I dati sull’interruzione di gravidanza sono dati relativi alla salute e come tali devono essere tutelati onde evitare di incorrere in un trattamento illecito: è questa la conclusione a cui è giunto il Garante privacy a termine dell’istruttoria sul caso del cosiddetto “cimitero dei feti”.
Analizziamo nel dettaglio questo importante provvedimento che riconduce alla giusta tutela di dati relativi alla salute delle persone e delle mamme in particolare.
Indice degli argomenti
Il provvedimento del Garante privacy
L’Autorità Garante per il trattamento dei dati personali ha aperto un’istruttoria nei confronti di AMA S.p.A. di AMA S.p.A. – la società municipalizzata che, tra le altre cose, gestisce i servizi Cimiteriali Capitolini dal 1998 – e Roma Capitale in seguito alle notizie apparse sulla stampa.
Come si legge nel provvedimento 164 del 27 aprile 2023:
“A seguito di numerose notizie stampa, si è appreso che presso il cimitero Flaminio di Roma Capitale – gestito dall’Azienda Municipale Ambiente S.p.a. (di seguito Ama S.p.a.), società con socio unico Roma Capitale – si trovavano centinaia di croci bianche sopra piccole sepolture relative a prodotti abortivi, sulle quali erano apposte delle etichette riportanti le generalità delle donne che avevano interrotto una gravidanza e una data (cfr. XX, https://…; XX ,https://…).
Anche in base alle informazioni riportate sul sito istituzionale dei cimiteri capitolini, si è appreso che “Presso il cimitero Flaminio, dal 1990 è disponibile un campo apposito per la sepoltura a terra dei bambini fino a 10 anni, al quale AMA-Cimiteri Capitolini destina anche i “feti” che hanno avuto un funerale.
Sempre presso il Flaminio, esiste un altro campo a cui sono destinati i “prodotti del concepimento” o i “feti” che non hanno avuto onoranze funebri perché sepolti su semplice richiesta dell’ASL.
Gli stessi giacciono in fosse singole, contraddistinte da un segno funerario apposto da AMA-Cimiteri Capitolini, costituito da croce in legno ed una targa su cui è riportato comunemente il nome della madre o il numero di registrazione dell’arrivo al cimitero, se richiesto espressamente dai familiari”.
Presso il cimitero Laurentino, è invece presente un’area denominata “Giardino degli angeli” destinata alle sepolture su richiesta dei genitori, all’interno della quale “le lapidi che contraddistinguono la sepoltura sono tutte uguali tra loro: il riconoscimento è reso possibile da un codice posto sul retro della lapide. Sul fronte è possibile, se richiesto, inserire nomi, che possono essere anche “di fantasia” (cfr. https://…; https://…)”.
In sede istruttoria, quindi, il Garante ha accertato quanto segue.
“La diffusione illecita dei dati delle donne, come anche evidenziato da Roma Capitale con le note del XX, prot. n. XX e del XX, prot. n. XX, riguarda unicamente i casi in cui la sepoltura non è avvenuta su richiesta delle stesse donne o dei familiari, ma su richiesta della Asl.
In tali casi la sepoltura è stata effettuata “in fosse singole, contraddistinte […] da una croce in legno ed una targa su cui è riportato comunemente il nome della madre o il numero di registrazione dell’arrivo al cimitero, se richiesto espressamente dai familiari” (https://…).
Come evidenziato dalle vicende personali denunciate e/o riportate sulla stampa, si tratta proprio dei casi in cui – verosimilmente anche a causa di un’informazione carente da parte delle strutture sanitarie – le donne interessate non sono state messe a conoscenza del fatto che, anche nel caso si scelga di non effettuare la sepoltura, questa avviene, comunque, su impulso della Asl.
Paradossalmente, la possibilità di indicare “il numero di registrazione dell’arrivo al cimitero”, anziché le generalità della donna, è prevista solo “se richiesto espressamente dai familiari”, richiesta che però difficilmente può essere presentata in assenza di un’adeguata informazione”.
Le considerazioni in diritto
La premessa logico-giuridica per affermare l’illiceità del trattamento dei dati in questione è la loro individuazione come dati relativi alla salute delle persone.
