Il trattamento dei dati personali inerente alle persone che operano per conto di un’organizzazione è regolamentato da diverse disposizioni normative che vanno oltre il mero aspetto della privacy che, peraltro, ne costituisce una sorta di fil rouge.
In questa sede si approfondirà questo aspetto dal punto di vista del titolare-datore di lavoro come del lavoratore.
La materia, va da sé, teoricamente rientra nel cono d’attenzione anche delle OO.SS., e alcuni cenni e una proposta saranno fatti nella parte finale.
Indice degli argomenti
Il quadro normativo per il mondo del lavoro
Con riguardo alla norme che impattano sulla sfera del lavoro, in questa sede ci si riferisce:
- in primis alla Costituzione che sancisce, fra l’altro, che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro e tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni;
- al Regolamento UE 679/2016 sulla privacy (GDPR) e al Codice privacy;
- al D.lgs. 81/2008 sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro;
- all’art. 2087 C.C. “tutela delle condizioni di lavoro”;
- alla legge 4/2021 di ratifica ed esecuzione della Convenzione OIL sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro che, fra l’altro, impegna gli Stati che la ratificano ad “adottare leggi e regolamenti che definiscano e proibiscano la violenza e le molestie nel mondo del lavoro, inclusi violenza e molestie di genere”;
- al D.lgs. 24/2023 sul whistleblowing.
La privacy, nel contesto lavorativo, rappresenta la protezione dei dati personali dei dipendenti. Questi dati includono, oltre a informazioni afferenti alle competenze professionali e alle expertise maturate sul lavoro, agli aspetti retributivi e previdenziali, anche informazioni afferenti alla sfera del lavoratore come quelle afferenti al suo stato anagrafico, ai familiari, alla salute (per la parte sostanziale trattate in esclusiva dal medico competente), alla iscrizione a sindacati.
Lo stretto legame tra privacy e mobbing
Le normative come il GDPR dispongono che le informazioni dei lavoratori siano raccolte e gestite in modo legale, trasparente e sicuro. La tutela della privacy è essenziale per un ambiente di lavoro dove le persone siano tutelate nei loro interessi e rispettate nella loro diversità.
Il mobbing è una forma di abuso psicologico sul posto di lavoro, che si manifesta attraverso comportamenti ostili, umiliazioni e isolamento sociale verso uno o più lavoratori. Le conseguenze del mobbing possono essere devastanti, provocando gravi problemi di salute mentale e fisica, come ansia, depressione e malattie legate allo stress.
Non esiste in Italia una norma specificamente dedicata al mobbing. Il termine mobbing entra in ambito giudiziario per la prima volta in una sentenza del Tribunale di Torino del 16 novembre 1999, nella quale i giudici sancirono che il datore di lavoro era tenuto al risarcimento del danno psichico subito dal dipendente rimasto vittima di pratiche di mobbing.
La protezione dal mobbing la si deve evincere quindi da diverse norme ordinamentali; in particolare in ambito civilistico e giuslavoristico rilevano: a) l’art. 2087 del CC secondo cui il datore di lavoro deve porre in atto “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” e b) le disposizioni del D.lgs. 81/2008 in specie sulla valutazione di rischi inclusi quelli riferibili allo stress lavoro–correlato (art. 28.1).
In ambito penalistico, sebbene non riferiti ad una fattispecie dedicata la mobbing, vanno considerati in particolare l’art. 582 (Lesione personale) punisce “ Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente” e l’art. 612-bis (Atti persecutori) che si rivolge a “chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Quanto sopra costituisce una robusta base di riferimento per la tutela dei lavoratori da un lato ma anche una cornice che le organizzazioni interessate al benessere della compagine possono ben presidiare per prevenire comportamenti venefici per il contesto più generale.
Inoltre, il mobbing può rappresentare una delle cause di stress lavoro-correlato. Le vittime di mobbing spesso sperimentano livelli elevati di stress, ansia e depressione, che possono influire negativamente sia sulla loro capacità lavorativa sia sul benessere generale. La gestione dello stress lavoro correlato può implicare la raccolta di dati personali sensibili, come le informazioni sulla salute mentale dei dipendenti.
