Si Chiama Amazon Shopper Panel ed è l’iniziativa lanciata da Amazon che rappresenta un concreto esempio di monetizzazione dei dati. Secondo quanto pubblicizzato dalla stessa azienda, si tratta di “un programma opt-in, solo su invito, in cui i partecipanti possono guadagnare premi mensili condividendo le ricevute degli acquisti effettuati al di fuori di Amazon e rispondendo ai sondaggi”.
Caricando mediante l’app Amazon Shopper Panel la foto di almeno dieci ricevute degli acquisti effettuati negli ultimi 30 giorni, l’utente potrà ricevere fino a dieci dollari al mese. Partecipando anche brevi sondaggi su marchi o prodotti può anche vincere premi per ogni sondaggio a cui partecipa.
Al momento, l’iniziativa è disponibile per un numero limitato di clienti, funziona solo su invito ed è attiva solo negli Stati Uniti.
I clienti interessati che non hanno ricevuto un invito possono scaricare l’app per entrare nella lista di attesa e riceveranno una notifica via e-mail. “L’obiettivo è aiutare i marchi a offrire prodotti migliori e rendere più pertinenti gli annunci pubblicitari sul sito”, si legge sulla pagina web.
“Se il servizio è gratis, il prodotto sei tu”, direbbe qualcuno, magari dopo aver visto “The Social Dilemma”: il documentario Netflix sui social network. Bene, in questo caso il prodotto che genera reddito sono i dati dei nostri acquisti, i nostri scontrini, inclusi nomi di prodotti acquistati e i rivenditori nonché le risposte che, nella speranza di un premio, gratuitamente cederemo rispondendo ai sondaggi.
Indice degli argomenti
Monetizzazione dei dati: la posizione del Garante in Italia
Amazon ha fiutato il business dei dati proprio mentre i nuovi membri del Collegio del Garante Privacy italiano, insediato a luglio, hanno posto l’attenzione sulla “Monetizzazione dei dati fra le sfide più delicate“. Dapprima il presidente Stanzione che ha affermato in una recente intervista che: “i dati personali, prima che una risorsa economica, costituiscono un bene giuridico, oggetto di un diritto “di libertà” che come tale non può essere alienato. Una delle sfide più delicate riguarda proprio la monetizzazione dei dati. Se, infatti, si legittimasse la remunerazione del consenso al trattamento, si rischierebbe la rifeudalizzazione dei rapporti sociali, ammettendo che per necessità si possa essere disposti a cedere, con i dati, la propria libertà”.
Poi anche Ginevra Cerrina Feroni, un altro membro del Collegio, che durante il recente Congresso di AssoDPO ha ribadito che la monetizzazione “è un tema delicato e denso di insidie. Partiamo da un presupposto, che il corpo fisico è inviolabile e infungibile. Questa la cornice di riferimento. Tuttavia, laicamente, mi pongo una domanda, cioè quale potrebbe essere la differenza tra questo tipo di fenomeno, in cui i dati vengono ceduti in cambio di denaro, rispetto a quanto avviene quotidianamente e sempre più massicciamente, di dati ceduti in cambio di benefit generici, di servizi premium e buoni sconti, talvolta in cambio di nulla? La differenza è che in questo secondo modello lo scambio avviene in maniera subdola e strisciante, in cui l’interessato fa fatica a rendersi pienamente conto di quanto gli accade, non ne ha consapevolezza. Ecco perché del tema dovremmo occuparci e dovremmo farlo in modo nuovo e aperto in una discussione che è appena iniziata”.
In attesa del Comitato
Già nell’agosto del 2019 con una lettera a firma del Presidente Antonello Soro, l’Autorità Garante per la privacy aveva posto, all’attenzione del Comitato europeo per la protezione dei dati personali (EDPB), la questione relativa a “Weople”, l’app che promette ai propri iscritti una remunerazione in cambio della cessione dei loro dati personali.
L’occasione aveva fatto emergere le prime riflessioni sul delicato tema della “commerciabilità” dei dati, causata dall’attribuzione di un vero e proprio controvalore al dato personale.
Sul punto, il Comitato ancora non si è espresso anche se in realtà la posizione dello stesso è già stata in linea di principio chiarita con le Linee guida n. 2/2019 dove è precisato che “considerando che la protezione dei dati è un diritto fondamentale garantito dall’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali, e che una delle finalità principali del GDPR è quella di fornire agli interessati il controllo sulle informazioni che li riguardano, i dati personali non possono essere considerati un bene commerciabile”.
Ma anche l’European Data Protection Supervisor (EDPS) aveva sposato in passato tale prospettiva in varie Opinion.
Adesso con Amazon Shopper Panel è ancor più urgente una posizione unanime da parte dell’autorità dei Garanti europei, serve una netta presa di posizione più determinante.
Amazon ha assicurato che eliminerà tutte le informazioni “sensibili” ricevute dagli utenti e che gli utenti possono cancellare quando vogliono le ricevute caricate in precedenza.
Monetizzazione dei dati e consenso
Tuttavia, il tema da affrontare è la commerciabilità dei dati personali, non intesa semplicemente come remunerazione del consenso.
Il consenso è e deve restare libero, non può essere venduto per dieci dollari. Non può esserlo perché dovrebbe essere libero condizionamenti economici ed informato, dunque dettagliatamente supportato da una informativa che spieghi a cosa servono gli scontrini, cosa significa cioè “aiutare i marchi a offrire prodotti migliori e rendere più pertinenti gli annunci pubblicitari”. Inoltre, cosa comporterà in futuro aver ceduto spese, profilo, abitudini, luoghi, date e via dicendo ad una società americana che ha già di fatto un monopolio sulle vendite online.
Stiamo parlando della mercificazione dei dati personali; siamo nell’ambito delle libertà fondamentali. Non si può vendere il dato fondandolo su un consenso condizionato da un riconoscimento economico. Il consenso non sarebbe libero da condizionamenti. In base al proprio stato di necessità economica, ed al prezzo offerto l’interessato sarebbe disposto ad accettare lo scambio. Il mancato consenso rappresenterebbe per lui motivo di pregiudizio economico; in palese contrasto, oltre che con GDPR, anche con Opinion del WP n.259.
Abbiamo quasi del tutto ceduto la libertà degli acquisti online e siamo ormai inseguiti da cookie, GPS, intelligenze artificiali di varia natura, programmatic advertising ecc.: teniamoci almeno un pezzo di libertà.
Per l’Europa confidiamo nel Comitato.