DATA PROTECTION

Web reputation e applicazione del diritto all’oblio: spunti operativi per un corretto bilanciamento

Nonostante le recenti novità sembrino facilitare e agevolare l’esercizio del diritto all’oblio, consentendo di “nascondere” le notizie che rischiano di ledere l’onore e la reputazione di un individuo, ad oggi molte questioni rimangono ancora in attesa di risposta. Facciamo chiarezza

Pubblicato il 09 Feb 2023

Pietro Boccaccini

Director, Deloitte Legal

Camilla Torresan

Associate, Deloitte Legal

Web reputation e diritto all'oblio

Il processo volto a ottenere la deindicizzazione di contenuti dai motori di ricerca è stato recentemente oggetto di alcune novità, nell’ottica del rafforzamento degli strumenti a disposizione dell’interessato per ottenere la cancellazione delle informazioni disponibili online che possono essere lesive dell’onore.

Tramite l’esercizio del diritto all’oblio è possibile tutelare la reputazione digitale (web reputation) da notizie pubblicate online che possono avere un risvolto negativo sulla vita sia personale che professionale di una persona.

I danni – patrimoniali e non patrimoniali – connessi alla pubblicazione di contenuti errati o diffamatori possono peraltro essere subiti anche dai familiari dell’interessato e, in certi casi, la diffusione di notizie personali riguardanti un imprenditore potrebbe determinare conseguenze dannose anche per l’azienda e, a cascata, per i lavoratori.

Diritto all’oblio e pretesa di deindicizzazione su scala globale, ma è davvero così? Alcuni chiarimenti

Bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto di cronaca

Il diritto all’oblio, a livello europeo, è riconosciuto dall’entrata in vigore del Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR). La sua applicazione, ad oggi, non è tuttavia ancora molto agevole, poiché questo diritto – del tutto individuale – richiede un bilanciamento con quello di cronaca e con l’interesse della collettività a mantenere viva la memoria di fatti in precedenza divulgati, anche questi tutelabili.

La normativa europea prevede espressamente che il diritto all’oblio non si applichi ove “il trattamento sia necessario per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione”, nonché per finalità “di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici (…)” (art. 17 del GDPR).

Le Autorità, tra cui il Comitato europeo per la protezione dei dati personali e le Corti italiane, hanno ripetutamente precisato che tale bilanciamento deve essere svolto alla luce di diversi fattori, tra cui l’interesse effettivo e attuale alla diffusione della notizia, la notorietà dell’interessato, il contributo a un dibattito di interesse generale, le modalità impiegate per ottenere e per rendere l’informazione e anche il tempo trascorso tra il momento in cui i fatti si sono effettivamente verificati e la pubblicazione della notizia[1].

Le azioni per la tutela della web reputation

Le azioni per tutelare la reputazione online, in concreto, consistono nella richiesta:

  1. di cancellazione degli articoli ritenuti lesivi della propria reputazione alle testate che li hanno pubblicati;
  2. di deindicizzazione dei link relativi agli articoli ai gestori dei motori di ricerca (a tal fine Google e Yahoo e altre società mettono a disposizione appositi form). Tali richieste, per poter essere considerate, devono essere motivate in modo molto circostanziato, indicando altresì le possibili violazioni di legge.

Alla luce dei richiamati orientamenti giurisprudenziali, è chiaro che risulta possibile ottenere la cancellazione degli articoli e/o la rimozione dei link degli articoli ritenuti lesivi della propria reputazione e riservatezza esclusivamente nel caso in cui il bilanciamento tra i contrapposti diritti e interessi risulti a favore dell’interessato che aziona la richiesta di “oblio”.

In sede di valutazione degli interessi in gioco, i giudici di merito generalmente respingono le istanze di ritiro dagli archivi delle testate giornalistiche online delle notizie asseritamente lesive della reputazione qualora esse continuino a destare attenzione e contribuiscano a un pubblico dibattito.

È possibile osservare come all’immediatezza e alla semplicità della pubblicazione di una notizia su Internet non corrispondono azioni di rimedio altrettanto rapide, vista la complessità dell’analisi sopra ricordata che occorre svolgere sia dall’interessato – in sede di istanza – che dagli altri soggetti coinvolti (editori e motori di ricerca) nel momento in cui devono valutare se e come dare seguito alla richiesta.

Le recenti novità sul diritto all’oblio

La Corte di Cassazione si è recentemente espressa sul tema del “global delisting”, ossia la facoltà per le autorità nazionali, tra cui anche il Garante per la protezione dei dati personali, di ordinare ai gestori dei motori di ricerca su Internet la deindicizzazione di un determinato contenuto su tutte le versioni, europee ed extraeuropee, dello strumento di ricerca[2].

Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE)[3] alla fine del 2022 si è pronunciata in materia, imponendo al gestore del motore di ricerca di accogliere le istanze di deindicizzazione di contenuti online qualora questi risultino manifestamente inesatti, in conformità al diritto di rettifica previsto dall’art. 16 del GDPR.

