Le minacce alla sicurezza delle informazioni collegate al fattore umano hanno assunto una crescente importanza negli ultimi anni, al punto che il comportamento umano viene il più delle volte individuato come l’elemento di maggiore vulnerabilità del sistema di protezione degli asset dell’organizzazione: è in questo contesto che il DPO può avere un ruolo fondamentale nella gestione del rischio connesso proprio al fattore umano.
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Il fattore umano e le minacce alla sicurezza delle informazioni
Dal momento che le campagne di attacchi informatici puntano strategicamente a colpire l’anello debole della “catena di sicurezza”, queste sono progettate per essere dirette o nei confronti di alcuni strumenti (approfittando di bug, obsolescenze ecc.) o nei confronti degli operatori che hanno accesso ai sistemi informativi.
Se l’evoluzione tecnologica può intervenire efficacemente per prevenire la maggior parte delle minacce collegate agli strumenti, tale avanzamento non produce il medesimo automatismo nel rafforzare la resilienza del fattore umano.
Anzi, la maggior parte delle volte se l’adozione di soluzioni tecnologiche innovative non è accompagnata da un adeguato percorso di formazione e addestramento, la probabilità che siano compromessi sistemi e informazioni aumenta in modo significativo dal momento che gli operatori si trovano o inconsapevoli dei rischi o impreparati ad affrontare le minacce.
Il comportamento riconducibile agli operatori da cui deriva un rischio per le informazioni può essere di natura dolosa o colposa, nonché derivare da errore o incuria, ma trova il proprio comune denominatore nella non adesione più o meno consapevole a procedure, istruzioni e best practice di sicurezza.
Di conseguenza, nel momento in cui l’organizzazione non provvede a fornire istruzioni di sicurezza adeguate, complete ed accessibili, non sta efficacemente proteggendo i propri sistemi ed informazioni dalla categoria di rischi riconducibili al fattore umano.
Perché le istruzioni siano complete è necessario che individuino il proprio campo di applicazione, individuino gli ambiti di attività all’interno dell’organizzazione rilevanti e definiscano i ruoli e responsabilità collegati allo svolgimento delle operazioni sulle informazioni, indicando infine i rispondenti comportamenti consentiti e vietati.
L’accessibilità, invece, richiede un’effettiva conoscenza da parte dei destinatari e dunque tanto la disponibilità materiale delle istruzioni quanto la loro comprensibilità attraverso l’uso di un linguaggio chiaro e schematico.
Per valutare l’adeguatezza delle istruzioni di sicurezza, invece, soccorre l’art. 32 GDPR il quale indica i parametri dello stato dell’arte, dei costi di attuazione e del rischio inerente (natura, oggetto, contesto, finalità di trattamento).
Lo stato dell’arte è un parametro esterno rispetto all’organizzazione, mobile ed in continua evoluzione, il cui monitoraggio è necessario per adeguare la progettazione e l’implementazione della sicurezza alle frontiere tecnologiche e alle minacce emergenti.
I costi di attuazione sono invece un parametro solo parzialmente esterno, in quanto può incontrare un parziale controllo da parte dell’organizzazione attraverso lo stanziamento di un budget dedicato alla sicurezza e un processo di selezione fra più soluzioni fra quelle disponibili sul mercato.
La valutazione del rischio inerente, invece, è il precipitato della scelta dell’organizzazione in ordine alla determinazione di dati, finalità e mezzi del trattamento, ed è l’indicatore principale da considerare per la scelta delle misure tecniche ed organizzative da predisporre a tutela della confidenzialità, integrità e disponibilità dei dati personali.
Ovviamente è possibile l’adozione di soluzioni tecnologiche che possano prevenire o contenere determinati rischi, ma non solo mai interamente sostitutive. Un intervento di tipo organizzativo sul fattore umano è una componente ineliminabile per la sicurezza delle informazioni e non può essere sottostimato altrimenti costituirà sempre un elemento di vulnerabilità per la sicurezza dei sistemi e delle informazioni.
