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Lobbying e forme partecipative dal basso: questioni di trasparenza e privacy



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Il lobbying è un fenomeno ormai consolidato e, di conseguenza, aumenta l’esigenza di regolamentazione, soprattutto per quanto riguarda le questioni di trasparenza e privacy. Facciamo il punto

Pubblicato il 13 dic 2024

Pasquale Mancino

Internal auditor e Revisore di Organizzazione sindacale



Lobbying trasparenza e privacy

Il fenomeno del lobbying, di cui possiamo farci un’idea per quanto generica per la presenza in contesti mediatici (un documentario del 2012, The Brussels Business, fece emergere la portata del fenomeno nelle istituzioni europee; negli USA basti citare una serie televisiva come House of Cards), rappresenta uno degli elementi del processo decisionale pubblico.

Se non adeguatamente regolamentata e trasparente, però, il lobbying e, più in generale, tutte le forme partecipative dal basso possono sfociare in condotte opache o, nel peggiore dei casi, in pratiche illecite come la corruzione o il traffico di influenze.

Negli ultimi decenni, infatti, abbiamo assistito a una crescente affermazione (e attenzione), anche in Europa, a tale pratica che coinvolge gruppi di pressione (persone giuridiche, associazioni di categoria, organizzazioni non governative e non profit) e individui che si adoperano per influenzare i processi decisionali legislativi ed esecutivi (sarebbe inaccettabile che cercassero di farlo anche con il potere giudiziario).

Si tratta di un’attività volta a rappresentare interessi specifici o di settore, che può contribuire positivamente al processo democratico, promuovendo il confronto tra diversi attori della società civile e la sfera politica.

Lobbying e forme partecipative dal basso: serve trasparenza

Atteso l’impatto che l’attività delle lobby può avere sul pubblico interesse, è senz’altro necessaria la trasparenza sulle modalità con cui viene esercitata l’interazione con le autorità pubbliche. Tale azione, ovviamente, può in parallelo esplicarsi con campagne propagandistiche, attraverso i media, organizzazione di congressi scientifici: occorrerebbe anche in tal casi che sia chiara la finalità.

Negli Stati Uniti, ove il lobbying è parte integrante della dialettica politica, la principale disposizione è costituita dal Federal Regulation of Lobbying Act del 1946 a cui sono seguite varie riforme, l’ultima delle quali nel 2007 (l’Honest Leadership and Open Government Act): qui è previsto un registro obbligatorio per i lobbisti, la cui attività è regolamentata e con obblighi di trasparenza e sanzioni per le relative violazioni.

Ciò premesso, si precisa che in questa sede non si tratterà di due aspetti che, per le loro peculiarità, esulano da una introduzione generale alla materia:

  1. la questione del finanziamento della politica e che, nel caso di quello privato è sensibilmente intrecciato al lobbying (ma a maggior ragione si pone una questione di trasparenza verso i cittadini);
  2. il digital lobbying, afferente all’utilizzo di piattaforme digitali per l’attività in materia e in cui si può far rientrare in particolare l’utilizzo di tali piattaforme per il controllo del lobbying, per l’elaborazione partecipata di atti normativi, per avvalersi dei social per portare avanti le proprie posizioni.

Ad es., negli USA, OpenSecret consente di avere cognizione dei finanziamenti (anche) delle imprese private e dei progetti di legge verso cui ha interesse mentre TheGovLab mira a una partecipazione collaborativa di persone e istituzioni “to make better decisions and solve public problems”. Anche in altri Paesi, in Europa e in altri continenti, sono attive iniziative della specie.

Va anche precisato che il mondo della formazione specialistica prevede in catalogo, anche in Italia, iniziative dedicate al lobbying (anche affiancate agli ambiti dell’advocacy o dei public affairs.

Lobbying: la situazione in Europa

Nell’UE, dopo iniziative autonome, nel 2011 con un Accordo InterIstituzionale (AII) la Commissione e il Parlamento attivano il Registro per la trasparenza, che regolamenta la registrazione e il controllo delle organizzazioni e delle persone che operano per la rappresentanza di interessi, definendo anche un Codice di condotta da rispettare nell’attività di lobbying.

In assenza di registrazione alcune attività di lobbying nei confronti delle Istituzioni europee non sono ammesse (cd. principio di condizionalità). Nel 2021 viene definito un nuovo Accordo con la partecipazione anche del Consiglio, di cui è previsto un riesame nel 2025.

