numero di enti.
Conclusioni
Prima di essere adottate nella loro versione definitiva, le Raccomandazioni saranno aperte a consultazione pubblica fino al 30 novembre p.v.: gli elementi sopra analizzati potranno magari servire da spunto.