L’intervento di informazione e consulenza del DPO nella gestione del fattore umano
L’intervento sul fattore umano può essere svolto attraverso il contributo consulenziale del DPO su due piani: un primo, di ordine strategico-decisionale; un secondo, di ordine operativo. Il compito di informazione e consulenza relativo agli obblighi in materia di protezione dei dati personali riguarda infatti anche l’elemento della sicurezza delle informazioni e della gestione dei rischi, ed è rivolto sia ai vertici dell’organizzazione sia agli operatori autorizzati a svolgere le attività di trattamento.
Per quanto riguarda il livello manageriale, le attività di gestione dei rischi dei dati personali sono principalmente riferibili:
- al sistema di gestione adottato per la conformità normativa ai sensi degli artt. 24 e 25 GDPR;
- all’istruzione dei soggetti che operano sui dati ai sensi degli artt. 28 e 29 GDPR;
- alla selezione delle misure di sicurezza ai sensi dell’art. 32 GDPR;
- allo svolgimento di una valutazione preliminare di impatto ai sensi dell’art. 35 GDPR;
- ai trasferimenti di dati verso paesi terzi o organizzazioni internazionali;
e dunque occorre aver contezza degli obiettivi strategici, della disponibilità finanziaria e dell’assetto organizzativo.
In tal sede il DPO può contribuire così alla predisposizione e programmazione di procedure da adottare o efficientare al fine di perseguire il corretto adempimento degli obblighi prescritti dalla legge in considerazione dei costi sostenibili e del budget dedicato.
Sempre in sede di progettazione e di confronto con i vertici organizzativi l’azione del DPO contribuisce a rendere il titolare o il responsabile consapevole circa lo stato dell’arte e i rischi inerenti alle attività di trattamento, perché possa essere così escluso un errore decisionale da parte dei soggetti apicali relativamente alla corretta selezione delle misure di sicurezza e al processo di riesame.
Per quanto riguarda il livello degli operatori, invece, l’attività del DPO è orientata verso il contributo ad una maggiore diffusione della consapevolezza circa gli obblighi di sicurezza incombenti sull’0rganizzazione nonché i presidi tecnologici ed organizzativi adottati a riguardo.
Il coinvolgimento effettivo degli operatori all’interno delle politiche di sicurezza è reso possibile, ad esempio, attraverso lo svolgimento di un piano informativo e formativo “a cascata”: il DPO interviene sui referenti di funzione aziendale (es. risorse umane, IT, marketing) perché questi successivamente provvedano a loro volta ad istruire e formare gli operatori.
L’adozione di un regolamento interno e dei disciplinari d’impiego della strumentazione consente così una chiara definizione dei ruoli e la conseguente attribuzione delle relative responsabilità, potendo inoltre elencare puntualmente quei comportamenti consentiti o vietati, seguendo una logica di white list o black list.
L’istruzione degli operatori viene inoltre resa ancor più effettiva attraverso la previsione di sanzioni disciplinari, sebbene il reale contributo in ordine alla consapevolezza si svolga attraverso la formalizzazione in procedure delle prassi di sicurezza adottate e presenti presso l’organizzazione.
La definizione di una corretta procedura di data breach costituisce un ulteriore valido elemento per promuovere la diffusione di una consapevolezza circa i rischi incombenti su dati e informazioni e responsabilizzare gli operatori all’interno dell’organizzazione.
La descrizione pur in via esemplificativa di alcuni dei comportamenti da cui può derivare una violazione di dati personali (ad es. invio e-mail ad un errato destinatario, apertura allegato malevolo, smarrimento dispositivo) è infatti un elemento che incide sulla consapevolezza delle conseguenze derivanti da azioni errate, disattente o in violazione di procedure.
L’intervento di sorveglianza del DPO nella gestione del fattore umano
Il ruolo di sorveglianza del DPO si svolge principalmente nei confronti dell’ambito dell’osservanza delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali e delle politiche adottate da parte del titolare o del responsabile del trattamento.