Il passaggio non era scontato, ma il Garante ha concluso per farli rientrare nel novero dei dati relativi alla salute, attraverso una motivazione specifica e ben articolata, che merita di essere riportata in questa sede.
“Ciò premesso, i dati personali relativi all’interruzione di gravidanza rientrano a pieno titolo tra i dati relativi alla salute (artt. 4, par. 1, n. 15, e 9, nonché considerando 35 del Regolamento).
Ciò, non solo nei casi in cui la rilevazione di informazioni sulla salute fisica e psichica della donna nell’ambito dell’interruzione di gravidanza sia esplicitata dalla disposizione normativa (cfr. legge 22 maggio 1978, n. 194, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, che prevede l’interruzione volontaria di gravidanza quando “la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute” (art. 4), oppure quando “la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna” o “siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (art. 6), ma anche in tutti gli altri casi (interruzione volontaria o aborto spontaneo), trattandosi di un evento connesso ad una “prestazione di servizi di assistenza sanitaria” (art. 4, par. 1, n. 15, del Regolamento).
A conferma di tale inquadramento, l’art. 19 del d.lgs. n. 151/2001, prevede che “L’interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria, nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194, è considerata a tutti gli effetti come malattia” (cfr. anche provvedimento del Garante n. 334 del 4 giugno 2015, consultabile in www.gpdp.it, doc. web n. 4130998).
La legge 22 maggio 1978, n. 194 sopra citata, con riferimento al trattamento dei dati personali, ha previsto un rigoroso regime di riservatezza a tutela del diritto all’anonimato della donna.
Oltre alla sanzione penale, prevista per chi “essendone venuto a conoscenza per ragioni di professione o di ufficio, rivela l’identità – o comunque divulga notizie idonee a rivelarla – di chi ha fatto ricorso alle procedure o agli interventi previsti dalla presente legge” (art. 21), l’identità della donna è protetta anche in relazione all’adempimento di obblighi informativi all’interno dello stesso contesto sanitario (“L’ente ospedaliero, la casa di cura o il poliambulatorio […] sono tenuti ad inviare al medico provinciale competente per territorio una dichiarazione […] dell’intervento stesso e della documentazione sulla base della quale è avvenuto, senza fare menzione dell’identità della donna”, art. 11) e al “rispetto della dignità e della riservatezza della donna” (cfr. art. 5 della citata legge n. 194).
Il predetto regime di riservatezza è stato, peraltro, più volte ribadito dal Garante nell’ambito di diversi interventi, qualificando tali dati tra quelli soggetti “a maggiore tutela dell’anonimato” (parere su uno schema di decreto in materia di certificato di assistenza al parto, del 1° marzo 2000, doc. web n. 1085431; parere su schema di decreto in materia di fascicolo sanitario elettronico, del 22 maggio 2014, doc. web n. 3230826; Linee guida in materia di Dossier sanitario, del 4 giugno 2015, doc. web n. 4084632; cfr., altresì, provv. 5 marzo 2008, doc. web n. 1523741, sul divieto di diffondere le generalità della donna che ha effettuato un’interruzione volontaria di gravidanza).
Le disposizioni normative, che prevedono una tutela rafforzata per il trattamento dei dati relativi alle donne che hanno effettuato una interruzione di gravidanza, rientrano nelle specifiche disposizioni di settore fatte salve dall’art. 75 del Codice.
Con riguardo alla sepoltura dei feti e dei prodotti abortivi, la materia è disciplinata, principalmente, dal d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, di approvazione del Regolamento di polizia mortuaria.
In particolare, l’art. 7 prevede che “per la sepoltura dei prodotti abortivi di presunta età di gestazione dalle 20 alle 28 settimane complete e dei feti che abbiano presumibilmente compiuto 28 settimane di età intrauterina […], i permessi di trasporto e di seppellimento sono rilasciati dall’unità sanitaria locale.
A richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere raccolti con la stessa procedura anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane”.