Stretto legame vi è fra privacy e mobbing. La tutela della privacy dei dipendenti è cruciale per prevenire il mobbing, poiché la divulgazione non autorizzata di informazioni personali può essere utilizzata per molestare o discriminare un lavoratore, aggravando situazioni di abuso psicologico: è fondamentale trattare queste informazioni con la massima riservatezza per rispettare la privacy dei lavoratori.
La relazione tra privacy e whistleblowing
La relazione fra privacy e whistleblowing è quindi stretta e funzionale alla protezione del segnalante (ma anche di quella segnalata, pure in virtù del generale principio di presunzione di innocenza): il whistleblower deve poter segnalare le irregolarità in modo sicuro e anonimo per proteggere la loro privacy e prevenire ritorsioni.
La protezione della privacy è quindi cruciale per incoraggiare le segnalazioni di illeciti.
La decisione di denunciare irregolarità può comunque causare un notevole stress ai whistleblower, sia per le preoccupazioni legate alle possibili ritorsioni sia per la responsabilità morale di segnalare comportamenti illeciti: occorre considerare lo stigma che ancora accompagna questa figura se la si presenta come delatore (un aspetto culturale da superare e che oggi, almeno nella cultura europea, potrebbe depotenziare questo strumento per certi versi di autodifesa organizzativa).
Pertanto, è fondamentale fornire adeguati meccanismi di supporto per aiutare i whistleblower a gestire questo stress.
Tuttavia, i whistleblower possono diventare vittime di mobbing come forma di ritorsione per aver denunciato comportamenti illeciti. È essenziale che le leggi e le politiche aziendali proteggano i whistleblower da tali atti di mobbing.
La protezione dati del lavoratore, tra mobbing e whistleblowing
In sintesi, la privacy, il mobbing, lo stress lavoro correlato e il whistleblowing sono interconnessi in modi complessi e richiedono un approccio integrato per garantire un ambiente di lavoro sicuro, rispettoso e giusto per tutti i dipendenti.
La tutela della privacy e la protezione contro il mobbing e le ritorsioni sono elementi chiave per prevenire lo stress lavoro-correlato e promuovere la giustizia e l’integrità all’interno delle organizzazioni.
Una esemplificazione di ciò che a livello organizzativo non andrebbe fatto la offre, nella sua lineare e demistificante descrizione il recente film “Palazzina LAF” su un evento ritenuto come il primo in Italia di mobbing massivo.
Quest’opera dimostra come il linguaggio filmico possa far percepire – più intensamente di un pur necessario discorso razionale – come il mondo del lavoro sia oggetto di azioni e controreazioni che possono, nei casi di patologia, diventare tossici per le persone.
Sui rapporti fra mobbing e whistleblowing va evidenziato che, solo in alcune circostanze, eventi di mobbing potrebbero essere denunciati attraverso canali di whistleblowing, sulla base delle seguenti considerazioni.
Infatti l’art. 1.2 D.lgs. sul whistleblowing esclude dal proprio campo di applicabilità “le contestazioni, rivendicazioni o richieste legate ad un interesse di carattere personale della persona segnalante (…) che attengono esclusivamente ai propri rapporti individuali di lavoro o di impiego pubblico, ovvero inerenti ai propri rapporti di lavoro o di impiego pubblico con le figure gerarchicamente sovraordinate”, per cui all’interessato non restano che le altre vie ordinamentali, in sede civile e/o penale, ancorché più “onerose” sotto il profilo probatorio.
Ma, come pure evidenziato da alcuni osservatori della materia, in alcuni casi, vicende afferenti al mobbing potrebbero essere oggetto di segnalazione (protetta) tramite whistleblowing:
- la segnalazione viene effettuata da un altro soggetto della compagine estraneo al fenomeno (spesso il mobbing ha evidenze “sociali” in ambito aziendale e a volte conta anche sulla delegittimazione cui è soggetto il mobbizzato);
- la segnalazione viene effettuata da un altro soggetto della compagine che rientra in un gruppo oggetto di mobbing, ma procede alla segnalazione non (tanto solo) per la sua posizione ma per l’evento in generale.
