L’8 giugno 2022, la rete di cooperazione per la tutela dei consumatori (meglio nota con l’acronimo di CPC), d’intesa con la Commissione Europea, ha inoltrato una lettera formale a WhatsApp, invitando l’azienda “a prendere provvedimenti per rispondere alle questioni ancora irrisolte in merito agli aggiornamenti delle condizioni di servizio e alla politica sulla privacy” oltre che ad “informare chiaramente i consumatori sul suo modello commerciale”.
Non si tratta della prima volta che le Autorità europee contestano alla piattaforma il mancato rispetto del principio di trasparenza nei confronti dei propri utenti: nel marzo di quest’anno, WhatsApp aveva provveduto ad aggiornare la propria informativa proprio per far fronte alle contestazioni mosse dal Garante per la protezione dei dati irlandese, che avevano portato all’emissione di una sanzione record.
Anche Meta si è mossa in tal senso, modificando la propria informativa privacy e i termini e le condizioni di servizio affinché vi fosse maggiore chiarezza e trasparenza circa le finalità perseguite dalle piattaforme e le circostanze in cui si legittima lo scambio di dati fra le diverse applicazioni del gruppo.
Meta aggiorna l’informativa privacy: i nuovi controlli e i prossimi step
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Le contestazioni della Commissione e del CPC
Secondo quanto riportato nel comunicato stampa reso dalla Commissione Europea, le attuali informazioni rese da WhatsApp non sono esaustive sotto il profilo degli aggiornamenti: la piattaforma, in particolare, “è invitata a indicare in che modo intende comunicare eventuali aggiornamenti futuri delle condizioni di servizio e a farlo in modo tale che i consumatori possano facilmente comprendere le implicazioni di tali aggiornamenti e decidere liberamente se desiderano continuare a utilizzare WhatsApp dopo tali aggiornamenti”.
Viene richiesto, inoltre, all’azienda di chiarire se parte delle entrate derivino da politiche commerciali relative ai dati degli utenti: l’azienda, infatti, chiariva nelle sue condizioni di non poter né leggere né ascoltare le conversazioni personali, in quanto non protette dalla crittografia end-to-end. Proprio a tal fine, risulta opportuno verificare quali e quanti dati la società raccolga, e quali di questi siano utilizzati per ottenere un beneficio economico.
Didier Reynders, Commissario per la Giustizia, ha dichiarato a tal riguardo che “WhatsApp deve garantire che gli utenti comprendano ciò che accettano e come i loro dati personali sono utilizzati a fini commerciali, in particolare per offrire servizi a partner commerciali. Ribadisco che mi aspetto che WhatsApp rispetti pienamente le norme dell’UE a tutela dei consumatori e dei loro diritti fondamentali”.
L’odierna controversia trae origine da una contestazione risalente al gennaio 2022 su stimolo dell’organizzazione Europea dei consumatori BEUC. Il direttore generale del BEUC, Monique Goyens, affermava, in particolare, che “WhatsApp ha bombardato gli utenti per mesi con messaggi pop-up aggressivi e persistenti per costringerli ad accettare i suoi nuovi termini di utilizzo e l’informativa sulla privacy. Hanno detto agli utenti che il loro accesso alla loro app sarà interrotto se non accettano i nuovi termini. Eppure, i consumatori non sanno cosa stanno effettivamente accettando. WhatsApp è stato deliberatamente vago su questo e i consumatori sarebbero esposti a un trattamento dei dati di vasta portata senza un valido consenso. Ecco perché chiediamo alle autorità di agire rapidamente contro WhatsApp per garantire che rispetti i diritti dei consumatori”.
Il reclamo dei consumatori europei
Le odierne contestazioni, come anticipato, erano state oggetto di una prima lettera inviata a WhatsApp già nel gennaio 2022, che prendeva atto di come diversi aggiornamenti dei termini e delle condizioni di servizio effettuati nel corso del 2021 fossero risultati particolarmente “problematici per i consumatori”.
Nella lettera di gennaio, in particolare, si chiedeva alla Società non solo di chiarire quali fossero le modifiche apportate nel 2021 ai termini di servizio e alla politica sulla privacy, ma anche di garantire la loro conformità alla normativa europea sulla protezione dei consumatori.