Nei predetti casi “i parenti o chi per essi sono tenuti a presentare, entro 24 ore dall’espulsione od estrazione del feto, domanda di seppellimento alla unità sanitaria locale accompagnata da certificato medico che indichi la presunta età di gestazione ed il peso del feto”. L’art. 50, prevede, inoltre, che “Nei cimiteri devono essere ricevuti quando non venga richiesta altra destinazione: […] d) i nati morti ed i prodotti del concepimento di cui all’art. 7”.
L’art. 52, comma 2, dispone poi che siano iscritte giornalmente in un registro: “a) le inumazioni che vengono eseguite, precisando il nome, cognome, età, luogo e data di nascita del defunto, secondo quanto risulta dall’atto di autorizzazione di cui all’art. 6, l’anno, il giorno, e l’ora dell’inumazione, il numero arabico portato dal cippo e il numero d’ordine della bolletta di seppellimento; b) le generalità, come sopra, delle persone i cui cadaveri vengono tumulati, con l’indicazione del sito dove sono stati deposti”. In base all’art. 53, comma 2, “Un esemplare dei registri deve essere consegnato, ad ogni fine anno, all’archivio comunale, rimanendo altro presso il servizio di custodia”.
Per quanto riguarda, infine, le modalità di identificazione della sepoltura, l’art. 70 prevede che “Ogni fossa nei campi di inumazione deve essere contraddistinta, a cura del comune, da un cippo […] portante un numero progressivo. Sul cippo, a cura del comune, verrà applicata una targhetta di materiale inalterabile con indicazione del nome e del cognome e della data di nascita e di morte del defunto”.
Il Regolamento comunale approvato con delibera n. 3516 del 23 ottobre 1979 – vigente all’epoca dei fatti – prevede che “Nei Cimiteri comunali hanno diritto di seppellimento […] i nati morti ed i prodotti del concepimento dopo il quarto mese” (art. 1); “Le inumazioni sono effettuate in differenti riquadri, a seconda che trattasi di salme di adulti o di bambini fino a dieci anni compiuti. I nati morti, di vita uterina non inferiore a mesi sei, vengono inumati nei riquadri dei bambini; analogamente possono essere inumati nei riquadri stessi, gli aborti” (art. 4).
Si evidenzia, infine, che alla luce delle modifiche apportate da Roma Capitale al predetto Regolamento, l’art. 4, attualmente prevede che le sepolture dei feti siano “contraddistinte da un codice alfanumerico o un nome, o un vezzeggiativo, o un simbolo, o una data, o altro, laddove la donna interessata ne faccia esplicita richiesta. In apposita sezione del registro cimiteriale il codice è associato al permesso di trasporto e seppellimento relativo; l’accesso a tali dati è riservato alla donna interessata o agli aventi diritto di cui al comma precedente. In questi casi si procede all’inumazione apponendo una targhetta di identificazione contenente il citato codice alfanumerico o un nome, o un vezzeggiativo, o un simbolo, o una data, o altro, laddove la donna interessata ne faccia esplicita richiesta”.
Si ricorda, infine, che le disposizioni dell’ordinamento nazionale si interpretano e si applicano alla luce della disciplina europea in materia di protezione dei dati personali (art. 22, comma 1, del d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101)”.
L’argomentazione del Garante appare ineccepibile in fatto e diritto e la stessa AMA S.p.A. ha provveduto a modificare la prassi e a procedere con scelte operative che determinino trattamenti leciti.
Per questa ragione il Garante ha diminuito la sanzione e non ha aggravato ulteriormente il provvedimento a carico di AMA.
Conclusioni
La vicenda, in sé triste a prescindere, ha determinato un’analisi precisa in diritto sulle modalità operative con cui le società che gestiscono i servizi cimiteriali devono effettuare le attività cui son chiamate a compiere quando gestiscono la sepoltura di feti.
Il trattamento dei dati delle madri è rigidissimo perché trattandosi di dati afferenti alla salute delle persone ai sensi degli articoli 4 e 9 GDPR essi possono essere trattati lecitamente solo in presenza di consenso valido, specifico ed informato dell’interessato.
Tutti gli obblighi connessi a questo tipo di trattamenti, inoltre, vanno da una tenuta precisissima del registro dei trattamenti alle regole di privacy by design, accountability e minimizzazione, ci andrebbe opportunamente aggiunta una DPIA.