Nell’attuale società interconnessa in cui è facilissimo pubblicare e reperire online dati e informazioni personali di chiunque, la deindicizzazione diventa di fatto lo specchio del diritto all’oblio.
I giuristi informatici, d’altronde, lo sostengono da sempre: attenzione a ciò che si scrive, si pubblica e si fa su Internet, perché la rete non dimentica e ciò che ora può sembrare una “bravata”, potrebbe in futuro compromettere la nostra carriera, i nostri affetti e la nostra tranquillità.
Ovviamente non sempre le nostre informazioni sono sotto la nostra sfera di controllo anzi, se si entra nell’alveo del diritto di cronaca è l’esatto contrario.
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Il diritto all’oblio quale diritto fondamentale della persona
Esiste, tuttavia, un momento in cui si ha il diritto di essere dimenticati, in quanto le informazioni sulla propria persona non sono (o non sono mai state) veritiere, ovvero non sono più aderenti alla realtà: da questo punto di vista l’oblio rappresenta una faccia della stessa medaglia di quel diritto alla identità personale che la dottrina di fine ‘900 inseriva fra i diritti della personalità costituzionalmente garantiti a mente dell’art. 2 della Costituzione.
Il diritto all’oblio viene definito, da una recentissima pronunzia della Suprema Corte, come il diritto di «non rimanere esposti senza limiti di tempo ad una rappresentazione non più attuale della propria persona con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, a causa della ripubblicazione, a distanza di un importante intervallo temporale, di una notizia relativa a fatti del passato».
Tuttavia, gli ermellini precisano che tale diritto va sempre bilanciato con il diritto alla libera manifestazione del pensiero, il diritto di cronaca e, più in generale con un interesse documentaristico ed alla conoscenza del fatto da parte dei consociati, sicché il diritto all’oblio potrà essere comunque assicurato «anche nella sola “deindicizzazione” dell’articolo dai motori di ricerca».
Il GDPR e la Corte di Giustizia EU in tema di diritto all’oblio
Il Reg. 2016/679, il GDPR, parla esplicitamente di diritto all’oblio all’art. 17 che elenca una serie di casi in cui «l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali».
La stessa Corte di Giustizia EU, in base ad una recente pronunzia (anche se il procedimento era sta introdotto nel 2017, vigente la Direttiva privacy 95/46/CE), mitigando il totem d’irresponsabilità in capo agli ISP, ha statuito che «I gestori dei motori di ricerca sono obbligati ex artt. 8 direttiva 95/46/Ce, 9 e 10 Regolamento 2016/679/Ue (GDPR) ad accogliere le richieste di deindicizzazione dei dati sensibili (giudiziari, opinioni politiche, religiose, vita sessuale etc.) su richiesta dell’interessato, previo equo bilanciamento con i diritti e libertà degli internauti e salvo le eccezioni previste dalla Direttiva di cui sopra e dal GDPR».
La predetta sentenza si è occupata del rifiuto della CNIL (Commissione Nazionale per l’Informatica e la Libertà) sulla richiesta di quattro cittadini francesi di ingiungere a Google Inc. (in EU Google LLC) la deindicizzazione dei risultati relativi fatti giudiziari relativi ai ricorrenti che mostravo link di pagine scritte da soggetti terzi.
La Corte ha precisato che se da un lato i dati oggetto della ricerca rientravano fra le condanne penali ed i reati perfettamente ostensibili in base alla Direttiva EU citata, dall’altro «il gestore di un motore di ricerca è tenuto ad accogliere una richiesta di deindicizzazione vertente su link verso pagine web, nelle quali compaiono le suddette informazioni, quando queste ultime si riferiscono ad una fase precedente del procedimento giudiziario considerato e non corrispondono più, tenuto conto dello svolgimento di quest’ultimo, alla situazione attuale, nei limiti in cui si constati, nell’ambito della verifica dei motivi di interesse pubblico rilevante di cui all’articolo 8, paragrafo 4, della stessa direttiva» e anche in relazione ai diritti fondamentali della persona.
Va detto che la Corte ha specificato che l’ordine, in ogni caso, riguarda i soli risultati di ricerca indirizzati ai cittadini EU, in ordine ai principi che regolano la giurisdizione europea.
Diritto all’oblio e deindicizzazione: alcuni casi italiani
Anche i giudici nazionali si sono occupati del diritto all’oblio, con pronunzie, più che altro, in relazione a condotte diffamatorie on line.
Ad esempio, il Giudice civile di Milano, dopo avere accertato la condotta diffamatoria di una testata giornalistica nei confronti di un ente no profit, ha ordinato ai motori di ricerca generali la deindicizzazione dell’articolo diffamatorio, con l’obbligo il creare un link di riferimento alla sentenza stessa.
Va detto che la sentenza citata, oltre al condannare la testata, contiene un ordine rivolto al terzo estraneo alla vicenda processuale (i motori di ricerca), pertanto, qualora il motore di ricerca non si dovesse conformare in via bonaria, sarà necessario chiamarlo in causa sia per l’esecuzione coattiva, che per il risarcimento dei danni.
È il caso della condanna comminata dal Tribunale di Milano a Google Inc. in ordine alla mancata deindicizzazione di alcuni articoli che diffamavano un professionista; va detto che la natura diffamatoria dell’operato della fonte primaria di tali articoli era già stata dichiarata da una sentenza passata in giudicato.
Il giudice, dopo aver precisato che Google Inc. è qualificata quale ISP, la stessa non può, chiaramente, essere ritenuta responsabile delle pagine web che indicizza tramite i propri software “spider”, ma non deve più rendere disponibili agli utenti i link che fornivano un’informazione circa l’interessato.
Già, ma come si richiede la rimozione?
I motori di ricerca mettono a disposizione i form per la richiesta di rimozione delle informazioni personali, il che potrebbe far pensare ad un’operazione relativamente semplice.
Tuttavia, in caso di diniego o silenzio l’interessato potrà rivolgersi al Garante privacy che ha il potere di ordinare la deindicizzazione ricorrendone i presupposti come, ad esempio, ha già fatto in un suo provvedimento del 24/09/2019 che trattava il caso di una persona arrestata nel 2004, poi totalmente ritenuta estranea ai fatti: sulla vicenda erano ancora presenti link che rimandavano ad interrogazioni parlamentari, cui non fu mai dato un seguito dopo la sentenza di non luogo a procedere, né dopo l’annullamento dell’interdittiva antimafia.
Resta, infine, salva la possibilità di ricorre al giudice ordinario, sia per ottenere un ordine di deindicizzazione, sia per richiedere i danni derivanti dalla predetta condotta omissiva.
FONTI
- Cassazione civile sez. I – 19/05/2020, n. 9147;
- EDPB, Guidelines 5/2019 on the criteria of the Right to be Forgotten in the search engines cases under the GDPR, 2019;
- Corte di Giustizia EU, Grande Sezione, sentenza 24 settembre 2019, causa C-136/17;
- Ordinanza del 13/06/2019 R.G. 60124/2017 Tribunale di Milano;
- Domenico Battaglia, “Alla sentenza per diffamazione deve seguire la deindicizzazione dal motore di ricerca”, 2020;
- Google, “Modulo di richiesta per la rimozione delle informazioni personali”;
- Garante privacy, Provvedimento del 24 luglio 2019.