Tutti soggetti che svolgono attività sanitaria e vogliono operare nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale e del Servizio Sanitario Regionale, devono presentare un’istanza di accreditamento all’ASL di competenza al fine di verificare la sussistenza di alcuni requisiti minimi e di standard di qualità definiti dalla regione di appartenenza. Interessante osservare che esistono alcuni punti di contatto fra l’accreditamento della struttura sanitaria privata e la compliance al GDPR.
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L’accreditamento delle strutture sanitarie private
Il procedimento di accreditamento riguarda la verifica di aspetti strutturali, tecnologici ed organizzativi dell’organizzazione, tutti comunque riferibili ad una complessiva valutazione della qualità di erogazione dei servizi sanitari di assistenza, diagnosi e cura erogati.
Una volta rilasciata l’autorizzazione, la struttura sanitaria è abilitata a fornire le prestazioni sanitarie in regime di convenzione per un periodo di tempo limitato, al termine del quale deve essere svolto un procedimento di rinnovo dell’accreditamento.
Dal punto di vista dell’organizzazione della struttura sanitaria, l’accreditamento va dunque affrontato come un processo che inevitabilmente coinvolge prima di tutto le modalità di svolgimento del rapporto con il paziente sin dal momento dell’accettazione.
È pertanto richiesta l’attuazione di presidi e misure per adempiere ai criteri richiesti e garantire il livello di qualità prescritto, andando di fatto a creare un sistema di gestione che il più delle volte viene richiamato all’interno della “carta dei servizi” predisposta dalla struttura e resa disponibile ai pazienti.
Fra le politiche e i requisiti stabiliti per l’accreditamento, rientrano anche la garanzia della trasparenza informativa e la tutela della riservatezza del paziente, richiamando così gli adempimenti in materia di protezione dei dati personali.
I nodi della compliance GDPR nel processo di accreditamento
La conformità al GDPR è dunque essere oggetto di rilievi e verifiche all’interno del procedimento di accreditamento, facendo riferimento prima di tutto alla tutela del paziente in quanto soggetto interessato e dunque alla corretta gestione delle attività di trattamento dei dati personali.
Per logica, il primo momento di contatto con il paziente consiste nella somministrazione delle informazioni relative al trattamento dei dati personali, trovando così applicazione quel citato principio di trasparenza informativa richiamato fra i criteri di accreditamento.
Appare opportuno ricordare però che la garanzia di un’informazione trasparente in ambito di protezione dei dati personali copre un diverso ambito rispetto alla trasparenza richiesta per l’erogazione della prestazione sanitaria ed il conseguente consenso informato reso in ambito medico-sanitario.
Dal punto di vista temporale, l’informazione sui dati è infatti almeno contestuale alla registrazione del paziente in accettazione e dunque riguarda un momento preliminare al rapporto con il personale sanitario, mentre l’informazione relativa al trattamento sanitario si pone in un momento successivo ed è svolta in ragione dell’instaurazione di una relazione con il personale medico.
La generale tutela della riservatezza del paziente richiamata dai requisiti, invece, riguarda tanto la tutela della sicurezza delle informazioni quanto il generale rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali.
Sotto l’aspetto della sicurezza delle informazioni, la valutazione va svolta secondo i parametri forniti dall’art. 32 GDPR e dunque dovendo garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio tramite la predisposizione di misure tecniche e organizzative che tengano conto anche dello stato dell’arte, dei costi di attuazione e dei trattamenti di dati personali svolti.
Sotto l’aspetto della sicurezza delle informazioni, dal momento che le strutture sanitarie comportano il coinvolgimento di più operatori con diverse funzioni e professionalità, è indispensabile definire in modo corretto i ruoli e limitare l’accesso ai dati personali secondo il criterio del privilegio minimo.
Devono pertanto essere distinti più profili di autorizzazione, con poteri di visualizzazione e intervento differenziati, verificando che i soli soggetti autorizzati ed istruiti in tal senso possano avere accesso ai dati personali dei pazienti (artt. 29 e 32.4 GDPR).
La documentazione da produrre in sede di accreditamento, al di là di quella che può essere espressamente indicata (ad es. le informative pazienti), è solitamente rimessa all’organizzazione in quanto dipende dalle modalità di svolgimento dell’attività.
Ad esempio, può essere sempre utile produrre gli incarichi mediante i quali sono svolte le modalità di istruzione e autorizzazione degli operatori ai sensi dell’art. 29 GDPR, mentre qualora siano coinvolti dei responsabili del trattamento dovranno essere prodotti i relativi accordi che regolano il rapporto conformemente all’art. 28 GDPR, mentre se è riscontrato l’obbligo di svolgimento di una valutazione d’impatto, il documento redatto ai sensi dell’art. 35 GDPR deve essere senz’altro reso disponibile.
