Diverse sono le posizioni espresse dai principali attori del settore riguardo ai cosiddetti “nativi digitali”.
Nell’era digitale ormai i ragazzi “nascono imparati” o, meglio, è diffusa l’idea che il fatto stesso di essere “nativi digitali” o avere l’avventura di appartenere alla Generazione Z o Alpha, fornisca ai giovanissimi strumenti aggiuntivi e “genetici” di scienza infusa o di conoscenza generata, quasi come se le nozioni tecnologiche e le esperienze digitali (quando ci sono) dei genitori possano essere state trasmesse ai figli.
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Nessuno “nasce imparato” al digitale
Tendiamo troppo facilmente -e un po’ superficialmente- a credere che i nostri figli e nipoti abbiano una maggior consapevolezza nell’uso della tecnologia dell’era digitale solo perché “sanno usarne i terminali- non gli strumenti- molto meglio di noi”, confondendo l’uso e la manualità con la consapevolezza e la conoscenza della tecnologia e dell’Educazione necessaria a vivere nell’era digitale.
Se ne parla anche a State of Privacy 2023.
Certamente gli Alpha o gli ZGen sanno manovrare un Joystick meglio di un Boomer fermo all’indimenticabile videogioco “Pong” e hanno un allenamento alla digitazione superiore a quello di un dattilografo d’antan ma quanta consapevolezza hanno di quanti dati, soprattutto personali, stanno trasmettendo ( o hanno già trasmesso) per fare quel gioco, dove finiranno, per cosa verranno utilizzati, per quanto tempo verranno conservati, quante società potranno usarli e manipolarli trasformandoli in atomi del loro business, quante volte e in quanti modi verranno profilati…
Le domande potrebbero continuare mettendo in difficoltà financo un chatbot generativo ma, a mio avviso, la risposta nella stragrande maggioranza dei casi sarà negativa in quanto anagrafe e consapevolezza non sono “gemelli eterozigoti” che necessariamente coesistono nella stessa persona.
A fare umile ma utile professione d’ignoranza, inoltre, non dovrebbero essere solo le generazioni più recenti ma anche – non so se soprattutto ma almeno alla pari- gli adulti, coloro i quali hanno ancora studiato solo sui libri di carta e hanno il dito più allenato a pigiare su una tastiera anziché a scorrere su uno schermo.
Il “So di non sapere” socratico e non lo “Yes I can” obamiano dovrebbe essere il motto dell’Era Digitale nella quale siamo già completamente immersi: è solo questione di ore…che passiamo in Rete. Noi adulti, tuttavia, siamo avvantaggiati rispetto alle ultime generazioni: abbiamo vissuto una vita mediamente più lenta, in senso positivo, più “slow” per usare un termine inglese che rende meglio il concetto, non subissata da un’iper informazione superficiale che fa calare l’attenzione dopo la terza riga, che limita l’espressione di un pensiero a 160 battute, che non apprezza un filmato che superi i 30 secondi…
Non siamo nati in Rete e con quelli che ci sono nati ma non ancora completamente avviluppati nella stessa, come i Millennials, abbiamo avuto modo di sviluppare adeguatamente forme di senso critico e di “buonsenso comune” in un mondo oggettivamente più semplice e meno forsennatamente veloce.
Tale casualità ha permesso alla maggioranza di noi di maturare forme di libero arbitrio laico, di semplice distinzione tra ciò che si può e non si può fare, che rischia di non permeare le nuove generazioni: pensiamo alle “challenge” folli ed estreme, all’edonismo tiktokkaro che spinge troppi a filmarsi mentre sfrecciano in auto, a condividere foto e video personali e intimi senza alcuna prudenza o senso del limite, a cyberbullizzare i compagni per gioco ( con l’aggravante che a differenza del suo antenato, il bullismo, questo rischia di vederne perpetuamente ed indefinitamente cristallizzati gli effetti)…
Nuove forme di educazione civica sono necessarie
La mia personale convinzione (ma girando per convegni e dibattiti sono certo di essere in ottima e copiosa Compagnia), quindi, è che l’Era Digitale, non essendo una semplice e pacificamente consequenziale evoluzione tecnologica ma una Rivoluzione Culturale epocale- una nuova scoperta del fuoco o la scoperta di un nuovo fuoco-necessiti inderogabilmente di originali forme di Educazione Civica che istruiscano ad una vita consapevole nella nuova, più diffusa, assorbente quando non totalizzante, Netlife. Così come l’educazione civica è servita nel corso dei decenni ad insegnare le regole base della convivenza civile, così l’educazione civica digitale dovrebbe istruire alla comprensione dei rudimenti delle tecnologie su cui viviamo -e sempre di più vivremo- buona parte della nostra vita vigile (ma anche di quella incosciente se usiamo, a titolo di mero e immediato esempio, app per il monitoraggio del sonno…) e dei nuovi linguaggi, della nuova terminologia, sulla quale esse si basano.
L’auspicio, dunque, è che fin dai primi cicli scolastici, si possa introdurre-attraverso appositi corsi di formazione o di aggiornamento per i docenti- l’insegnamento dell’educazione civica digitale, delle opportunità ma anche dei pericoli della Netlife, a partire dall’abc- l’antico abbecedario di Pinocchio- delle nuove tecnologie e terminologie.
Educazione civica digitale: l’importanza
In conclusione l’educazione civica digitale insegnata ai più giovani (ma anche con un bel ripasso per gli adulti) consentirebbe di trasformare i Nativi in Consapevoli digitali ed aiutare i neo analfabeti funzionali a non rimanere esclusi nell’era digitale, in una società che non lasci indietro alcuno, che non aumenti diseguaglianze e vulnerabilità, umana e non transumana: una società in cui l’essere umano rimanga consapevolmente alla guida delle macchine senza abbandonarsi, senza cognizione, al deliquio di essere guidato