È legittimo il licenziamento disciplinare irrogato nei confronti di un lavoratore, resosi autore di un fatto di reato incidente sul patrimonio aziendale, che sia fondato su elementi probatori raccolti grazie a un impianto di videosorveglianza.
E ciò, anche nel caso in cui l’impianto sia stato installato – con accordo sindacale – ai fini di tutela da possibili aggressioni esterne.
Infatti, la tutela del patrimonio aziendale può riguardare la difesa datoriale sia da condotte di appropriazione di denaro o di danneggiamento o sottrazione di beni, le quali possono provenire anche da dipendenti dell’azienda e non solo da soggetti esterni.
In merito, si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione la quale, con l’ordinanza in commento (n. 23985 del 6 settembre 2024), ha affermato che “la tutela del patrimonio aziendale può riguardare la difesa datoriale sia da condotte di appropriazione di denaro o di danneggiamento o sottrazione di beni, le quali possono provenire anche da dipendenti dell’azienda e che giustificano la medesima protezione rispetto a quella dovuta a fronte di aggressioni esterne, sia dalla lesione all’immagine e al patrimonio reputazionale dell’azienda, non meno rilevanti dell’elemento materiale che compone la medesima (e non può dubitarsi che condotte fraudolente di dipendenti in danno di clienti siano anche idonee a pregiudicare l’immagine di una impresa)”.
Indice degli argomenti
I fatti
La vicenda trae spunto dall’irrogazione dal licenziamento per giusta causa irrogato da una società marittima a un proprio dipendente (addetto alla biglietteria).
La Corte di Appello di Messina, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato la legittimità del suddetto licenziamento.
I Giudici d’Appello hanno fondato la propria decisione sul filmato – depositato in giudizio sin da subito dalla società – contenente le registrazioni “della biglietteria tratte dall’impianto aziendale di videosorveglianza installato sulla base di un Accordo aziendale del luglio 2015”.
Sulla base di tale visione, si è avuto modo di accertare che “le operazioni di cassa registrate sono pienamente corrispondenti ai fatti addebitati nella lettera di contestazione” al dipendente; precisamente, i Giudici hanno ravvisato l’intenzionalità della condotta del dipendente ove, negli episodi contestati, quest’ultimo non ha “consegnato ai clienti il resto dovuto, senza poi registrare l’esubero di cassa”.
Tali fatti sono stati giudicati come “idonei a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, in considerazione delle mansioni in concreto rivestite, comportanti maneggio di denaro”.
Come intuibile, sin dal giudizio di merito, il dipendente ha avanzato contestazioni in ordine a violazioni dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970) ma la Corte territoriale “ha constatato che l’impianto audiovisivo di controllo era stato installato dalla società a seguito di accordo con le organizzazioni sindacali, il quale prevedeva quale finalità dichiarata l’esigenza di tutela del patrimonio aziendale e dei beni demaniali avuti assentiti in concessione, e la salvaguardia di esigenze di sicurezza”.
Inoltre, la Corte ha valutato che “nel caso di specie, le modalità di attuazione delle riprese di videosorveglianza garantiscono il rispetto della dignità e della riservatezza del dipendente, e dunque anche del principio di proporzionalità del mezzo utilizzato rispetto allo scopo, poiché le telecamere sono state posizionate in modo da consentire la visione di un angolo delimitato dell’area di scambio tra denari e titoli di viaggio, senza alcuna possibilità di identificazione visiva immediata degli addetti, possibile solo successivamente, come chiarito nell’accordo, in caso di dettagliato reclamo della clientela”.
L’identificazione del dipendente è stata operata in assenza di uno specifico reclamo da parte di clienti ma i giudici hanno ritenuto che dovesse valorizzarsi la finalità dell’accordo sindacale tesa – pressoché in toto alla tutela del patrimonio aziendale e, per l’effetto, “la disposizione di garanzia contenuta nell’accordo va considerata in relazione alla finalità precipua dell’accordo, ossia quella di tutela del patrimonio aziendale e dei beni demaniali in concessione, ma tale garanzia non può essere estesa alla diversa e ben più grave ipotesi in cui attraverso le immagini di videosorveglianza risulti la perpetrazione di illeciti penali”.
A fronte di tale, estensivamente motivata sentenza, il dipendente ha proposto ricorso per cassazione.
L’ordinanza della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato.
