Della valutazione di impatto sulla protezione dati, in inglese DPIA – Data protection impact assessment, si è già detto e scritto tantissimo.
Focalizzata sulle conseguenze per gli interessati, proprio perché necessaria a valle di un’analisi che ha già decretato il trattamento come ad elevato rischio per i diritti e le libertà delle persone, si basa come ben sappiamo su un processo che vede il titolare, anche supportato dai responsabili, descrivere e analizzare le attività e i flussi di informazioni trattate nel dettaglio, e giustificare, oltre alla finalità, la necessità e la proporzionalità del trattamento, evidenziando le misure di mitigazione e di tutela.
Processo sicuramente non semplicissimo, ma di importanza fondamentale, e molto utile a tutti gli attori coinvolti nella valutazione, in particolar modo al personale del titolare coinvolto nelle diverse fasi, che acquisisce sicuramente maggiore consapevolezza dei principi di privacy by design che vengono iniettati nelle operazioni.
Nonostante sia ancora considerato un adempimento ostico, la produzione di report di valutazioni di impatto, realizzate con diverse metodologie e strumenti differenti, è ormai ampiamente diffusa; ma va chiarito che la valutazione di impatto non può essere considerato in alcun modo un mero adempimento formale, nell’accezione del “pezzo di carta” che bisogna avere da parte per dimostrare di aver rivalutato e mitigato il rischio.
Nell’esperienza dello scrivente, ancora oggi troppo spesso si avviano iniziative e trattamenti sulla base di documentazione prodotta che non contiene altro che matrici colorate di valutazione dei rischi e misure e controlli standard, elencati da fonti ormai alla portata di tutti.
Vale dunque la pena ricordare che con la DPIA non si può scherzare, e che le giustificazioni per la messa in atto dell’attività di trattamento dovrebbero essere più che convincenti.
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Verificare la rispondenza e l’efficacia delle valutazioni di impatto
Innanzitutto, ricordiamo per dovere di cronaca, per chi fosse più indietro e volesse acquisire maggiori informazioni sulla valutazione di impatto, che è possibile trovare schede sintetiche sul sito web dell’Autorità italiana.
E anche qui, qui e qui è possibile trovare molte informazioni utili di approfondimento sulla DPIA.
Vogliamo soffermarci ora su alcuni interessanti strumenti messi a disposizione dalle Autorità di controllo; riferimenti a standard, linee guida, strumenti e pubblicazioni utili, soprattutto del CNIL, sono state ampiamente descritte.
Ma per testare il nostro processo di valutazione di impatto, è noto che lo strumento della checklist è quello che meglio riesce a rendere il più oggettivo e standard possibile qualsiasi processo di controllo, verifica e audit.
E non si può parlare di checklist per le verifiche sulla protezione dati senza conoscere ed apprezzare quelle dell’ICO – Information Commissioner’s Office, l’Autorità di controllo britannica.
Gli strumenti dell’ICO per la corretta esecuzione della DPIA
Sul sito web dell’Autorità britannica, ed in particolare a partire dalla pagina dedicata a imprese e organizzazioni sono numerosissime le guide e le risorse, incluse checklist e pagine di self-assessment per i temi più salienti dell’applicazione del GDPR.
Si ha un dubbio sull’utilizzo del legittimo interesse quale base giuridica del trattamento? Forse il trattamento è basato su misure precontrattuali? Con pochi clic si può utilizzare il Lawful basis interactive guidance tool per verificare la corretta base giuridica, ad esempio.
Gli strumenti di self-assessment sono profondamente radicati nella tradizione britannica, e l’ICO non si è certo risparmiata, proprio in virtù della grande utilità delle liste di controllo per supportare la accountability richiesta dal Regolamento.
Per quanto riguarda la valutazione di impatto per la protezione dati, l’ICO offre una sezione dedicata.
Dopo l’utilissimo sintetico Paragrafo At a glance che spiega a colpo d’occhio il processo della valutazione di impatto, troviamo subito 3 comode checklist:
- la DPIA awareness checklist,
- la DPIA screening checklist,
- la DPIA process checklist.
Già i primi 5 punti di controllo della prima checklist sulla consapevolezza, che recitano:
- Formiamo il nostro personale affinché comprenda la necessità di considerare una Valutazione di impatto sulla protezione dati sin dalle primissime fasi di ogni piano o iniziativa che preveda trattamenti di dati personali.
- I nostri processi, le politiche aziendali, le procedure e istruzioni includono riferimenti ai requisiti di Valutazione di impatto.
- Comprendiamo le tipologie di trattamenti che richiedono una valutazione di impatto per la protezione dati, e utilizziamo la checklist di screening per identificare l’effettivo bisogno di condurre una DPIA, dove necessario.
- Abbiamo creato e documentato un processo di valutazione di impatto per la protezione dati.
- Forniamo idonea formazione allo staff di pertinenza su come condurre un processo di valutazione di impatto per la protezione dati
metterebbero in discussione la quasi totalità delle valutazioni di impatto effettuate dai titolari italiani, diciamoci la verità.
La seconda checklist di screening (DPIA screening checklist) ha la funzione di supportare la decisione di condurre o meno la DPIA, richiamando i criteri ben noti dell’EPDB, con l’accortezza di raccomandare l’aver documentato (anche nel registro dei trattamenti, NDR) la non necessità di valutazione di impatto per l’attività di trattamento analizzata.
La checklist del processo di DPIA (DPIA process checklist) ha invece il fine di focalizzare quelli che sono gli step chiave della costruzione di una valutazione di impatto.
Di recente, l’ICO ha aggiunto un ulteriore interessantissima checklist: la Have we written a good DPIA?, con l’intento di fornire uno strumento per evidenziare che siano stati effettivamente considerati i rischi relativi ai processi posti in essere, e che siano stati soddisfatti tutti i requisiti di coerenza e conformità e i più generali obblighi per la protezione dati.