Sotto il profilo della riconducibilità del mobbing al whistleblowing varrebbe poi la considerazione, pure fatta in dottrina e in alcune pronunce giurisprudenziali, che il mobbing possa essere inteso come un fenomeno che lede “l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica” (ma ciò potrebbe valere anche per l’ente privato).
Serve un approccio integrato
Generalizzando i concetti sopra esposti:
- la privacy nel contesto lavorativo si riferisce alla tutela dei dati personali dei dipendenti, inclusi quelli relativi alla salute, alla vita privata e alle comunicazioni. GDPR e Codice privacy, unitamente agli artt. 4 (sui controlli a distanza) e 5 (sugli accertamenti sanitari) della legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori ), costituiscono una cornice di garanzie affinché i dati dei lavoratori siano raccolti e trattati in modo lecito, trasparente e sicuro. La privacy è fondamentale per creare un ambiente di lavoro dove i dipendenti si sentono rispettati e sicuri;
- il mobbing (ma ci sono anche altre fattispecie quali lo straining e il bossing) è una forma di abuso psicologico sul posto di lavoro che può manifestarsi attraverso comportamenti ostili, umiliazioni, emarginazioni o altre azioni volte a danneggiare un lavoratore. Questo tipo di abuso può avere gravi conseguenze sulla salute mentale e fisica del dipendente, causando stress, ansia, depressione e altre problematiche. Il mobbing è punibile, anche se non da una norma specifica che sarebbe utile emanare quanto prima, e le vittime hanno il diritto di denunciare tali comportamenti e cercare protezione legale;
- lo stress lavoro-correlato, trattato dal D.lgs. 81/2008, è una reazione negativa a pressioni eccessive o altre forme di richiesta lavorativa che superano le capacità del lavoratore di affrontarle. Le cause possono includere carichi di lavoro eccessivi, mancanza di supporto, ruoli lavorativi poco chiari o conflitti interpersonali, questioni che possono rasentare il mobbing. Lo stress cronico può portare a problemi di salute significativi, inclusi disturbi cardiovascolari, disturbi del sonno e problemi di salute mentale. È compito del datore di lavoro prevenire e gestire lo stress lavoro-correlato, implementando politiche di supporto e benessere. Può in talune circostanze rappresentare una forma di mobbing;
- il whistleblowing è l’atto di segnalare comportamenti illeciti all’interno di un’organizzazione, ora tutelato a livello paneuropeo dal recepimento della Direttiva UE 1937/2019, in Italia avvenuto con il citato D.lgs. 24/2023. Può essere utilizzato anche per violazioni della privacy, della salute e sicurezza sul lavoro e, nei limiti previsti, con riguardo a fenomeni di mobbing.
Come possiamo notare, la privacy, il mobbing, lo stress lavoro correlato e il whistleblowing sono interconnessi in vari modi e richiedono un approccio integrato per garantire un ambiente di lavoro sicuro, rispettoso e giusto per tutti i dipendenti e valorizzante il brand organizzativo, pubblico o privato che sia, come inclusivo e interessato alla crescita delle diverse professionalità.
Il ruolo delle organizzazioni sindacali
Ma il discorso non può essere limitato alle sole organizzazioni-datori di lavoro e ai lavoratori. Occorre soffermarsi anche sul ruolo delle OO.SS. che hanno oppure dovrebbero imparare ad avere in materia.
Premesso che rispetto al passato i sindacati non possono più presentare, come prima della vigente norma sul whistleblowing, segnalazioni ritorsive all’ANAC, possono comunque svolgere un ruolo significativo nell’ambito in esame, in diversi modi quali:
- Consulenza e Supporto
- Fornire informazioni sui diritti dei lavoratori e sulle procedure appropriate per segnalare il mobbing e altre irregolarità.
- Offrire supporto a chi ritiene di essere vittima di mobbing.
- Assistenza Legale
- Aiutare i lavoratori a preparare le loro denunce e a raccogliere le prove necessarie.
- Rappresentare i lavoratori in procedimenti legali e nelle trattative con i datori di lavoro.
- Mediazione, Negoziazione e Advocacy
- Intervenire nei conflitti lavorativi per trovare soluzioni e ridurre le tensioni.