Nella lettera, inoltre, si forniva alla società fino alla fine di febbraio per indicare alla Commissione e alle altre autorità coinvolte quali impegni concreti la società stesse attuando per far fronte alle contestazioni sollevate.
La contestazione traeva origine da una segnalazione dell’Organizzazione Europea dei consumatori (BEUC), portata poi avanti dalla Commissione e dalle autorità nazionali dei consumatori, sotto la guida dell’Agenzia svedese dei consumatori e concretizzatasi nella lettera oggetto d’esame.
“Da diversi mesi”, affermava la BEUC, “WhatsApp esercita pressioni indebite sui suoi utenti affinché accettino le nuove condizioni d’uso e la politica sulla privacy. Eppure, questi termini non sono né trasparenti né comprensibili per gli utenti”. Il reclamo contestava, innanzitutto, come gli utenti fossero spinti ad accettare gli aggiornamenti delle politiche di WhatsApp a seguito di notifiche persistenti, ricorrenti e intrusive: “il contenuto di queste notifiche, la loro natura, la tempistica e la ricorrenza esercitano un’indebita pressione sugli utenti e compromettono la loro libertà di scelta. In quanto tali, costituiscono una violazione della direttiva UE sulle pratiche commerciali sleali”.
Inoltre, si evidenziava l’opacità dei nuovi termini di servizio e il fatto che WhatsApp non fosse riuscita, nonostante le intenzioni, a spiegare la natura delle modifiche in un linguaggio semplice e comprensibile: “È praticamente impossibile per i consumatori ottenere una chiara comprensione di quali conseguenze comportano i cambiamenti di WhatsApp per la loro privacy, in particolare in relazione al trasferimento dei loro dati personali a Facebook e ad altre terze parti. Questa ambiguità equivale a una violazione del diritto dei consumatori dell’UE che obbliga le imprese a utilizzare condizioni contrattuali e comunicazioni commerciali chiare e trasparenti”. Non solo: si era creata nei consumatori la convinzione che la mancata accettazione dei termini avrebbe comportato l’accesso limitato alle funzionalità dell’app.
La condotta di WhatsApp, continuava la BEUC, era aggravata dal fatto che la società continuava a spingere gli utenti ad accettare un’informativa sotto esame da parte delle autorità europee per la protezione dei dati per violazione della normativa vigente.
BEUC concludeva poi esortando le autorità ad intervenire: “La denuncia del BEUC sul diritto dei consumatori è separata da questo controllo in corso, ma chiediamo anche alle autorità di protezione dei dati di accelerare le loro indagini. Esortiamo la rete europea delle autorità per la tutela dei consumatori e la rete delle autorità per la protezione dei dati a lavorare in stretta collaborazione su tali questioni”.
Interoperabilità tra WhatsApp & C: quale bilanciamento tra privacy e sicurezza delle informazioni
La risposta di WhatsApp
In risposta alle contestazioni sollevate a gennaio, WhatsApp dimostrava di aver fornito agli utenti le informazioni necessarie in merito agli aggiornamenti eseguiti sulle condizioni di servizio, sia mediante le notifiche interne all’applicazione che tramite il suo centro di assistenza.
Le informazioni fornite da WhatsApp, tuttavia, sono state considerate, come detto, fonte di confusione per gli utenti, oltre che insufficienti.
Adesso, la società dovrà spiegare in che modo sono adempiuti gli obblighi previsti dalla normativa europea sulla protezione dei consumatori. In particolare, si chiede di provare:
- che siano fornite ai consumatori informazioni sufficientemente chiare sulle conseguenze della loro decisione di accettare o rifiutare i nuovi termini di servizio;
- l’equità delle notifiche in-app di WhatsApp che spingono i consumatori ad accettare i nuovi termini e l’informativa sulla privacy;
- se i consumatori hanno un’adeguata opportunità di conoscere le nuove condizioni prima di accettarle.
Permane, inoltre, la preoccupazione delle autorità circa lo scambio di dati personali degli utenti tra WhatsApp e società di terze parti, oltre che fra WhatsApp e le altre società del gruppo Meta.