Il trattamento dei dati personali mediante sistemi di videosorveglianza nei luoghi di lavoro determina, da parte del titolare del trattamento relativamente ai dati dei propri dipendenti o soggetti terzi che abbiano accesso alla sede del datore di lavoro, una serie di riflessioni rispetto alla conformità al quadro normativo esistente in materia di protezione dei dati personali.
Tali riflessioni assumono particolare interesse e rilevanza soprattutto a seguito dell’entrata in vigore del novellato art. 4 dello Statuto dei lavoratori “Jobs Act” e dal discrimine conseguente alla diversa applicazione del comma 1 e del comma 2 del novellato art. 4 della Legge 300/1970.
La diversa applicazione dei due commi e il differente regime giuridico rendono necessarie alcune valutazioni rispetto ad un corretto bilanciamento degli interessi e un’applicazione coerente delle norme da parte del titolare.
In questo contesto, chiaramente, vanno analizzati anche gli eventuali impatti rispetto ad una non corretta applicazione della normativa che determinano dei rischi sulla libertà e la dignità dell’interessato. Lo sforzo parte da un’approfondita analisi del quadro normativo per arrivare alle valutazioni da parte del titolare e per finire l’applicazione delle misure e regole adeguate per valutare gli impatti privacy.
Indice degli argomenti
Videosorveglianza in prossimità degli accessi al luogo di lavoro: quadro normativo
Il titolare del trattamento in qualità di datore di lavoro può trattare i dati personali e anche particolari dei propri dipendenti per la gestione del rapporto di lavoro e per adempiere a specifici obblighi previsti da leggi, regolamenti o normative comunitarie o da contratti collettivi (art. 9 par. 1) par. 2) lett. B ) e par. 4; art. 6 par 1 lett. C) e art.88 del GDPR o per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso allo svolgimento di pubblici poteri ( art. 6 par. 1 lett. E) e par 2 e 3; art. 9 par.2 lettera g) del Regolamento UE e art. 2 ter e 2 sexties del novellato D.lgs. 196/2003.
Il datore di lavoro deve inoltre rispettare le norme nazionali esistenti che incidono sugli interessi legittimi e diritti fondamentali a tutela degli interessati, con particolare riferimento alla trasparenza del trattamento (art. 6 par 2 e 88 del Regolamento UE).
In questo contesto, le modifiche introdotte dal D.lgs. 101/2018 fanno espresso riferimento alle normative nazionali di settore che tutelano la dignità del lavoratore così come all’art. 113 “Raccolta dati e pertinenza” e all’art. 114 “Garanzie in materia di controllo a distanza”.
Per effetto di tale rinvio e dell’osservanza dell’art. 88 del Regolamento UE, il rispetto dell’art. 4 e dell’art. 8 della Legge 300/1970 e dell’art. 10 del D.lgs. 297/2003 costituiscono la liceità del trattamento.
Il titolare è sempre tenuto a rispettare i principi di minimizzazione, liceità, correttezza, trasparenza e limitazione della finalità, così come richiesto dell’art. 5 del Regolamento UE.
Valutazioni di liceità e impatto privacy
Alla luce dell’inquadramento normativo, si rende evidente che il trattamento di dati personali mediante sistemi di videosorveglianza che riprendono i lavoratori in prossimità di luoghi di accesso e timbratura della sede di lavoro trova il suo fondamento normativo nella L. 300/1970 art. 4, nell’art. 114 e nell’art. 88 del Regolamento UE 2016/679 che fa salve le norme sul diritto del lavoro considerata la minore consapevolezza di essere monitorati nei luoghi di lavoro.
Nello specifico, l’art. 4 comma 1 del novellato art. 4 della L. 300/1970 consente l’utilizzo di sistemi audiovisivi esclusivamente per “esigenze organizzative e produttive e di tutela di sicurezza sul lavoro e tutela del patrimonio aziendale” previo accordo con le rappresentanze sindacali o l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.
Diversamente, il comma 2 del citato Jobs act prevede per gli strumenti “per la registrazione degli accessi e presenze” così come “quelli utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”. Un’eccezione che, in quanto tale, ha dei limiti di stretta interpretazione rispetto a quanto previsto dal comma 1, escludendo questi strumenti dalle condizioni finalistiche e dalle procedure di garanzia prescritte dal comma 2.
Questi strumenti per la registrazione delle presenze e accessi al luogo di lavoro sono funzionali ad attestare la presenza del lavoratore, certificando anche in forma automatizzata la presenza e gli orari di entrata e uscita dei dipendenti anche ai fini della contabilizzazione e trovano la loro finalità con particolare riferimento all’ambito pubblico ma anche privato nel seguente quadro normativo (Legge 724/1994 art. 22; Legge 244/2007 art. 31 e DPR 13/1986).
In ragione di tali considerazioni, la scelta del legislatore è stata di non prevedere solo per gli strumenti “di registrazione degli accessi e presenza o di quelli relativi allo svolgimento della prestazione” il rispetto dei limiti di cui al comma 1 proprio per le finalità tecniche specifiche a cui sono preordinati tali strumenti ai fini dell’assolvimento degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro e degli accessi e presenza in servizio e assolvimento dell’attività lavorativa.
Peraltro, solo per gli adempimenti e i limiti previsti dal primo comma che fa riferimento “agli impianti audiovisivi” sono da ritenersi inderogabili così come chiarito anche dalla Cassazione Penale con riguardo ai casi scriminanti relativamente alla condotta vietata relativa all’installazione degli impianti di videosorveglianza ai sensi del novellato Jobs act (art. 171 del codice).