- Negoziare con i datori di lavoro per migliorare le condizioni di lavoro e prevenire future situazioni che impattino sul clima e sulle relazioni di lavoro;
- Promuovere cambiamenti nelle politiche aziendali e nelle leggi per garantire una maggiore protezione della privacy e contro il mobbing.
- Organizzare campagne di sensibilizzazione per educare i lavoratori e i datori di lavoro sui diritti e le responsabilità relativi alla privacy, al mobbing e al whistleblowing
- Pretendere ove previsto dalla legge (come per il whistleblowing) di essere sentite prima dell’adozione di specifiche misure ovvero comunque chiedere di essere coinvolte in scelte organizzativo-gestionali che si riflettano sulle condizioni di lavoro, per rappresentare un proprio punto di vista propositivo.
- In casi di patologia non risolubili al tavolo negoziale, rivolgersi al Garante privacy per dirimere aspetti lesivi del diritto alla riservatezza dei propri rappresentati, come ad es avvenuto in Spagna ove nel 2019 un sindacato si è rivolto all’AEPD, Garante spagnolo, per far cessare una prassi afferente alla richiesta di certificazione su precedenti penali, vicenda che si è conclusa con una sanzione pecuniaria e con la cessazione della citata prassi.
L’utilità di un rappresentante dei lavoratori per la privacy
Un’ultima notazione, che trova conforto anche in un recente contributo apparso su una rivista specialistica sulla sicurezza sul lavoro dell’Università di Urbino, è l’ipotesi di introdurre a livello normativo (nel GDPR e/o nel Codice privacy) la figura di Rappresentante dei lavoratori per la privacy, in analogia alla figura del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (sul lavoro) prevista dal D.lgs. 81/2008.
Tale Rappresentante dovrebbe avere come mandato proprio quello di rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti del trattamento dei dati personali afferenti al rapporto di lavoro.
Ciò in considerazione:
- della rilevanza pervasiva e crescente della materia in un contesto, quello del lavoro, che vede crescere le soluzioni di intelligenza artificiale adottate nei processi;
- dello stretto legame fra privacy e ambiente di lavoro inclusivo e aperto alla valorizzazione delle diversità;
- dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori che riguardo forme di controllo a distanza prevede, in alcuni casi, uno specifico iter (accordo con le OO.SS. o autorizzazione INL).
Tale Rappresentante sarebbe un presidio di garanzia: un primo interlocutore per l’organizzazione e il Responsabile della protezione dei dati (DPO) ove nominato (in caso contrario emergerebbe ancor più la sua utilità come propositiva controparte del datore di lavoro).
Ciò analogamente all’ambito salute e sicurezza sul lavoro, dove il Rappresentante dei lavoratori può interloquire con le altre figure coinvolte fra cui il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (assimilabile al DPO). Agevolerebbe anche le OO.SS. che pure potrebbero incontrare difficoltà nella disponibilità di idonee expertise in materia (ancorché in generale tenute alla nomina del DPO).
Va da sé che l’interazione del Rappresentante con le OO.SS. potrebbe poi condurre queste ad attivarsi direttamente in tema di privacy ove ritenuto necessario, analogamente a quanto avviene nell’ambito della salute e sicurezza sul lavoro.
Conclusioni
Va pure sottolineato che, come sempre quando sono in gioco questioni di privacy, anche su tematiche afferenti alla salute e sicurezza sul lavoro, emerge la centralità del DPO (nelle P.A. e, nel privato, ove nominato) e rientra nell’ambito della a sua azione di consulenza e supervisione il farsi parte attiva per il rispetto del diritto alla privacy, anche ricercando intese con le altre figure preposte (RPCT, gestore del canale di segnalazione interno, Comitato etico, Organismo di Vigilanza ex D.lgs. 231/2001, privacy manager e futuribile Rappresentante dei lavoratori per la privacy) per impostare processi compliant nell’interesse dei dipendenti come delle organizzazioni.
A partire dall’inserimento nel registro dei trattamenti di quelli afferenti alle materie citate e alla definizione delle procedure relative in maniera privacy by design e by default (misure di sicurezza, DPIA se necessario, informative, procedura per gestire il ciclo di vita delle informazioni ecc.).
Le opinioni espresse sono a titolo esclusivamente personale e non coinvolgono ad alcun titolo l’Istituto pubblico ove presta servizio.