Attesa la natura di Accordo, privo quindi di forza di legge, a livello di enforcement, il Registro non prevede, tuttavia, strumenti sanzionatori significativi in caso di violazione degli obblighi di trasparenza o di informazione, limitandosi alla mera rimozione dal Registro nei casi di inosservanza.

Il Registro prevede tre categorie afferenti alle finalità del soggetto iscritto: “Promuove i propri interessi o gli interessi collettivi dei propri membri”, “Difende gli interessi dei propri clienti”, “Non rappresenta interessi commerciali”.

La Corte dei Conti europea ha condotto un audit, le cui risultanze sono state di recente rese note sul “Registro per la trasparenza UE”, con un sottotitolo icastico “Informazioni utili ma limitate sull’attività di lobbying; l’audit si è focalizzato sul periodo 2019-2022 e ha fatto emergere diverse debolezze a fronte delle quali sono state fornite raccomandazioni che potranno essere tenute in conto in occasione del citato riesame.

La Corte osserva come l’accordo del 2021 è coerente con i princìpi internazionali (OCSE) in materia e che il registro per la trasparenza fornisce informazioni utili per consentire ai cittadini di seguire ciò che avviene in UE in materia di  lobbying. Peraltro, diversi aspetti afferenti alla tenuta e articolazione del registro riducono la trasparenza delle attività di lobbying svolte presso le tre istituzioni firmatarie.

Con riguardo al rispetto del “principio di condizionalità”, la Corte ha rilevato approcci applicativi diversi da parte delle tre Istituzioni UE e una estensione solo a determinate attività e a personale di altissimo livello.

La Corte osserva, inoltre, che le modalità di lavoro del Segretariato del Registro per la trasparenza – struttura operativa comune istituita per gestirne il funzionamento – non sono state formalizzate e comunque connotate da problemi di coordinamento e impatto sulla qualità delle registrazioni.

Atteso che i soggetti registrati possono autodichiarare la categoria di appartenenza, da cui derivano gli oneri di informativa finanziaria da assolvere, la Corte sottolinea il rischio che le persone registrate finanziate da terze parti non comunichino tali informazioni come previsto.

La Corte ha inoltre rilevato limiti notevoli nelle informazioni disponibili per il pubblico sul sito internet dedicato: in particolare, la mancanza di alcuni dati importanti, come le riunioni individuali con i deputati al Parlamento europeo o i dati storici sulle entità registrate nuovamente.

Pur non ricadendo nel periodo esaminato, viene citato nel report il “Qatargate”, che ha messo in mostra alcune criticità in argomento, facendo pure cenno alle misure che il Parlamento europeo ha avviato per rendere più robuste le disposizioni sulla trasparenza.

In esito all’audit, quindi, la Corte ha raccomandato di:

  1. rafforzare il quadro di riferimento del registro per la trasparenza;
  2. pubblicare informazioni sugli incontri non programmati con i lobbisti;
  3. migliorare i controlli sulla qualità dei dati;
  4. migliorare la facilità di utilizzo e la pertinenza del sito Internet pubblico del registro per la trasparenza.

Infine, come indicato nel Rapporto di audit, nell’UE otto Stati membri (Germania, Irlanda, Grecia, Francia, Lituania, Austria, Polonia e Slovenia) dispongono di sistemi di registrazione obbligatoria per i lobbisti; pertanto, siamo ancora lontani da una situazione di diffusa trasparenza in Europa.

Il fenomeno lobbying in Italia

Un Dossier del Senato fa il punto della situazione al 2022 in Italia facendo emergere una situazione frammentata; non risultano cambiamenti nel frattempo. Un registro della specie (“rappresentanti di interessi”) è stato impostato dalla Camera dei Deputati e prevede l’onere di una relazione annuale sull’attività svolta da pubblicare sull’apposito portale, la cui mancata produzione può condurre alla cancellazione). Anche taluni Ministeri lo hanno messo in essere mentre altri hanno disattivato quello che avevano in precedenti legislature.

Anche alcune Regioni, come la Toscana per prima nel 2002, hanno introdotto normative regionali che richiedono la registrazione dei lobbisti e stabiliscono criteri per l’interazione tra rappresentanti di interessi e decisori pubblici regionali; peraltro non sempre sono consultabili dai cittadini i dati afferenti ai registri regionali.

Il ripetuto tentativo di approvare una legge nazionale sul lobbying non è mai giunto a traguardo e ciò testimonia le difficoltà del nostro Paese a disciplinare questo settore.

