La maggiore tutela dei dati personali offerta dal GDPR assume particolare rilevanza nel contesto lavorativo dove spesso sono trattati anche i dati particolari (previsti dall’art. 9 Reg. UE 2016/679).
In primis, assume rilevanza il titolare del trattamento, ossia il datore di lavoro, il quale sarà responsabile in merito ad ogni aspetto della tutela di tali dati dovendo rispettare, come fulcro centrale, il principio di “accountability”.
Vediamo in che modo.
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I compiti del datore di lavoro
Nell’ambito dell’organizzazione aziendale uno dei primi compiti che il datore di lavoro deve adottare è quello di individuare i soggetti autorizzati al trattamento ex art. 32 GDPR e d’impartire loro le istruzioni su come debbano adempiere il loro compito.
Alcuni autori[1] ritengono che sia opportuno che ai dipendenti autorizzati, ex art. 32, debba essere consegnata una comunicazione di autorizzazione al trattamento, contenente l’ambito per cui sono autorizzati, il profilo utente rispetto alla rete aziendale ed indicate le attività di formazione sulla materia della protezione dei dati.
Già su questo punto si rileva un dovere in capo al lavoratore di rispettare quanto ricevuto con l’autorizzazione al trattamento, pena la possibilità di ricevere sanzioni disciplinari in caso di violazione delle istruzioni ricevute.
Sempre dall’applicazione diretta delle disposizioni del GDPR emergono ulteriori doveri in capo a quei dipendenti che trattano dati personali all’interno di un’azienda come l’obbligo di formazione.
Vero è che l’attività di formazione fa parte delle attività del DPO, ma specularmente i dipendenti dovranno sottoporsi a tali attività e sostenere appositi test per dimostrare la loro preparazione.
Sul punto è bene ricordare come questa attività, anche di aggiornamento, sia opportuna ogni qualvolta siano inserite nuove risorse o vi sia un cambio di mansioni tra i dipendenti.
GDPR e strumenti di lavoro
Inoltre, fonte di criticità in materia di diritti e doveri tra datore di lavoro e dipendenti, è l’utilizzo degli strumenti di lavoro assegnati a questi ultimi.
In questi casi è bene che il datore di lavoro si munisca di apposite policy aziendali circa il loro utilizzo, per esempio vietando l’installazione di applicazioni per fini privati e crei informative apposite qualora vi sia la possibilità del controllo a distanza del dipendente attraverso tali strumenti.
Sul punto è opportuno ricordare come il D.lgs. 151/2015 abbia novellato l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970) ed abbia permesso al datore di lavoro di utilizzare gli strumenti di lavoro forniti al dipendente per tutti gli aspetti riguardanti il rapporto purché sia fornita idonea informativa. Grande rilevanza ha assunto l’utilizzo della posta elettronica aziendale.
In questo senso le tutele dei lavoratori si intersecano tra la disciplina prettamente giuslavoristica e la disciplina in materia di privacy.
Il Garante per la protezione dei dati personali ha precisato che qualora: “siano attivate caselle di posta elettronica – protette da password personalizzate – a nome di uno specifico dipendente, quelle «caselle» rappresentano il domicilio informatico proprio del dipendente (…). La casella rappresenta uno «spazio» a disposizione – in via esclusiva – della persona, sicché la sua invasione costituisce, al contempo, lesione della riservatezza” (Cass. 31 marzo 2016, n. 13057) “tanto più che l’assenza di un’esplicita policy al riguardo può determinare una legittima aspettativa del lavoratore, o di terzi, di confidenzialità rispetto ad alcune forme di comunicazione“[2].
Il consenso del lavoratore
Da ultimo preme rilevare, come nell’ambito del rapporto lavorativo, il consenso al trattamento previsto dall’art. 4 del GDPR, inteso come manifestazione di volontà libera, specifica, informata ed inequivocabile, spesso trovi una compressione a causa della posizione subordinata al datore di lavoro.
L’unico caso in cui il lavoratore può esprimere un consenso del genere sarebbe solo quando sia effettivamente libero di operare una scelta senza che da ciò derivi alcun danno.
Lo stesso WP29 (WP249) è consapevole di tale situazione rilevando come il consenso non sia valido in quanto non può essere considerato espressione di una volontà libera poiché il diniego del lavoratore “potrebbe causare allo stesso un pregiudizio reale o potenziale”.
È in tali casi che il GDPR ha previsto che la base giuridica del consenso trovi la propria fondamenta nell’esecuzione di obblighi derivanti da un contratto di lavoro, adempimento di obbligazioni previste dalla legge o da un interesse legittimo del datore di lavoro quale può essere l’ottimizzazione della produttività aziendale.
Il controllo
I profili e le problematiche sopra analizzate trovano concreta applicazione nelle aule giudiziarie, già da tempo, e la giurisprudenza di merito è recentemente intervenuta, in materia di controllo a distanza del lavoratore attraverso la posta elettronica, sancendo che: “Contemperando l’interesse al controllo e la protezione della dignità e riservatezza dei lavoratori, il lavoratore può essere controllato con mezzi a distanza, ma alle seguenti cumulative condizioni:
- l’impianto deve essere stato previamente autorizzato con accordo sindacale o dall’ INL;
- l’impianto deve avere una o più delle finalità (diverse da quelle di controllare i lavoratori) previste dal primo comma dell’art.4;
- il datore deve aver previamente informato il lavoratore che l’impianto è stato installato, e che vi si potranno esperire controlli (co.3);
- il controllo deve essere esperito in conformità al Codice della privacy.
Le regole sub a) e b), che dettano il regime autorizzatorio, non valgono per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, quali il software PRS e la e-mail aziendale.
Le regole sub c) e d) valgono invece sempre, alla sola condizione che si tratti di strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.
Ne consegue che sia la posta elettronica che il software PRS rientrano in tale categoria, trattandosi di strumenti che, pur non avendo finalità di controllo (ma finalità lavorative) consentono il controllo “a distanza” dell’operato del lavoratore”[3].
Queste problematiche saranno sempre più attuali con l’avanzare della tecnologia e con l’implementazione degli strumenti di tracciamento dei beni aziendali.
NOTE
- Privacy: riflessi ed aspetti pratico-operativi del nuovo GDPR nell’ambito del rapporto di lavoro – Parte II, Mario Cassaro, Il Giuslavorista ↑
- Privacy: riflessi ed aspetti pratico-operativi del nuovo GDPR nell’ambito del rapporto di lavoro – Parte II, Mario Cassaro, Il Giuslavorista. ↑
- Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, 13 giugno 2018. ↑