L’art. 39.1 lett. b) richiama espressamente le politiche relative all’attribuzione delle responsabilità e alla sensibilizzazione e formazione del personale che partecipa ai trattamenti e alle connesse attività di controllo.
Tenendo conto di tale indicazione normativa, dunque, l’attività di sorveglianza del DPO ha un’incidenza diretta sulla gestione del fattore umano da parte dell’organizzazione, dal momento che i controlli relativi alla sicurezza riguardano anche le modalità in cui sono definiti i ruoli, attribuite le responsabilità e intraprese le azioni per garantire la sensibilizzazione e formazione del personale.
I parametri dello stato dell’arte, dei costi di attuazione e del rischio inerente diventano così i criteri di riferimento per valutare l’adeguatezza delle misure di sicurezza predisposte dal titolare o dal responsabile del trattamento al fine di controllare il rispetto dell’art. 32 GDPR. Di conseguenza, il DPO deve individuare in via generale se:
- le minacce sono state individuate;
- i rischi sono stati valutati;
- le contromisure sono state valutate;
per ricercare la coerenza della predisposizione delle misure di sicurezza con l’analisi dei rischi svolta.
Occorre tenere particolarmente conto, nell’ambito della gestione del fattore umano, delle politiche di gestione degli accessi e di istruzione degli addetti alle operazioni di trattamento.
Ovviamente devono essere oggetto di controllo non soltanto le misure di sicurezza organizzative ma anche tutte quelle misure tecniche che possono trattare un rischio riconducibile al fattore umano (ad esempio: l’autenticazione a due fattori o la cifratura dei dispositivi) perché sia correttamente valutata l’adeguatezza delle contromisure predisposte per contrastare le minacce derivanti dal comportamento degli operatori.
Sempre nell’esecuzione dei controlli relativi alla gestione del fattore umano, le procedure da attenzionare da parte del DPO nell’attività di sorveglianza riguardano principalmente:
- la gestione delle istruzioni ai soggetti autorizzati all’accesso ai dati ai sensi dell’art. 29 GDPR;
- la gestione dei data breach ai sensi degli artt. 33 e 34 GDPR;
- la comunicazione dei dati a soggetti esterni all’organizzazione;
dal momento che in tali verifiche possono essere ricercate evidenze circa la consapevolezza, il livello di coinvolgimento degli operatori nella gestione della sicurezza e i rischi residui al netto delle misure tecniche e organizzative applicate.
È bene infine ricordare che l’azione di sorveglianza del DPO non può essere limitata dalla valutazione svolta dall’organizzazione ma deve guardare necessariamente al parametro esterno dello stato dell’arte per poter così individuare se vi sono eventuali ulteriori minacce non considerate o non adeguatamente valutate, al fine di verificare la conformità delle misure di sicurezza adottate e l’eventuale esigenza di provvedere ad un riesame.
Conclusioni
Il DPO assume un ruolo rilevante nella strategia di trattamento dei rischi collegati al fattore umano, purché si mantenga all’interno della posizione di garanzia propria della funzione svolta e non vada ad incorrere in un conflitto di interessi definendo finalità, strumenti o modalità di trattamento dei dati personali.
L’attività di informazione e consulenza nei confronti del titolare o del responsabile del trattamento deve infatti essere svolta secondo i canoni della second opinion, non potendo decidere in luogo dell’organizzazione dovendo piuttosto fornire un parere circa la conformità dell’azione intrapresa rispetto alla normativa applicabile e alle politiche adottate e dei criteri di indirizzo perché tale attività possa essere conforme.
Parimenti, il contributo fornito alla sensibilizzazione e formazione del personale va inteso come una declinazione operativa di una più ampia strategia aziendale di coinvolgimento degli operatori, la cui decisione è e rimane in capo al titolare o al responsabile del trattamento.