Al riguardo sarebbe necessario che una futura auspicabile attività di normazione venga indirizzata a realizzare questi obiettivi:

  1. una legge quadro nazionale o, in maniera più netta, una legge nazionale specifica che centralizzi il registro per il lobbying, con obbligo di iscrizione per chi interagisce con istituzioni pubbliche, superando la frammentazione normativa e migliorando notevolmente la trasparenza sull’azione di centri di interesse nel propugnare le proprie esigenze;
  2. un registro nazionale accessibile online in cui far confluire tutte le interazioni di lobbying su base nazionale e a livello territoriale e di altri enti, articolato a livello di Istituzione ma interrogabile per lobbista;
  3. la previsione di sanzioni proporzionate per chi non rispetta le regole di trasparenza, come multe e sospensioni dal registro (con conseguente sospensione della possibilità di interagire con gli esponenti pubblici.

Ma non c’è solo il lobbying

Il lobbying può cercare di intervenire sia nella fase di ideazione e impostazione di provvedimenti e decisioni che intervenire in quella realizzativa. Potremmo definirlo una pratica bottom up per interagire con il soggetto pubblico.

Ma, premesso che il legislatore e l’esecutivo sono autonomi e responsabili delle loro azioni di fronte alla legge e tenuti ad essere accountable nei confronti di elettori e cittadini, per questi ultimi, come per le persone giuridiche, è possibile proporre proprie considerazioni durante il ciclo decisorio. Ciò può avvenire in varie forme che comunque necessitano dell’input del soggetto decisore (top down):

  1. in primis nell’ambito di lavori preliminari all’adozione di atti per acquisire elementi informativi o per indagini conoscitive (cfr. ad es. artt. 47 e 48 del Regolamento del Senato) tramite audizioni di rappresentanti delle Istituzioni, delle parti sociali e di esperti;
  2. in via generale, poi, in ottica di open government, mediante pubbliche consultazioni su cui, tenendo anche conto  dell’art. 9 del Codice dell’Amministrazione digitale , sono state definite le Linee guida per la consultazione (vers. 2020).  In tale ambito, si richiama a titolo esemplificativo, la procedura di consultazione organizzata dal nostro Garante privacy, lo scorso febbraio, sulla questione dei metadati della posta elettronica. Una reportistica sui risultati delle consultazioni – che andrebbe sempre praticata – permette di dare, in trasparenza, contezza delle questioni sollevate e delle valutazioni assunte. Per completezza, si soggiunge che anche in ambito UE lo strumento della consultazione viene praticato.

Attesa la partecipazione, volontaria e su richiesta, focalizzata su commenti di merito al testo proposto e non tesa – come nel lobbying – a promuovere interessi specifici, la questione della trasparenza non si pone come necessaria tant’è che i partecipanti, in genere, possono chiedere di non pubblicare i loro dati; nel caso di persone fisiche resterà, comunque, l’esigenza di trattare i dati personali – che siano o meno pubblicati – secondo le norme in materia, dandone cognizione mediante informativa.

Inoltre, una ulteriore modalità pienamente bottom up per far sentire la propria voce, è quella di presentazione di una petizione:

  1. al Parlamento europeo, ai sensi dell’art. 227 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che prevede che ciascun cittadino UE – così come ciascuna persona fisica o giuridica che risieda o abbia la propria sede in UE -, da solo o in associazione con altri, possa presentare una petizione su “una materia che rientra nel campo di attività dell’Unione e che lo (la) concerne direttamente”;
  2. alle Camere del Parlamento italiano, ai sensi dell’art. 50 della Costituzione, secondo cui “Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità”. Sulle apposite sezioni dei portali di Senato e Camera dei deputati, sono indicate le modalità di presentazione e l’elenco di quelle già presentate.

Prendendo a spunto una nota opera del politologo Albert O. Hirschman “Exit, Voice, Loyalty”, il cittadino, di fronte a un contesto sociale, politico ed economico che reputi insoddisfacente, in cui la fiducia verso la sfera politica venga a mancare, ha difronte a sé tre possibilità: adattarsi (loyalty), tirarsene fuori (exit: un esempio è la riduzione del tasso di partecipazione alle elezioni, quello più radicale l’andare via) o provare a stimolare un cambiamento (voice).

Ebbene con gli strumenti descritti può esplicarsi la voice e ciò può contribuire ad aumentare una loyalty attiva e non passiva.