Forse la domanda posta è impropria dal punto di vista lessicale, in quanto la DPIA è un processo e non un documento; ma l’ICO si rivolge spesso ad un ampio pubblico con un linguaggio semplice e di basso livello, andando dritto al punto; in questo caso si riferisce ovviamente al report di valutazione di impatto; comunque sia, secondo tale checklist, abbiamo dunque “scritto” un buon report di valutazione di impatto se abbiamo effettuato e incluso una serie di considerazioni:
- abbiamo confermato se la DPIA descrive una revisione di un’attività di trattamento pre GDPR o copre trattamenti non ancora iniziati, specificando la cronologia in entrambi i casi;
- abbiamo spiegato perché abbiamo avuto bisogno della DPIA, dettagliando le tipologie di trattamenti che hanno previsto tale requisito;
- abbiamo strutturato il documento in modo chiaro, sistematico e logico;
- abbiamo scritto il documento in modo comprensibile, con destinatari non specialisti in mente, spiegando ogni termine tecnico e/o acronimo usato;
- abbiamo descritto chiaramente le relazioni fra Titolari, Responsabili, Interessati e Sistemi, utilizzando sia testo che diagrammi di flusso laddove appropriato;
- abbiamo assicurato che le specifiche di ogni flusso di dati personali fra persone, sistemi, organizzazioni e paesi siano state chiaramente spiegate e presentate;
- abbiamo dichiarato esplicitamente come vengono rispettati I principi della protezione dati e spiegato chiaramente le basi di legittimità per il trattamento, e le condizioni di liceità per le categorie particolari di dati personali se necessario;
- abbiamo spiegato come pensiamo di supportare l’esercizio dei diritti degli interessati;
- abbiamo indentificato tutti i rischi di pertinenza per la libertà e I diritti degli individui, e valutandone probabilità e impatto, e abbiamo dettagliato tutte le necessarie misure di mitigazione;
- abbiamo spiegato a sufficienza come ogni misura di mitigazione proposta reduce il rischio identificato in questione;
- abbiamo evidenziato le nostre considerazioni di qualunque alternativa meno rischiosa al raggiungimento delle stesse finalità del trattamento, spiegando perché non l’abbiamo potuta o voluta scegliere;
- abbiamo fornito dettagli circa la consultazione degli interessati o delle altre parti coinvolte, e abbiamo incluso sintesi delle evidenze;
- abbiamo allegato ogni documento aggiuntivo pertinente che referenziamo nella nostra DPIA, ad esempio: informative, modelli di acquisizione consenso ecc.;
- abbiamo registrato suggerimenti e raccomandazioni del nostro DPO (laddove presente) e assicurato che il report DPIA sia stato sottoscritto dalle persone appropriate;
- abbiamo condiviso e documentato una pianificazione o termine temporale per la revisione regolare della Valutazione di impatto o per quando cambiamo la natura, l’ambito, il contesto o le finalità del trattamento;
- abbiamo consultato l’Autorità di controllo se ci sono rischi elevati residui che non riusciamo a mitigare.
Ovviamente lo scrivente nella traduzione si è preso alcune libertà, si consiglia di visualizzare la pagina in lingua inglese del sito web referenziata in precedenza.
Ma come possiamo vedere, sono spunti di riesame molto, molto utili.
Spunti per una corretta accountability valida per tutti i titolari
Il 17 luglio 2019 l’EDPS ha pubblicato la Lista di attività di trattamento che necessitano di DPIA per gli Organismi comunitari, e ha aggiornato contestualmente due interessanti pubblicazioni forse poco conosciute, perché di pertinenza delle Istituzioni dell’Unione Europea, e basate sul Regolamento 2018/1725 (il regolamento sulla protezione dati applicabile alle Istituzioni UE, che ha mandato in soffitta il precedente Regolamento 45/2001, recependo gli adeguamenti richiesti dal GDPR).
Stiamo parlando di una Guida all’accountability, disponibile in lingua inglese e che si compone appunto di due guide di “Accountability on the ground”; la prima descrive l’approccio alla documentazione delle attività di trattamento nel registro dei trattamenti, mentre la seconda, appunto, offre interessanti specifiche sulla conduzione della DPIA, includendo checklist per il rispetto dei principi applicabili al trattamento dati e matrici con i diversi tipi di trattamento, oppure consigliando l’introduzione di matrici RACI (chi fa che cosa) nel rapporto di DPIA.
Insomma, una lettura comunque illuminante, anche per chi non si occupa di Organismi comunitari; i due documenti, in lingua inglese, sono disponibili qui e qui.
Conclusioni
È noto che le attività delle Autorità Garanti, centrali e nazionali, non si limitano alla vigilanza dell’applicazione delle previsioni regolamentari, ma sono in parte dedicate alla sensibilizzazione e informazione di tutti; le pubblicazioni, le linee guida e gli strumenti messi a disposizione possono essere davvero di aiuto nelle operazioni di riesame, che ogni addetto ai lavori non può esimersi dall’effettuare costantemente, nell’ottica dell’accountability richiesta e del miglioramento continuo.
Seguire dunque gli aggiornamenti pubblicati da Autorità di Controllo particolarmente attive, come l’ICO, CNIL, ma anche come la nostra Autorità che non perde occasione di partecipare ad iniziative e campagne di sensibilizzazione, p di fondamentale importanza per chi desideri occuparsi della protezione dadi.
E consente, inoltre, di usufruire di strumenti semplici e gratuiti che diventano potentissimi nel fungere da riferimento quali punti di controllo degli adempimenti posti in essere.