L’Italia sostiene il divieto di pubblicità politica basata sul tracciamento dati degli utenti. La Francia invece nicchia, poiché esprime dubbi su alcuni elementi centrali della proposta di regolamento sul marketing politico online.
“Si tratta di considerazioni importanti”, commenta Andrea Michinelli, avvocato ed esperto di privacy, “che dovranno essere adeguatamente dibattute per arrivare a un efficace testo finale, data l’importanza di questo Regolamento e dell’ambito di competenza. I punti sollevati di recente erano già evidenti e critici nella bozza iniziale, giusto che ora li si debba affrontare di petto”.
Ecco quali sono e perché è meritoria la posizione italiana.
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Pubblicità politica e tracciamento dei dati: UE divisa
La proposta di regolamento sulla pubblicità politica mirata, presentata l’anno scorso, raccoglie dunque il supporto dell’Italia. Roma è infatti favorevole al divieto del tracciamento dei dati, mentre la proposta registra gli indugi di Parigi.
La proposta di regolamento della Commissione punta ad aumentare la trasparenza della pubblicità politica, contrastando il fenomeno della disinformazione, in particolare sotto elezioni. Secondo l’esecutivo UE, le misure devono diventare operative entro le prossime elezioni del Parlamento europeo, previste nel maggio 2024.
Il nostro Paese, rispondendo alle domande sollevate dalla presidenza ceca del Consiglio UE, ha espresso preferenza verso un “divieto di pubblicità mirata basata sul tracciamento pervasivo”. Dunque, a favore di un divieto totale “sull’uso di tecniche di targeting o di amplificazione che comportino il trattamento di dati sensibili”.
Il documento, di cui EurActiv ha preso visione, è datato 8 settembre. Include le risposte di Austria e Francia, a cui segue un’analoga serie di risposte da parte di altri 16 Paesi UE. Sia la Germania che la Grecia hanno espresso parere favorevole nei confronti di un divieto assoluto di uso dei dati personali nella pubblicità politica e tracciamento dei dati.
“L’Italia ha giustamente fatto presente il pericolo di lasciare un apparato sanzionatorio del tutto alla discrezione degli Stati“, sottolinea Michinelli, “con ovvie conseguenze che pregiudicano gli obiettivi di armonizzazione se manca perlomeno un coordinamento, nel caso di violazioni commesse tra più Stati”.
“Stupiva fin da subito, infatti, questo approccio ed è meritevole sia l’Italia a insistere per correggerlo”, evidenzia ancora l’esperto.
I punti critici nella bozza iniziale
Italia e Austria ritengono necessario che il regolamento faccia distinzione fra due categorie: l’utilizzo di dati sensibili osservati e ipotizzati; ed altre forme di dati personali, come quelli offerti espressamente dall’interessato.
Secondo Vienna, la proposta, in conformità con il GDPR, deve distinguere tra le due categorie.
“Sulla questione del discrimine tra dati personali sensibili ammissibili”, mette in guardia Michinelli, “come propone la Francia, e il divieto totale sostenuto dell’Italia, vi è invece più margine di compromesso. È ragionevole, per motivi diversi, sia cercare di ammettere l’uso di dati sensibili di tipo politico per finalità elettorali, sia insistere per un divieto totale considerato il potenziale punto di vista dei cittadini per questi trattamenti. Sicuramente la proposta italiana è maggiormente tutelante per gli interessati, così come il voler includere nel perimetro regolamentare anche i dati osservati/inferiti ad esempio da tracciamento del comportamento utente tramite cookie, non solo quelli raccolti direttamente dall’interessato”.
L’Italia ha inoltre chiesto di porre il divieto di targeting e amplificazione sulla base di tutte le categorie di dati sensibili. Per i dati osservati o derivati, tuttavia, Roma propone il divieto di tutte le pubblicità mirate basate sul tracciamento pervasivo. La decisione italiana trova fondamento nel parere del Garante europeo della protezione dei dati, pubblicato a inizio d’anno.
“In tale ottica”, conclude Michinelli, “altrettanto tutelanti sono i suggerimenti francesi e austriaci per evitare facili aggiramenti dei divieti, qualora si lasciasse maggiore libertà in periodi non formalmente rientranti in quelli di una campagna elettorale. È noto che i tentativi di influenza e condizionamento presi di mira dalla regolamentazione, in casi pregressi come Cambridge Analytica, si sono fatti forza di operazioni compiute al di fuori di precisi periodi elettorali, ove si può già “seminare” molto di ciò che si potrà poi raccogliere durante la campagna vera e propria”.