Implicazioni privacy del registro per la trasparenza

Il registro per la trasparenza, i dati personali e le informazioni sulle organizzazioni rappresentate devono essere trattati in modo sicuro e conforme alle normative europee. Lobbisti censiti possono essere, infatti, oltre alle persone giuridiche o associazioni, anche le persone fisiche.

Inoltre, i contatti sono riferiti a persone che operano nelle Istituzioni. Pertanto rileva anche la questione della privacy.

Gli aspetti chiave includono:

  1. sicurezza dei dati: le istituzioni devono adottare misure tecniche e organizzative adeguate a prevenire fughe di dati o usi non autorizzati, proteggendo le informazioni personali;
  2. diritti degli interessati: i lobbisti registrati devono avere il diritto di accedere, rettificare o cancellare i propri dati personali: questi diritti devono essere chiaramente comunicati e rispettati durante l’intero processo;
  3. supervisione costante: gli organi di controllo come il Garante Europeo della Protezione dei dati (GEPD) e, a livello di singoli Paesi, quello nazionale devono supervisionare che le pratiche di raccolta e gestione dei dati siano conformi alle normative;
  4. last but not least: chi gestisce il registro dovrà provvedere, in qualità di titolare, a tutti gli adempimenti previsti a seconda dei casi dal Regolamento UE 679/2016 (GDPR) o dall’analogo Regolamento UE 1725/2018  per le Istituzioni europee, inclusi gli oneri di informativa.

Una notazione più in generale sulla materia della privacy riguarda il grado di presenza, in UE come in Italia, di organizzazioni attive nel campo della “tutela dei dati personali”.

Nel Registro UE sono presenti organizzazioni del settore non solo UE (ad es. è iscritta l’International Association of Privacy Professionals – IAPP), così come altre che utilizzano big data anche personali come OpenAI.

Una riflessione potrebbe essere condotta dalle diverse organizzazioni che seguono la materia, nel nostro Paese, circa una iscrizione nei Registri UE (almeno un organismo al momento è presente) e nazionali (almeno quello della Camera) al fine di poter fornire un punto di vista autorevole, un contributo professionale sulla manutenzione del quadro normativo e applicativo nel tempo.

Che si tratti di lobbying o delle fattispecie qui trattate, i dati personali potrebbero essere ricondotti, dalle Istituzioni interessate, a quelli per i quali, ai sensi degli artt. 5.1.lett.e) e 89.1 del GDPR, la conservazione può andare oltre l’arco di tempo necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati ma essere conservati per periodi più lunghi purché esclusivamente a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici.

Conclusioni

Il lobbying è un fenomeno ormai consolidato e tale attività ovviamente assume maggior peso (e quindi maggiore è l’esigenza di regolamentazione) quanto meno i corpi intermedi risultano in grado di rilevare e mediare le diverse esigenze emergenti dalla società nella sua complessità.

Qualche numero per capire la portata del fenomeno: a inizio ottobre, il numero di soggetti censiti come lobbisti in UE è di 12.988; in Italia, (come detto in presenza di una situazione meno consolidata), sono censiti, presso la Camera di Deputati, è di 388 persone giuridiche e di 90 persone fisiche mentre presso il Ministero del made in Italy 123 soggetti.

L’assenza di una regolamentazione adeguata in materia di trasparenza può favorire pratiche poco chiare e conflitti di interesse, compromettendo la fiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche.

Scandali come il “Qatargate” hanno evidenziato alcune lacune nei meccanismi di tutela dell’integrità del processo decisionale europeo. L’obbligatorietà della registrazione, una supervisione rafforzata e sanzioni più severe non rappresentano solo una questione tecnica, ma una priorità fondamentale per salvaguardare la legittimità delle istituzioni europee. In Italia, l’introduzione di una legge nazionale permetterebbe di superare l’attuale frammentazione, fornendo una risposta completa al problema.

Potenziare il registro per la trasparenza è solo uno degli strumenti necessari per rafforzare la democrazia; un altro pure importante (e più partecipativo) come accennato è quello delle pubbliche consultazioni.

Le Istituzioni devono operare alla luce del sole, garantendo che ogni influenza sulle decisioni sia tracciabile: la trasparenza non è solo un requisito formale, non è solo mera compliance, ma un pilastro essenziale per mantenere la fiducia pubblica.

Le opinioni espresse sono a titolo esclusivamente personale e non coinvolgono ad alcun titolo l’Istituto pubblico ove l’autore presta servizio.

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