Contratti di e-commerce a rischio? È ciò che viene da pensare a seguito di una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), C‑249/21 del 7 aprile 2022, censurando l’operato di una società tedesca che – appoggiandosi alla nota piattaforma Booking.com – potrebbe non aver rispettato la normativa consumeristica.
Il fulcro è la scarsa trasparenza dovuta all’utente, quando si trova nella fase di accettazione contrattuale – tramite l’usuale pulsante digitale di stipula – con annesso obbligo di pagamento. Se pensiamo che le stesse ragioni rilevate dalla CGUE in questo contesto si possono tranquillamente applicare a qualsiasi altro settore del commercio elettronico, non solo alla prenotazione immobiliare, dovrebbe essere sufficiente a far suonare un campanello d’allarme.
Vediamo perché.
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I fatti: una prenotazione mai pagata o mai avvenuta?
Da cosa è nata la controversia? Nel 2018 un consumatore tedesco aveva rinvenuto di suo interesse alcune camere di un hotel di diritto tedesco, sfruttando la nota piattaforma di intermediazione succitata (precisiamo, di diritto statunitense, essendo oggi in mano al gruppo Booking Holdings Inc.).
La sentenza recita che il consumatore “ha quindi cliccato sull’immagine corrispondente a tale hotel, il che ha comportato la visualizzazione delle camere disponibili, nonché informazioni supplementari relative, tra l’altro, ai servizi offerti e ai prezzi proposti dal suddetto hotel per il periodo prescelto. Avendo deciso di riservarvi quattro camere doppie, B., dopo aver cliccato sul pulsante “prenoto”, ha inserito i suoi dati personali, nonché i nomi delle persone che l’accompagnavano, e ha poi cliccato su un pulsante recante la dicitura “completa la prenotazione””. Dopodiché non si è presentato all’hotel alle date concordate.
Per questo motivo l’hotel ha addebitato le spese di cancellazione previste dalle proprie condizioni generali (oltre duemila euro), mai saldate in seguito dal consumatore. L’hotel è arrivato infine al recupero giudiziale della somma, intentando causa alla stessa persona, invocando la stipula del contratto di albergo con il relativo obbligo di pagare il dovuto. Sottolineando, in particolare, in particolare, che la dicitura “conferma la prenotazione” – che il gestore di tale sito Internet ha scelto di inserire nel pulsante di prenotazione – fosse sufficiente a chiare l’obbligo di pagamento per il consumatore.
I giudici tedeschi sono giunti al rinvio alla CGUE per sciogliere i dubbi interpretativi e capire se effettivamente la prassi attuata sia rispettosa o meno della normativa, rendendo il contratto di albergo vincolante e dunque impugnabile per il pagamento reclamato.
Riporto di seguito un esempio dell’attuale design di prenotazione tramite Booking.com, precisando che pare essere mutato rispetto al 2018 (rispetto a quanto indicato nei fatti della causa) e che il suo assetto potrebbe dipendere da opzioni messe a disposizione del professionista che utilizza la piattaforma per i propri immobili.
Il perimetro normativo
È fondamentale disegnare il chiaro perimetro di norme coinvolte nel caso in parola. Si tratta di prescrizioni della Direttiva 2011/83 “sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio”.
Un testo che è stato da tempo recepito negli Stati membri, compresa l’Italia, a implementare una forma di consenso – contestualmente informato – del consumatore per aversi, di fatto, l’esistenza stessa del vincolo contrattuale. E dunque il diritto stesso del professionista a esigere il rispetto del contratto, dei pagamenti e di quant’altro previsto a carico del consumatore.
L’art. 8.2 della Direttiva prevede quanto segue:
“2. Se un contratto a distanza che deve essere concluso con mezzi elettronici impone al consumatore l’obbligo di pagare, il professionista gli comunica in modo chiaro ed evidente le informazioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettere a), e), o) e p), direttamente prima che il consumatore inoltri l’ordine. Il professionista garantisce che, al momento di inoltrare l’ordine, il consumatore riconosca espressamente che l’ordine implica l’obbligo di pagare. Se l’inoltro dell’ordine implica di azionare un pulsante o una funzione analoga, il pulsante o la funzione analoga riportano in modo facilmente leggibile soltanto le parole “ordine con obbligo di pagare” o una formulazione corrispondente inequivocabile indicante che l’inoltro dell’ordine implica l’obbligo di pagare il professionista. Se il professionista non osserva il presente comma, il consumatore non è vincolato dal contratto o dall’ordine”.