Inoltre, con l’entrata in vigore, lo scorso primo gennaio, della riforma Cartabia[4], sono state semplificate le procedure per la deindicizzazione in alcuni casi. In particolare, l’art. 64-ter “Diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini” delle Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale come modificate dalla legge Cartabia, ha riconosciuto il diritto di ciascuno di chiedere la deindicizzazione dei contenuti dei provvedimenti alla cancelleria del giudice che ha redatto il provvedimento in questione, così garantendo maggiore celerità alla cancellazione dei contenuti.

Rispetto al passato, quando la valutazione sulla richiesta di deindicizzazione era rimessa al gestore del motore di ricerca e/o al titolare della testata giornalistica, a seguito di questa riforma:

  1. gli imputati destinatari di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e
  2. la persona sottoposta alle indagini destinataria di un provvedimento di archiviazione possono chiedere la preclusione alla indicizzazione oppure l’ottenimento della deindicizzazione dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento, ai sensi dell’art. 17 del GDPR.

In merito, il Garante per la protezione dei dati personali, nel proprio Parere sullo schema di decreto legislativo per la riforma Cartabia pubblicato in data primo settembre 2022[5], ha notato che la norma in questione non ha carattere realmente innovativo: infatti, attualmente è già prassi considerare l’esito favorevole del procedimento penale come parametro rilevante in sede di valutazione di un’istanza di deindicizzazione.

Criticità e spunti operativi

Nonostante le recenti novità sembrino facilitare e agevolare l’esercizio del diritto all’oblio, consentendo di “nascondere” le notizie che rischiano di ledere l’onore e la reputazione di un individuo, ad oggi molte questioni rimangono ancora in attesa di risposta.

In primo luogo, in tema di web reputation permane la criticità legata al lasso di tempo in cui la notizia rimane online, anche durante l’attesa di un riscontro da parte del gestore del motore di ricerca e/o della testata giornalistica, che potrebbero avere conseguenze estremamente dannose per la reputazione di una persona.

Ad esempio, la semplice associazione del nome di un individuo a eventi di cronaca particolarmente spiacevoli o a vicende giudiziarie può talvolta portare il pubblico a trarre conclusioni affrettate in merito alla colpevolezza, nonostante un quadro informativo sommario e, magari, un esito positivo della questione (come ad esempio l’assoluzione, nell’ambito di un processo penale), che potrebbe magari avere molta meno eco mediatica rispetto alle notizie pubblicate inizialmente.

Inoltre, spesso accade che i gestori dei motori di ricerca e le testate giornalistiche dedichino alla valutazione dell’istanza un tempo lungo, per poter svolgere i necessari approfondimenti legali.

Si nota poi che l’ambito di applicazione della riforma Cartabia, nella parte qui di interesse, è limitato a situazioni piuttosto circoscritte; le disposizioni citate si applicano esclusivamente nei casi in cui vi sia una sentenza di proscioglimento, di non luogo a procedere o un provvedimento di archiviazione.

Per tutte le altre situazioni per cui non è prevista per legge questa tutela rafforzata, permangono le garanzie previste dal GDPR grazie al riconoscimento del diritto di cancellazione: i contrasti con il diritto di cronaca e di informazione sono però stati a più riprese affrontati nelle aule di giustizia e non sempre l’esito di questo tipo di bilanciamenti è scontato.

Infine, un’ulteriore questione che ha risvolti molto operativi concerne la eventuale deindicizzazione di un articolo contenente il riferimento a diversi procedimenti giudiziari (inclusa una decisione di assoluzione e/o archiviazione) relativi alla medesima persona. Le soluzioni pratiche in simili contesti potrebbero essere diverse.

Ad esempio, si potrebbe deindicizzare l’intero articolo (rischiando però di far venire meno la completezza dell’informazione in merito agli altri procedimenti penali per cui non è intervenuta l’assoluzione). In alternativa, i dati personali contenuti negli articoli potrebbero essere anonimizzati (tutela forte dell’interessato), oppure l’interessato potrebbe essere reso meno facilmente identificabile, tramite indicazione delle sole iniziali (tutela meno forte, perché l’interessato potrebbe più agevolmente riconosciuto da chi abbia una serie di informazioni ulteriori).

Nella pratica, in questo genere di casi, accade sovente che gli editori delle testate giornalistiche e/o i gestori dei motori di ricerca in prima battuta rigettino la richiesta, facendo leva sulla necessità che prevalga l’interesse pubblico delle notizie, oppure evidenziando la necessità di conservare gli articoli per finalità storico-sociali e documentaristiche. In caso di rigetto della richiesta, si ricorda che è comunque possibile procedere con un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali, oppure adendo l’autorità giudiziaria.

 

NOTE

  1. Cassazione civile n. 6919 del 2018, Cassazione Civile Sez. Unite n. 19681 del 2019, nonché Linee guida 5/2019 sui criteri per l’esercizio del diritto all’oblio nel caso dei motori di ricerca del Comitato europeo per la protezione dei dati.

  2. Prima sezione civile della Corte di Cassazione, ordinanza n. 34658 del 15 novembre 2022.

  3. Corte di Giustizia Europea, sentenza relativa alla causa C-460/20 dell’8 dicembre 2022.

  4. Decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, attuazione della legge n. 134 del 2021, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.

  5. Garante per la protezione dei dati personali, Parere sullo schema di decreto legislativo di attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari del 1° settembre 2022.

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