La mail aziendale è sicuramente uno degli strumenti lavorativi più idonei per lo svolgimento dell’attività e il raggiungimento dei risultati produttivi prefissati. Sono quindi evidenti le relative problematiche di gestione e protezione dei dati personali.
Il sito “Internet Live Stats”, che raccoglie ogni giorno tutti i numeri e le statistiche dell’uso del web, evidenzia che, ogni giorno, vengono inviate più di 130 miliardi di mail. Il dato è impressionante e lo diventa ancora de più se si considera che al momento, sulla Terra, ci sono circa 7 miliardi di esseri umani.
Lo scambio di mail va dunque considerato come un nodo cruciale della comunicazione e trasmissione di dati e informazioni, in particolare in ambito lavorativo.
Indice degli argomenti
Mail aziendale: strumento di lavoro e dato personale
Solo pochi anni fa l’invio di mail era relegato a ruolo di comunicazione informale, prediligendo, per la corrispondenza con carattere di ufficialità, il fax o la posta raccomandata.
Successivamente, con l’introduzione della PEC e con l’emissione di numerosi provvedimenti giudiziari che hanno riconosciuto il valore probatorio della mail, (tra cui la recente Ordinanza della I sez. civile della Corte di Cassazione n. 19155 del 17 luglio 2019), l’uso della electronic mail (e-mail) ha registrato un considerevole incremento in tutti i campi.
La casella mail personale è riconosciuta dall’ordinamento nazionale come un dato meritevole di tutela assoluta, tanto da prevedere una apposita fattispecie di reato per chi effettua un accesso abusivo in una casella mail altrui (art. 615 ter. Codice Penale).
Anche in ambito lavorativo, pertanto, vige il divieto, per il datore di lavoro, di accedere alla mail personale del lavoratore.
Per quanto attiene, invece, la mail aziendale assegnata con nome e cognome del dipendente (ad esempio: mario.rossi@nomeazienda.it) il discorso è molto più complesso.
In questo caso, infatti, ci troviamo, senza dubbio, dinanzi ad un dato personale ai sensi dell’art. 4 del GDPR (dato che identifica una persona fisica), ma abbinato al nome dell’azienda e, quindi, trattato per finalità che dovrebbero essere specifiche e determinate (attività lavorativa).
Va da sé che la casella mail in cui non compare il nominativo del dipendente (ad esempio: amministrazione@nomeazienda.it) non rientra nella problematica che viene qui affrontata, in quanto, appunto, non definibile come dato personale.
Mail aziendale: lo scenario normativo
Non è semplice bilanciare l’interesse del datore di lavoro a monitorare il flusso di informazioni che viaggiano attraverso le mail aziendali, con il divieto di ogni forma di controllo a distanza dell’attività del lavoratore sancito dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
L’argomento è di quelli già più volte affrontati da molteplici Autorità nazionali ed europee (Garante per la Protezione dei dati personali, Tribunali, Corte di Cassazione, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ecc.), spesso con risultati differenti e contrapposti.
Sono tantissimi, infatti, i casi in cui la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente sulla base di informazioni raccolte dal datore di lavoro dalla casella mail aziendale del dipendente (ad esempio: sentenza n. 26682/2017).
Il Garante per la Protezione dei Dati Personali, invece, in più occasioni, è stato di avviso diametralmente opposto (Provvedimento n. 53 del 01/02/2018 riportato anche nella newsletter n. 439 del 29 marzo 2018).
Proprio il Provvedimento n. 53/2018 del Garante, permette di raccogliere importanti spunti su come gestire una casella mail aziendale, affidata al dipendente con proprio nome e cognome, senza incorrere in violazioni.
Modalità e finalità del trattamento dei dati
Preliminarmente va detto che il datore di lavoro ha l’obbligo di informare il dipendente sulle modalità e finalità del trattamento dei dati relativi alla strumentazione concessa in dotazione, tra cui la casella mail aziendale.
Tali informazioni possono essere fornite tramite informativa ai sensi dell’art. 13 GDPR 679/16 o mediante la redazione di una policy aziendale.
Quel che è indispensabile è che le informazioni rese siano dettagliate e complete, in modo da rendere il dipendente edotto sull’intero ciclo di trattamento: raccolta, conservazione, eventuali operazioni di backup, tempi certi per la cancellazione al termine del rapporto di lavoro e via dicendo (come stabilito anche dalla Corte Europa dei Diritti Umani nell’interessante provvedimento n. 61496/08 del 05 Settembre 2017).
Dopo aver sufficientemente istruito il proprio dipendente, il datore di lavoro, in presenza di una motivazione valida e strettamente collegata all’attività lavorativa (ad esempio assenza prolungata del dipendente), può effettuare accessi al contenuto della mail aziendale del dipendente.
In tali casi, però, è opportuno lasciare traccia delle attività svolte dopo aver eseguito all’accesso alla casella mail, redigendo un apposito verbale ed effettuando le operazioni alla presenza di almeno un altro incaricato.
Sono certamente vietati gli accessi “segreti”. Il dipendente deve essere messo in condizione di sapere che è stato effettuato un intervento nella sua casella mail, per quanto tempo, con quale modalità e per quale motivazione.
È preferibile che l’avviso di accesso alla casella mail venga comunicato al dipendente prima dell’inizio delle operazioni, o, quando ciò è oggettivamente impossibile, al primo momento utile.
È vietato il controllo massivo, finalizzato alla verifica/controllo a distanza dell’attività del lavoratore. L’accesso alla casella mail aziendale non può essere un mezzo per aggirare il dettato dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
È possibile salvare il contenuto delle mail aziendali in server di proprietà dell’azienda, purché ciò avvenga previa informativa al dipendente.
È interesse legittimo del datore di lavoro, effettuare controlli per evitare o accertare condotte fraudolente o comunque illegali, in tal caso gli elementi ricavati da dette ispezioni, possono essere utilizzati per applicare sanzioni disciplinati, richiami o licenziamenti.
Il dipendente, debitamente informato, è messo in condizione di sapere che, se utilizza la casella mail per motivi personali, lo fa mettendo a rischio la riservatezza della propria corrispondenza.
È buona regola stabilire sistemi di invio multiplo di mail per segnalare l’assenza del dipendente per un periodo determinato (ad esempio: ferie).
Altro aspetto interessante è quello che riguarda la riservatezza di coloro i quali si interfacciano con il dipendente a mezzo mail aziendale.
In tal caso non è tanto la privacy del dipendente che risulterebbe violata, ma quella di una terza persona, eventualmente estranea al rapporto lavorativo.
Per evitare di incorrere in questo tipo di violazione, è consigliabile predisporre una comunicazione automatica, collegata all’invio di ogni mail, che informi i destinatari della natura della casella mail e della possibilità che terze persone possano venire in contatto con il contenuto della corrispondenza per motivi attinenti all’attività lavorativa.
Conclusioni
In base a quanto evidenziato, sono sempre di più le aziende che preferiscono passare da un sistema di account mail nominativi ad un altro più neutro come account collettivi e legati al ruolo o all’ufficio più che al dipendente.
Ciò non toglie che la redazione di una buona policy aziendale possa far tanto in termini di protezione dei dati e resta sempre una soluzione consigliata da tutti gli addetti ai lavori.