In parallelo, in Italia questo articolo è stato ripreso in maniera letterale, ovvero l’art. 51.2 del Codice del Consumo dedicato ai requisiti formali per i contratti a distanza:
“2. Se un contratto a distanza che deve essere concluso con mezzi elettronici impone al consumatore l’obbligo di pagare, il professionista gli comunica in modo chiaro ed evidente le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1, lettere a), e), q) ed r), direttamente prima che il consumatore inoltri l’ordine. Il professionista garantisce che, al momento di inoltrare l’ordine, il consumatore riconosca espressamente che l’ordine implica l’obbligo di pagare. Se l’inoltro dell’ordine implica di azionare un pulsante o una funzione analoga, il pulsante o la funzione analoga riportano in modo facilmente leggibile soltanto le parole “ordine con obbligo di pagare” o una formulazione corrispondente inequivocabile indicante che l’inoltro dell’ordine implica l’obbligo di pagare il professionista. Se il professionista non osserva il presente comma, il consumatore non è vincolato dal contratto o dall’ordine”.
Stando alla sentenza CGUE in esame, anche la normativa tedesca del caso in esame ha recepito queste norme, in maniera piuttosto fedele. I giudici tedeschi si sono interrogati proprio sull’applicazione di questa previsione al caso di Booking: il termine “prenotazione”, che figura nella dicitura “conferma la prenotazione”, non necessariamente viene associato, nel linguaggio corrente, all’obbligo di pagare un corrispettivo, essendo spesso utilizzato anche come sinonimo di “riservare o ordinare preventivamente a titolo gratuito””.
Da qui il dubbio che ha portato il caso fino alla Corte, formulando un quesito interpretativo: “Se l’articolo 8, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2011/83/UE debba essere interpretato nel senso che, per rispondere alla questione se un pulsante o una funzione analoga – che occorre azionare ai fini dell’inoltro dell’ordine in un contratto a distanza concluso con mezzi elettronici ai sensi del primo comma di tale disposizione e che non riporta la dicitura “ordine con obbligo di pagare” – sia dotato di una formulazione corrispondente inequivocabile indicante che l’inoltro dell’ordine implica l’obbligo di pagare il professionista, rilevi esclusivamente il modo in cui si presenta il pulsante ovvero la funzione analoga”.
Una questione di presentazione, dunque di design e layout nel modo in cui l’elemento grafico di accettazione deve corrispondere a una frase sufficientemente esplicativa circa la conseguente obbligazione di pagamento, oppure se il contesto di presentazione della fase di accettazione possa supplire, con elementi sufficienti a far desumere l’obbligo di pagamento.
Nella sua analisi, la Corte sottolinea che nei contratti a distanza, quelli online, si deve garantire un elevato livello di tutela dei consumatori, assicurando la loro informazione e la loro sicurezza nelle transazioni con i professionisti. Proprio per questo la Direttiva del 2011 impone al professionista un certo numero di requisiti formali per i contratti a distanza.
Circa i connessi obblighi informativi, la CGUE riconosce che la formulazione di legge (“ordine con obbligo di pagare”) sia solo esemplificativa e che gli Stati membri sono autorizzati ad ammettere che il professionista utilizzi qualsiasi altra formulazione corrispondente, a condizione che quest’ultima sia inequivocabile quanto al sorgere di tale obbligo.
La normativa tedesca di recepimento non prevede altri esempi precisi di formulazioni analoghe, ragion per cui i professionisti sono ritenuti sì liberi di ricorrere a qualsiasi dicitura di loro scelta, purché da tale dicitura risulti inequivocabilmente che il consumatore è vincolato all’obbligo di pagare non appena clicchi il pulsante di inoltro di un ordine.
La Corte è tassativa: deve essere il pulsante (o la funzione analoga) a contenere la formulazione di obbligo di pagamento, non essendo perciò ammissibile riferirsi al pagamento altrove nella stessa pagina web o form di ordine.
