Alcune sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo hanno sottolineato l’importanza delle linee fondamentali di tutela della privacy del lavoratore rispetto al controllo elettronico del datore di lavoro. In sintesi, esiste una sfera imprescindibile di protezione della vita privata anche sul luogo di lavoro.
Le pronunce emesse dalla Corte di Strasburgo, sebbene siano vincolanti solo tra le parti in causa, potrebbero influenzare le future decisioni dei giudici italiani che oggi sono chiamati ad applicare non solo l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, così come novellato dall’art. 23 comma 1 del D.lgs. n. 151 del 14 settembre 2015 (cosiddetto Jobs Act) che prevede la possibilità per il datore di lavoro di accedere alla posta aziendale solo dopo aver preventivamente informato il lavoratore circa:
- le modalità d’uso dello strumento informatico;
- le modalità con cui vengono effettuati i controlli;
ma anche il Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR).
La stessa Autorità Garante della Privacy, già in linea con gli orientamenti dei Giudici di Strasburgo (si veda a tal proposito il provvedimento del 22 dicembre 2016), potrebbe accogliere ulteriori spunti interpretativi per i suoi futuri provvedimenti.
Indice degli argomenti
Tutela della privacy sul luogo di lavoro: adottare una policy aziendale
Ma andiamo per ordine: cosa ci dicono, in estrema sintesi, alcune sentenze CEDU?
La sentenza Barbulescu c. Romania – importante per lo specifico argomento dei controlli sulle comunicazioni – non solo sottolinea la necessaria adozione di una policy aziendale, in assenza della quale nessun datore di lavoro può effettuare controlli, ma traccia anche il contenuto le cui garanzie dovranno essere protette dalle Autorità Nazionali, pena l’illegittimità del controllo datoriale.
In tal senso ci vengono in aiuto con i parr. 121 e 122 della sentenza in esame, attraverso i quali la Grande Chambre indica cosa, nei casi specifici, dovrà essere verificato da parte delle singole Autorità Nazionali:
- se il dipendente sia stato informato, preventivamente, della possibilità che il datore di lavoro controlli la corrispondenza e le modalità di attuazione;
- quale sia il grado di intrusione nella privacy del dipendente;
- se il datore di lavoro ha fornito motivazioni legittime per giustificare il monitoraggio delle comunicazioni;
- se fosse possibile istituire una modalità di monitoraggio meno intrusiva per non accedere direttamente al contenuto della comunicazione del dipendente;
- quali sono le conseguenze per il lavoratore e quali sia l’uso che il datore di lavoro ne ha fatto; bisognerà appurare che tale uso sia conforme con lo scopo che lo stesso perseguiva e ha precedentemente dichiarato al dipendente;
- se sono state approntate misure di salvaguardia per il dipendente, come ad esempio prevedere che il datore di lavoro non possa accedere al contenuto effettivo delle comunicazioni.
I concetti, quindi, di “vita privata” e di “corrispondenza” possono trovare applicazione anche nelle comunicazioni effettuate sul luogo di lavoro e le limitazioni imposte dal datore di lavoro non possono, in ogni caso, ridurre del tutto la vita sociale e di relazione del dipendente.
Secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, quindi, “In relazione alla sussistenza di un equo bilanciamento tra l’interesse del lavoratore al rispetto della sua vita privata e della sua corrispondenza e il contrapposto interesse del datore di lavoro al corretto funzionamento della società e dell’attività svolta dai propri dipendenti, le mail aziendali, al pari delle telefonate e dell’utilizzo di internet sul luogo di lavoro, rientrano nel campo di applicazione dell’art. 8 CEDU, che risulta peraltro violato solo in assenza di una espressa comunicazione al lavoratore circa il controllo su tali strumenti”.
Tutela della privacy sul luogo di lavoro: i limiti della videosorveglianza
Un’altra sentenza, la Lopez Ribalda c. Spagna, è incentrata sui limiti della videosorveglianza e sul rispetto dell’articolo 8 – obblighi positivi e negativi degli Stati contraenti – con specifico riferimento al paragrafo 2, CEDU che dispone: “ Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
La Corte, quindi, è tornata sul tema del diritto alla privacy in occasione dei controlli a distanza del lavoratore, ribadendo l’obbligo di adottare misure per garantire il rispetto della vita privata.
Nel caso di specie si era in presenza di un’attività di sorveglianza occulta volta a colpire l’intero personale dipendente in forza presso uno specifico punto vendita allo scopo di individuare i responsabili di alcuni furti.
La Corte Europea ha pertanto dovuto appurare, in prima battuta, se lo Stato – in questo caso spagnolo – avesse adottato misure adatte per garantire il rispetto della vita privata e avesse, pertanto, operato un giusto equilibrio tra i diritti dei ricorrenti (le lavoratrici licenziate) e quelli del datore di lavoro.
La Corte ha rilevato che, sebbene l’attività di sorveglianza fosse volta a tutelare l’interesse organizzativo-patrimoniale del datore di lavoro, questa è stata sproporzionata rispetto al fine e ha ritenuto lo Stato convenuto fosse responsabile di non aver sanzionato tale sproporzione tra strumento restrittivo e scopo perseguito.
Inoltre, ci sarebbe da argomentare anche l’incompatibilità con l’articolo 6, comma 1 CEDU: utilizzazione in giudizio dei dati personali – il diritto ad un equo processo.
In effetti, nel caso in esame, l’utilizzo dei filmati ottenuti attraverso una videosorveglianza occulta ha di fatto privato le ricorrenti della facoltà di esercitare il diritto di accesso, rettifica e cancellazione garantiti dal codice privacy spagnolo.
Il “diritto a che la causa sia esaminata equamente” è un elemento essenziale del “giusto processo”, ragione per la quale il compito della Corte EDU è stato quello di appurare se il giudizio svoltosi in sede nazionale non sia stato iniquo sotto l’aspetto del procedimento considerato nella sua interezza, ovvero se entrambe le parti abbiano avuto la possibilità di opporre o favorire elementi utili.
Nel nostro caso le ricorrenti hanno avuto modo di opporsi all’autenticità dei filmati e pertanto la decisione della corte spagnola non si è basata su tale prova ma sulle testimonianze rese in contraddittorio.
In tale circostanza la Corte EDU ha ammesso, quindi, la possibilità di utilizzare a livello processuale elementi in grado di sanare il danno provocato dalla violazione di una specifica garanzia.
Conclusioni
Anche con questa sentenza, la Grande Camera, ha quindi affermato non solo che il lavoratore non è privato del diritto alla protezione della sua vita privata anche se si trova nei locali aziendali presso i quali presta servizio e utilizza beni aziendali, ma che deve essere assicurato, dalle autorità nazionali, il giusto equilibrio tra il rispetto della vita privata del dipendente e l’interesse del datore di lavoro alla tutela dei suoi diritti di proprietà che potrà far valere solo se perseguiti con modalità non eccessive, utilizzando la dovuta trasparenza di intenti che devono essere precedentemente comunicati agli interessati.