La gestione efficace dei documenti di un DPO è fondamentale per assicurare la continuità delle pratiche di conformità alla normativa privacy.
La fine del mandato di un DPO, infatti, solleva questioni chiave sulla gestione dei documenti da lui prodotti e da lui ricevuti come destinatario in esecuzione dei compiti a lui attribuiti dall’art. 39 del GDPR.
Indice degli argomenti
Criticità della documentazione al termine dell’incarico del DPO
Per comprendere la gestione della documentazione al termine dell’incarico del DPO, appare necessario delineare, attraverso un’analisi approfondita, un quadro chiaro delle responsabilità e delle migliori strategie per assicurare la conformità, la sicurezza dei dati e una transizione fluida della documentazione, ciò considerando anche la ridotta casistica di cui oggi si dispone.
Vanno quindi individuate le dinamiche e le normative che regolamentano ciò che il DPO può portare via e ciò che invece deve lasciare, distinguendo tra il settore privato e quello pubblico e considerando che è fondamentale garantire una trasmissione completa e documentata delle informazioni al successore.
Gestione dei documenti del DPO al termine del suo incarico
Nel quadro sopra descritto, si pone la questione critica della conservazione da parte del DPO, interno o esterno che sia, dei documenti nei propri archivi personali, quando giunge al termine dell’incarico che gli è stato affidato.
La conservazione personale dei documenti da parte dell’ex DPO se da un lato è strumentale a realizzare finalità di difesa da eventuali future contestazioni, dall’altro aumenta, esattamente come per il Titolare, le vulnerabilità determinate da un aumento del periodo di conservazione e della duplicazione del numero degli archivi.
È comunque fondamentale garantire un passaggio completo delle informazioni e dei documenti tra il DPO uscente e il suo successore. Questo passaggio dovrebbe essere tempestivo e documentato attraverso una verbalizzazione firmata da entrambe le parti.
Nei passaggi di consegna, l’ex DPO deve anche garantire di conservare i documenti in modo adeguato e per il tempo necessario.
Dall’analisi delle prassi correnti e in assenza di direttive specifiche da parte di enti regolatori o fonti normative di riferimento, proponiamo una misura prudenziale di conservazione dei documenti di 10 anni dalla data di emissione. Tale intervallo temporale è considerato adeguato per bilanciare due esigenze fondamentali:
- da un lato, ridurre il rischio di esposizione a violazioni di sicurezza da parte di attori malevoli;
- dall’altro, garantire che le informazioni restino accessibili per coloro che, nel tempo, si avvicenderanno nei ruoli chiave, consentendo loro di ricostruire le decisioni e le attività svolte dai predecessori.
Una conservazione prolungata oltre questo arco di tempo potrebbe, infatti, incrementare inutilmente i rischi legati alla sicurezza dei dati, senza offrire benefici significativi in termini di tracciabilità o conformità normativa.
Pertanto, appare necessario che, al termine di questo decennio di conservazione, come specificato nel registro dei trattamenti, la funzione aziendale incaricata, di concerto con il DPO in carica, proceda a valutare con attenzione i documenti.
Questa valutazione dovrebbe portare alla decisione di eliminare i documenti non più rilevanti, procedendo con la loro distruzione da documentare tramite apposito verbale. La verbalizzazione della distruzione dei documenti è, infatti, una buona pratica gestionale e si configura anche come un requisito per assicurare trasparenza e tracciabilità nel rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali.
Pratiche consigliate e auspicabili nei contesti privati
Tale aspetto sottende che il DPO, al termine del suo incarico, conservi una copia dei documenti che lui stesso ha predisposto o che ha ricevuto come destinatario. Questo scenario, che nel contesto delle imprese private potrebbe essere realistico, dovrebbe comunque essere opportunamente disciplinato nel contratto di designazione del DPO, sia interno che esterno ovvero dal regolamento che lo stesso DPO ha predisposto per regolamentare le attività a suo carico.
Sarebbe anzi auspicabile che il contratto indichi quale documentazione può essere portata via all’atto della cessazione dell’incarico, per quanto tempo conservata, quali misure devono essere applicate per mantenere la sicurezza della stessa e come distruggerla.
Questa disposizione contrattuale non solo garantisce che tutte le parti siano consapevoli dei propri doveri e diritti ma contribuisce anche a prevenire malintesi o controversie future.
La chiarezza in questo ambito è dunque essenziale per una transizione fluida e sicura, permettendo all’organizzazione di proseguire nelle sue operazioni senza intoppi e al DPO di chiudere il suo incarico con la certezza di aver adempiuto a tutte le sue responsabilità.
A sua volta l’ex DPO, scaduti i termini prescritti, è responsabile di distruggere la documentazione secondo le modalità concordate. Inoltre, lo stesso deve segnalare al Titolare eventuali incidenti che coinvolgono la documentazione da lui consegnata, nonostante le misure di sicurezza che si è impegnato a mettere in atto.
Normative nell’ambito delle Pubbliche Amministrazioni
Molto diverso è, invece, lo scenario che riguarda il DPO nelle pubbliche amministrazioni. Questi opera in un contesto normativo e operativo sostanzialmente differente rispetto a quello delle imprese private.
Al termine del proprio mandato all’interno di una Pubblica Amministrazione, infatti, il DPO non ha la facoltà di portare con sé alcuna documentazione relativa al suo incarico. Questa restrizione non solo rispecchia le specifiche politiche di gestione e custodia dei documenti pubblici, ma si allinea anche con la natura trasparente e aperta della Pubblica Amministrazione.
Peraltro, la necessità per il DPO di portare via, al termine del suo incarico, i documenti da lui prodotti non è così pressante come potrebbe sembrare. La ragione di ciò è che gran parte dei documenti prodotti o gestiti dal DPO durante il suo incarico rimangono facilmente accessibili grazie ai meccanismi di trasparenza e accesso alle informazioni previsti dall’ordinamento nazionale.
In particolare, l’accesso civico, e civico generalizzato, consente a chiunque di richiedere e ottenere documenti, dati o informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni. Questo strumento di trasparenza è ulteriormente ampliato dall’accesso documentale difensivo, stabilito dall’articolo 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990. Tale disposizione permette agli interessati di accedere a documenti amministrativi per la tutela dei propri interessi legali, fornendo una base solida per la difesa dei diritti in sede amministrativa o giudiziaria.
Per il DPO uscente, quindi, la mancata possibilità di portare con sé documenti al termine del mandato non rappresenta un ostacolo insormontabile. Anzi, la facilità di accesso alla documentazione attraverso i canali ufficiali garantisce una sua efficace difesa da eventuali future contestazioni, senza compromettere la sicurezza o la confidenzialità delle informazioni gestite durante l’incarico.
In sintesi, mentre le imprese private possono rivelarsi necessari accordi specifici per la gestione dei documenti post-incarico del DPO, nel settore pubblico le normative vigenti assicurano che l’accesso alla documentazione rimanga aperto e regolamentato, permettendo così una transizione fluida e conforme alle esigenze di trasparenza e integrità amministrativa.
Conclusioni
Si è cercato di evidenziare che la gestione della documentazione al termine dell’incarico del DPO rappresenta una sfida complessa che richiede una considerazione attenta delle normative, delle pratiche di sicurezza dei dati e delle politiche organizzative.
Le differenze tra il settore privato e quello pubblico evidenziano la necessità di approcci “su misura” che rispettino le specifiche necessità di conformità e sicurezza in relazione ai diversi contesti.