Può una campagna di sensibilizzazione nazionale sulla vaccinazione anti coronavirus poter essere definita discriminatoria dei diritti dei lavoratori e della loro libertà di manifestazione del pensiero? Si è arrivati a chiedersi se una delle principali attività di promozione dell’attività vaccinale, se messa in campo da dipendenti del settore sanitario, possa in qualche maniera entrare in conflitto con la tutela del diritto alla privacy dei lavoratori stessi.
Ad accendere il dibattito sulla questione, la posizione di alcuni farmacisti che hanno manifestato perplessità rispetto alla scelta dei loro colleghi di portare volontariamente una spilla che indica l’adesione alla campagna vaccinale anti-Covid.
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Privacy e vaccini, l’antefatto
Nella sostanza, i dipendenti di un noto circuito di farmacie, avevano spontaneamente deciso di appendere sul loro camice la spilletta di una delle campagne di sensibilizzazione alla vaccinazione più note a livello nazionale.
L’atto di aver reso noto al pubblico, da parte del farmacista, l’essersi sottoposto a vaccinazione anti-Covid non è stato visto in modo benevolo da parte di alcuni colleghi che ritenevano potenzialmente leso il loro diritto alla privatezza. Alcune rappresentanze sindacali hanno manifestato a riguardo qualche perplessità.
Occorre specificare che l’attività in questione – quella di appendere le spillette – è stata del tutto spontanea, personale e conseguente all’essersi sottoposti al vaccino anti-Covid. Nessuna pressione né indicazione in merito alle modalità operative sono state impartite da parte della società datrice di lavoro.
La normativa di riferimento
Per esprimere un parere in merito all’accaduto, in relazione al GDPR, occorre analizzare innanzitutto le seguenti definizioni che, per completezza si riportano (art. 4 Reg UE 2016/679 “2): «trattamento: qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l’adattamento o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione».
Occorre appurare che, nel caso in questione, la Società datrice di lavoro non ha effettuato alcun tipo di trattamento in relazione all’esposizione, o meno, delle suddette spillette né, tantomeno, può assumere la veste di “titolare del trattamento” in relazione ad un’attività del tutto personale e spontanea.
L’attività di sensibilizzazione è infatti riferibile a una campagna diffusa sul territorio nazionale e l’adesione alla stessa è frutto della libera volontà dei dipendenti (nello specifico dei farmacisti addetti al banco).
Come riferito, le attività in questione sono del tutto personali (anche un vaccinato potrebbe liberamente decidere di non esporre la spilletta) non direttamente riferibili all’attività messa in atto dal dipendente all’interno del proprio luogo di lavoro.
I timori dei sindacati
Le rappresentanze sindacali, infatti, avevano sollevato alcuni dubbi circa le possibili finalità discriminatorie messe in atto nei confronti dei lavoratori che, per loro ragioni personali, non avessero aderito alla campagna di sensibilizzazione e non avessero, conseguentemente, indossato la spilletta.
Per chiarire meglio se l’attività in questione possa essere in qualche modo lesiva della privacy dei lavoratori che hanno inteso, per i più disparati motivi, non indossare le spillette della campagna promozionale, occorre considerare l’art. 2 del Regolamento europeo: «Ambito di applicazione materiale. Il presente regolamento non si applica ai trattamenti di dati personali: c) effettuati da una persona fisica per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico».
Al fine di meglio chiarire il concetto, si riporta il Considerando n.18 del Regolamento: «Il presente regolamento non si applica al trattamento di dati personali effettuato da una persona fisica nell’ambito di attività a carattere esclusivamente personale o domestico e quindi senza una connessione con un’attività commerciale».
L’attività in questione, quella di sottoporsi a vaccinazione, è un’attività esclusivamente pubblica in quanto il vaccino anti-Covid viene somministrato da parte dell’Autorità sanitaria.
Facendo un’analisi in astratto, se si volessero eventualmente prendere in considerazione le conseguenze discriminatorie derivanti dalla mancata esibizione da parte dei soggetti che non dovessero aderire all’iniziativa o che, sempre liberamente, non dovessero sottoporsi alla vaccinazione, occorre considerare che ci troveremmo in relazione all’evidenza di un “non dato”.
Conclusione
Va da sé, che il trattamento di un dato inesistente (un non dato) non andrà a integrare in alcun modo quanto previsto dall’art. 4 del Reg. UE 2016/679.
V’è da considerare, infine, che una delle categorie più interessate dalle tremende tensioni della recente emergenza sanitaria è stata proprio quella dei farmacisti.
A parere di chi scrive, non è il caso di mascherare con il manto della riservatezza le finalità filantropiche di alcuni operatori sanitari.