Interessante il percorso argomentativo dei Giudici i quali, hanno dapprima inquadrato giuridicamente la fattispecie concreta, per poi procedere al loro vaglio di legittimità.
Anzitutto, il caso concreto deve collocarsi, ratione temporis, nell’ambito di applicazione dell’art. 4 St. lav., comma 1, così come modificato post Jobs Act (dall’art. 23 del d. lgs. n. 151 del 2015).
Infatti, l’impianto di videosorveglianza, dal quale può derivare “anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”, è stato installato dalla società previo accordo sindacale sottoscritto dichiaratamente “per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”.
La Cassazione è netta, dunque, nell’affermare che siamo pertanto al di fuori della tematica dei cd. controlli difensivi in senso stretto “i quali, come noto, si situano, ancora oggi, “all’esterno del perimetro applicativo dell’art. 4”.
E infatti, secondo la classificazione operata dall’orientamento in materia (e.g. Cass. n. 25732/2021), la fattispecie in esame deve collocarsi “tra i controlli a difesa del patrimonio aziendale che riguardano tutti i dipendenti (o gruppi di dipendenti) nello svolgimento della loro prestazione di lavoro che li pone a contatto con tale patrimonio, controlli che dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto delle previsioni dell’art. 4 novellato in tutti i suoi aspetti”.
Interrogativi sull’uso della videosorveglianza per azioni disciplinari
Si pone, dunque, l’interrogativo sull’effettiva utilizzabilità delle informazioni – le riprese visive – ai fini dell’esercizio dell’azione disciplinare.
Nel ricorso per cassazione, il dipendente ha rivendicato la “violazione di talune previsioni contenute nell’accordo sindacale, in particolare di quelle secondo cui la visione delle immagini videoregistrate, per finalità diverse da quelle espresse in premessa (tutela del patrimonio aziendale e dei beni demaniali […] e per esigenze di sicurezza), avverrà esclusivamente in presenza di reclami, o richieste dettagliate, adeguatamente motivate e non anonime da parte dei clienti, ovvero dell’autorità giudiziaria“, aggiungendo che “per quanto attiene alle telecamere istallate all’interno delle biglietterie posizionate sull’area di scambio tra denaro e titoli di viaggio, l’identificazione degli addetti […] avverrà solo in caso di dettagliato reclamo della clientela”.
Tematica anticipata poc’anzi. In buona sostanza, il dipendente ha contestato che, nella vicenda in esame non vi fosse alcun reclamo da parte della clientela e, per l’effetto, dovesse considerarsi inapplicabile la previsione dell’accordo sindacale sulla possibilità di identificare gli addetti.
Stante ciò, dal medesimo testo dell’accordo sindacale risulta altresì che “il reclamo del cliente non è richiesto laddove la finalità della visione delle immagini non fosse diversa da quella di “tutela del patrimonio aziendale” e la nozione di “patrimonio aziendale” tutelabile in sede di esercizio del potere di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori è stata intesa, dalla giurisprudenza di questa Corte, in una accezione estesa” (interessante, sul punto, la sentenza che propone richiami di vari precedenti in materia).
In definitiva, “la tutela del patrimonio aziendale può riguardare la difesa datoriale sia da condotte di appropriazione di denaro o di danneggiamento o sottrazione di beni“, che possono ben esser causate anche da dipendenti interni all’azienda.
Pertanto, la finalità di tutela del patrimonio aziendale – nell’ampio senso giuridicamente orientato – dovrebbe ricomprendere sia i casi di “aggressioni” interne (i.e. dal personale aziendale) sia le aggressioni esterne, così come l’eventuale lesione all’immagine e al patrimonio reputazionale dell’azienda e, sostengono i Giudici, “non può dubitarsi che condotte fraudolente di dipendenti in danno di clienti siano anche idonee a pregiudicare l’immagine di una impresa“.
Conclusioni
Pertanto, dall’ordinanza in commento può ricavarsi l’interessante principio per cui “lo strumento tecnologico di ripresa della biglietteria fosse installato, in modalità non occulte perché autorizzato dall’accordo sindacale, per tutelare il patrimonio aziendale, inteso in senso ampio, da possibili lesioni, interne o esterne, e sia stato impiegato per accertare comportamenti illeciti del dipendente, non concretanti un mero inadempimento nell’esecuzione della prestazione lavorativa, per cui la visione del filmato, con la conseguente identificazione degli addetti, non richiedeva il “dettagliato reclamo della clientela”, così come invece previsto dall’accordo del luglio 2015”.