Ulteriormente, andranno documentate le eventuali misure eventualmente prescritte dal Garante ai sensi dell’art. 2-septies Cod. Privacy, così come, se del caso, il rispetto delle linee guida e delle prescrizioni in materia di Dossier sanitario e di Fascicolo sanitario elettronico.
Come criterio generale, in occasione delle verifiche e dei controlli per l’accreditamento è comunque consigliabile esibire i registri delle attività di trattamento, e che questi siano redatti in modo tale da fornire pronta evidenza circa l’individuazione delle basi giuridiche e delle finalità perseguite, l’ambito di propagazione dei dati dei pazienti fra destinatari e responsabili del trattamento coinvolti, nonché la corretta classificazione e conservazione della documentazione.
Circa questo ultimo aspetto, l’adozione di un prontuario di scarto costituisce un utile allegato ai registri valido per documentare i tempi di trattamento, innanzitutto distinguendo i vari tipi di documentazione e i relativi obblighi e termini di conservazione, mentre la procedura di assume una funzione di documentare le modalità attraverso le quali avviene lo smaltimento della documentazione.
La designazione del DPO
Stante il particolare ambito di attività svolta, sorge il dubbio se sussista un generale obbligo di designazione del DPO per le strutture sanitarie accreditate.
All’interno del provv. 55 del 7 marzo 2019, il Garante affronta la tematica della designazione del DPO in ambito sanitario, individuando la sussistenza dell’obbligo di designazione per un’azienda sanitaria appartenente al SSN sia in quanto “organismo pubblico” (art. 37.1 lett. a) GDPR) sia per la sussistenza del parametro della “larga scala” dei trattamenti di dati relativi alla salute (art. 37.1 lett. c) GDPR).
Circa tale parametro, è indicato che sussiste anche per “il trattamento dei dati relativi a pazienti svolto da un ospedale privato, da una casa di cura o da una residenza sanitaria assistenziale (RSA)”, mentre è escluso per il “singolo professionista sanitario che operi in regime di libera professione a titolo individuale” (coerentemente con il considerando n. 91 GDPR).
Sotto un punto di vista di individuazione dell’obbligo di designazione del DPO, è necessario dunque svolgere l’analisi e la valutazione della scala dei trattamenti svolti facendo riferimento ai fattori già indicati dal WP243, ovverosia:
- numero di soggetti interessati dal trattamento, in termini assoluti ovvero espressi in percentuale della popolazione di riferimento;
- volume dei dati e/o le diverse tipologie di dati oggetto di trattamento;
- durata, ovvero la persistenza, dell’attività di trattamento;
- portata geografica dell’attività di trattamento.
Guardando però alla dimensione sostanziale, e agli obiettivi di tutela degli interessati perseguiti dal GDPR, lo stesso Garante indica la designazione del DPO come “una misura volta a facilitare l’osservanza della disciplina di protezione dei dati”.
Pertanto, pur in assenza della sussistenza di una larga scala di trattamenti, la tutela della riservatezza del paziente richiesta ad una struttura accreditata rende, di fatto, la designazione se non obbligatoria quanto meno “obbligata”.
L’attività di riesame
Dal momento che l’accreditamento è soggetto a rinnovo periodico, è di immediata attuazione operativa un collegamento con le prescrizioni dell’art. 24.1 GDPR e, in caso di valutazione d’impatto, con l’art. 35.11 ai sensi delle quali il titolare deve, rispettivamente, procedere al riesame ed aggiornamento delle misure tecniche e organizzative predisposte per garantire la conformità al GDPR e della valutazione d’impatto svolta.
Lo svolgimento dei controlli prescritti dal GDPR, dunque, può produrre evidenze utili per il rinnovo dell’accreditamento (nella parte in cui riguarda l’adempimento alla normativa in materia di protezione dei dati personali) ed è utile anche per applicare interventi correttivi prima delle verifiche di accertamento svolte da parte della ASL evitando, così, di incorrere o nel diniego del rinnovo o in un accreditamento con riserva.
È bene ricordare che il riesame non è attività svolta dal DPO, il quale esercita una funzione principalmente di sorveglianza, bensì dal titolare del trattamento.
Ciò non esclude, però, che il DPO debba essere coinvolto, sebbene alla consulenza circa le modalità di svolgimento del riesame e ad un parere circa la corretta conduzione di tale attività.
Conclusioni
Dal momento che il processo di accreditamento di una struttura sanitaria richiama all’interno dei criteri da verificare anche l’adempimento degli obblighi imposti dalla normativa in materia di protezione dei dati personali, il principio di responsabilizzazione assume un ruolo essenziale in ragione della predisposizione di tutti quei presidi idonei a “garantire, ed essere in grado di dimostrare” la conformità al GDPR.
Inoltre, è bene ricordare che con l’avanzare della medicina digitale e degli orizzonti tecnologici, assicurare la protezione dei dati personali del paziente assuma un aspetto di primaria importanza.