PRIVACY E LAVORO

Green Pass: il no del Garante Privacy all’emendamento che ne legittima la “consegna” al datore di lavoro

In una segnalazione inviata al Parlamento e al Governo sul Disegno di legge di conversione del cosiddetto decreto Green Pass-bis, il Garante Privacy ha indicato una serie di criticità in relazione all’emendamento che legittima la “consegna” della certificazione Covid al datore di lavoro. Eccole in dettaglio

Pubblicato il 15 Nov 2021

Riccardo Berti

Avvocato e DPO in Verona

Franco Zumerle

Avvocato, Coordinatore Commissione Informatica Ordine Avvocati Verona

Green Pass obbligatorio sui luoghi di lavoro

Non si è fatta attendere la perentoria reazione del Garante Privacy all’approvazione al Senato di alcuni emendamenti al disegno di legge dedicato alla conversione del Decreto Legge 127/2021, che introdurrebbero la possibilità di consegna, da parte dei lavoratori dei settori pubblico e privato (nonché dei magistrati), di copia del Green Pass al datore di lavoro, con conseguente esenzione dai controlli per tutta la durata della validità del certificato.

Questa novità ha fatto subito discutere in quanto, se approvata, finirebbe per sconvolgere l’impianto avallato dal Governo e dal Garante nei mesi scorsi sui controlli delle certificazioni COVID, basato su un delicato equilibrio fra diritto alla riservatezza dei lavoratori ed efficace organizzazione dei controlli.

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Le criticità evidenziate dal Garante Privacy

Il pilastro su cui si è fondata la legislazione di emergenza e su cui ha più volte insistito il Governo è infatti quello per cui il Green Pass non può essere consegnato ai datori di lavoro così da evitare che questi possano conoscerne la scadenza e determinare così deduttivamente l’origine del certificato (da tampone, vaccinazione o guarigione), venendo a conoscenza di un dato sanitario molto più determinato del dipendente rispetto a quello che invece si viene a conoscere con la mera esibizione del certificato verde.

Il Garante, infatti, ha inoltrato al Parlamento una segnalazione con cui evidenzia una serie di criticità in relazione agli emendamenti approvati in Senato, contestando in particolare la legittimazione in capo al datore di lavoro di conservare copia dei Green Pass dei dipendenti che volontariamente li consegnino allo stesso.

Infatti, il Considerando 48 del Regolamento (UE) 2021/953 relativo alle certificazioni digitali COVID sancisce esplicitamente che “Laddove il certificato venga utilizzato per scopi non medici, i dati personali ai quali viene effettuato l’accesso durante il processo di verifica non devono essere conservati, secondo le disposizioni del presente regolamento”.

Gli emendamenti approvati in Senato rischiano quindi di collidere con il diritto comunitario.

Il Garante argomenta che il divieto è finalizzato a garantire la riservatezza “non solo dei dati sulla condizione clinica del soggetto (in relazione alle certificazioni da avvenuta guarigione), ma anche delle scelte da ciascuno compiute in ordine alla profilassi vaccinale”, tutti dati facilmente conoscibili dal datore di lavoro nel momento in cui conserva i Green Pass dei dipendenti.

Stiamo parlando, poi, di un contesto (quello lavorativo) in cui il consenso del dipendente (di per sé in una situazione di soggezione rispetto al datore di lavoro) salvo casi eccezionali non è considerato una valida base per il trattamento dati (specie se appartenenti a categorie particolari come in questo caso).

Il Garante ricorda poi come l’emendamento contrasti con numerose norme di rango secondario che prescrivono esplicitamente il divieto di conservazione delle certificazioni verdi, che dovrebbero essere riscritte se davvero il Parlamento proseguisse nella scelta di autorizzare una conservazione del Green Pass fino a scadenza.

Ultima stoccata del Garante è quella del contraltare a questa opzione di controllo “prolungato” consentita al datore di lavoro. Se un datore di lavoro deve accettare dai dipendenti che lo vogliano il Green Pass in conservazione, è evidente che il titolare si troverà a dover conservare una inedita mole di dati di natura sanitaria dei dipendenti (che di solito vengono invece “minimizzati” attraverso il coinvolgimento del medico del lavoro che li tratta in autonomia) e dovrà conseguentemente adottare “misure tecniche e organizzative adeguate al grado di rischio connesso al trattamento, con un non trascurabile incremento degli oneri (anche per la finanza pubblica, relativamente al settore pubblico)”.

Verifiche Green Pass e finalità di tutela della sanità pubblica

Questa serie di criticità impone, secondo la nota del Garante, una ulteriore riflessione sugli emendamenti approvati, che ci si augura verrà raccolta dal Parlamento, specie perché le modalità faticosamente concordate fra Autorità e Governo per i controlli dei Green Pass non può essere scardinata da un’estemporanea iniziativa parlamentare.

Alle stringenti considerazioni che precedono sulle criticità degli emendamenti approvati in Senato, il Garante “aggiunge” una riflessione sulla finalità di tutela della sanità pubblica che deriverebbe dal frequente controllo del Green Pass consentendone di verificarne gli aggiornamenti.

Il percorso di controllo attenuato che propongono gli emendamenti eviterebbe questo controllo frequente e renderebbe impossibile acquisire modifiche ai certificati conseguenti a risultanze diagnostiche eventualmente sopravvenute. Quest’ultima motivazione non sembra però cogliere del tutto nel segno.

Se è pur vero che un controllo quotidiano dei Green Pass può intercettare revoche o sospensioni dei certificati, è anche vero che queste situazioni dovrebbero essere o generalizzate (es. un’estensione o riduzione temporale della validità dei certificati originati dalla vaccinazione, facilmente risolvibile con una nuova acquisizione dei certificati dopo la novità normativa) oppure relative a casi di falsificazione del certificato, che dovrebbero fisiologicamente costituire un’eccezione davvero rara nel suo verificarsi e come tale non sufficiente a sconvolgere un sistema di controlli “estesi” come promosso negli emendamenti di cui si discute.

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Allo stesso modo non sembra significativa la criticità sollevata dal Garante e secondo cui la nuova norma impedirebbe al datore di lavoro di conoscere la positività COVID del soggetto che consegna il certificato; va però evidenziato che la positività al virus abbia canali di comunicazione obbligatori più immediati rispetto a quello del suo “riflesso” sul certificato verde e quindi anche in questo caso un controllo differito non sarebbe da escludere a prescindere.

Ciononostante, le considerazioni già esposte in tema di tutela dei dati sanitari e di coerenza con la disciplina comunitaria sono già di per sé più che sufficienti -ad avviso di chi scrive- per imporre un ripensamento al legislatore.

Conclusioni

Se si può discutere nel merito la scelta concordata fra il Governo e il Garante da mesi a questa parte di non far transitare dal datore di lavoro un controllo esteso sui certificati, quel che è certo è che non è questa la sede per farlo, peraltro dopo mesi di coerente azione legislativa ed amministrativa in direzione opposta rispetto a quella promossa negli emendamenti.

Unica nota al provvedimento del Garante è che l’Autorità dimentica, in questo frangente, i soggetti muniti di certificato di esenzione dal Green Pass, “condannati” a un’esibizione di dati sanitari più estesa rispetto a quella dei possessori di certificati COVID e senza peraltro che sia attivato un percorso informatico per poter esibire, minimizzando il trattamento dati, il loro diritto ad essere esentati dai controlli (peraltro soggetto a una proroga di validità dei certificati poco comunicata e non tradotta nell’emissione di nuovi certificati recanti la data di scadenza reale del 30.11.2021).

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