Dirimente in tal senso è il richiamo al Considerando 39 della Direttiva, ove si afferma che “l’attenzione del consumatore deve essere attirata in modo specifico, mediante una formulazione inequivocabile – e, pertanto, senza alcun riferimento a una valutazione globale delle circostanze – sul fatto che l’inoltro di un ordine comporta per lui l’obbligo di pagare, di modo che egli può così determinare in maniera precisa il momento in cui assume tale obbligo”.
Ecco perché la Corte non ha ritenuto pertinenti le ulteriori indicazioni di pagamento presenti nella pagina web di Booking, concentrandosi esclusivamente sul pulsante.
Oltretutto “ritenere che, con l’attivazione di un pulsante o di una funzione analoga, il consumatore debba desumere dalle circostanze di tale processo di essersi impegnato in maniera vincolante a pagare – laddove la dicitura riportata su tale pulsante o su tale funzione non gli consente di individuare con assoluta certezza siffatte conseguenze – equivarrebbe a pregiudicare” gli obietti di elevata tutela dei consumatori nella delicata fase di accettazione contrattuale.
Si potrebbe obiettare che il modo in cui vengano rispettati questi obblighi di legge possano avere un certo margine di applicazione discrezionale da parte dei professionisti, in un’ottica di bilanciamento con la libertà di impresa.
Nella sentenza leggiamo, d’altro canto, che “un simile bilanciamento non è pertinente nel caso di specie, atteso che la redazione o la modificazione di una dicitura presente su un pulsante o su una funzione di inoltro elettronica di un ordine non implica alcun onere significativo tale da nuocere alla competitività o alla libertà di impresa dei professionisti interessati”. Una presa di posizione piuttosto recisa.
Il provvedimento si chiude con un rinvio al giudice tedesco, in quanto la CGUE in questo caso non ha deciso come sia corretto interpretare la situazione di fatto, limitandosi a fornire dei parametri applicativi per guidare il giudizio nazionel (si trattava infatti di una c.d. domanda di pronuncia pregiudiziale).
La Corte arriva a suggerire al giudice nazionale che si dovrà verificare se il termine “prenotazione” – in lingua tedesca, tanto nel linguaggio corrente quanto nella mente del consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto – necessariamente e sistematicamente associato al sorgere di un obbligo di pagare.
Nell’ipotesi negativa, la dicitura avrebbe un carattere equivoco e dunque non rispettosa del requisito di legge.
Pertanto, il caso non è chiuso qui ma ha fornito un parametro comunitario di interpretazione piuttosto restrittivo della normativa in esame.
Le conseguenze per l’e-commerce
Si potrebbe pensare che comunque sia – trattandosi di norme non certo recenti né intaccate dalle recenti innovazioni in ambito di tutela consumeristica – la pronuncia della Corte non introduca particolari sconvolgimenti. Il punto è quanta attenzione i professionisti che utilizzano, in proprio o tramite terzi, sistemi online di accettazione contrattuale abbiano curato il layout dei pulsanti di accettazione online.
Come visto, la posizione della Corte – con effetto su tutti gli Stati membri e relative autorità di controllo – è piuttosto intransigente nel chiedere un rispetto diremmo letterale delle tutele consumeristiche, con un ridotto margine di libertà in sede di design e configurazione dell’offerta al pubblico online.
Tutti possono riscontrare quotidianamente la pletora di siti e-commerce non proprio rispettosa al 100% di quanto abbiamo visto sopra: quanti professionisti ne sono consapevoli e si rendono conto dei possibili effetti, perdendo potenzialmente numerosi ordini e clienti, con annessi pagamenti? I compiti per casa dovrebbero consistere ora in una pronta verifica delle proprie procedure, non da ultimo dello spesso poco curato layout in sede di ordinativi, tanto più se dipendente da intermediari e piattaforme di terzi.
Meditando oltretutto se pratiche non conformi agli oneri di design suddetti possano sfociare – oltre che nell’inesistenza dei contratti sottesi – parimenti in pratiche commerciali ingannevoli e dunque pure sanzionabili da parte dell’AGCM, a tutela dei consumatori.