Nella valutazione della fattispecie esaminata, l’installazione di impianti di videosorveglianza in prossimità di accessi e luoghi di rilevazione delle presenze dei dipendenti, costituirebbe uno strumento ulteriore e ultroneo rispetto alle finalità esistenti di rilevazione delle presenze e pertanto non adeguato al rispetto della “finalità di registrazione degli accessi e delle presenze” per cui il legislatore ha previsto una deroga espressa alla L. 330/1970 art. 1).
La possibile installazione di telecamere “orientate” sui sistemi di rilevazione delle presenze può configurare, peraltro, una forma di controllo diretto e sistematico dell’attività lavorativa, in particolare, dell’osservanza dei doveri di diligenza stabiliti per il rispetto dell’orario di lavoro nell’ambito della corretta esecuzione della prestazione lavorativa.
A corredo di tale lettura giova ricordare il parere espresso dall’Autorità Garante con propri provvedimenti e si richiama anche quanto riportato dalla Raccomandazione Consiglio di Europa del primo aprile 2015, CM/Rec (2015) in relazione all’utilizzo delle “tecnologie (compresa la videosorveglianza) aventi per scopo diretto e primario la sorveglianza dell’attività e del comportamento dei dipendenti dei dipendenti”.
In virtù delle predette considerazioni, anche a seguito delle modifiche apportate alla legge 20 maggio 1970, n. 300, dall´art. 23 del D.lgs. n. 151/2015, il controllo diretto e mirato sull’attività lavorativa non risulterebbe, allo stato, consentito dall’ordinamento e dal quadro costituzionale, oltre a non poter essere inquadrato nel novero delle tassative finalità (“organizzative e produttive”, “di sicurezza del lavoro” e “di tutela del patrimonio aziendale”) per il perseguimento delle quali tali sistemi possono essere lecitamente impiegati, in base alla richiamata disciplina di settore (considerando 4 e artt. 5 e 88, par. 2, Regolamento; artt. 114 del Codice e 4, legge 20.5.1970, n. 300).
Giova ricordare che la stessa Autorità Garante in applicazione del principio di proporzionalità, già in sede di audizione sugli schemi di decreti legislativi attuativi del c.d. Jobs Act, presso la Commissione Lavoro della Camera dei deputati e del Senato, ha precisato che non sono comunque consentite attività idonee a realizzare un controllo massivo, prolungato e indiscriminato dell’attività del lavoratore.
Su questa tematica l’Autorità, in accordo con il Ministero e l’Ispettorato del Lavoro, ha più volte espresso l’illiceità del trattamento ove eccedente e non proporzionato rispetto alle (quattro) finalità tassative previste dalla legge.
Tale orientamento, anche a seguito di recenti pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo conferma il ruolo centrale del principio di proporzionalità, quale “requisito essenziale di legittimazione dei controlli in ambito lavorativo”.
Si ricorda da ultimo che, proprio con riguardo all’installazione di sistemi di videosorveglianza in prossimità di sistemi di rilevazione delle presenze (oltre che con riguardo all’impiego simultaneo con i sistemi biometrici), il Garante ha evidenziato specifiche criticità nello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la disciplina di attuazione della disposizione di cui all’articolo 2 della legge 19 giugno 2019, n. 56.
Videosorveglianza in prossimità degli accessi al luogo di lavoro: le soluzioni
In ragione della valutazione del quadro normativo e delle valutazioni dei principi di necessità e proporzionalità del trattamento e dell’impatto e dei rischi privacy, appare rispettoso e ragionevole, in luogo dell’installazione di videocamere orientate sui sistemi di rilevazione delle presenze o sui tornelli in modo da riprendere il dipendente “che accede alle sedi al momento della registrazione della presenza”, che il titolare possa perseguire la sua finalità attraverso l’installazione di telecamere in prossimità degli ingressi o di altri punti di accesso agli edifici, e non quindi orientata sul sistema di rilevazione delle presenze, nel pieno rispetto delle prescrizioni della disciplina in materia di controlli a distanza (art. 4, comma 1 della legge. n. 300/1970).
I chiarimenti forniti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, nonché dal Garante in relazione a singoli casi di installazione di sistemi di videosorveglianza in luoghi di lavoro pubblico e privato , evidenziano che tali trattamenti possono essere giustificati solo nel rispetto delle garanzie previste dalla legge nazionale applicabile, in mancanza delle quali costituisce un’interferenza illecita nella vita privata del dipendente, ai sensi dell’articolo 8, par. 2, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il titolare in qualità di datore di lavoro, verificata la sussistenza dei presupposti di liceità dello specifico trattamento, in attuazione del principio di responsabilizzazione (che impone l’adozione di adeguate misure tecniche e organizzative atte a garantire che il trattamento avvenga in conformità alla normativa vigente; cfr. artt. 24 e 25 del Regolamento), può in ogni caso valutare se i trattamenti che si intendono realizzare possano presentare un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche – in ragione delle tecnologie impiegate e considerata la natura, l’oggetto, il contesto e le finalità perseguite – che renda necessaria una preventiva valutazione di impatto sulla protezione dei dati personali.
Conclusioni
Tenuto conto anche delle indicazioni fornite a livello europeo sul punto, si può affermare che, considerata la particolare “vulnerabilità” degli interessati nel contesto lavorativo, il trattamento dei dati personali dei lavoratori mediante l’impiego di “nuove tecnologie” può presentare rischi specifici per i diritti e le libertà degli interessati in termini di possibile monitoraggio degli stessi (cfr. artt. 35 e 88 par. 2 del Regolamento) rendendo necessaria una valutazione di impatto dei rischi capillare.