Con il Decreto Legislativo del 10 marzo 2023, n. 24 (di seguito il “Decreto”), l’Italia ha finalmente recepito la Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio in tema di protezione delle persone che segnalano violazioni del Diritto dell’Unione e violazioni delle disposizioni normative nazionali.
La disciplina comunitaria, difatti, è volta proprio ad armonizzare le singole legislazioni nazionali in tema di whistleblowing, attraverso l’introduzione di un’adeguata tutela dei soggetti che, all’interno di imprese del settore sia pubblico che privato, intendano segnalare illeciti di varia natura, di cui – chiaramente – siano venuti a conoscenza nell’ambito della propria attività lavorativa.
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L’iter di recepimento della Direttiva sul whistleblowing
Nonostante la rilevanza attribuita alla materia in questione dal legislatore europeo, l’iter di recepimento della Direttiva da parte dell’Italia è stato tutt’altro che tempestivo: la procedura attuativa – il cui termine era inizialmente previsto per il 17 dicembre 2021 – è stata avviata solo a seguito della promulgazione della c.d. “Legge di delegazione europea”, intervenuta il 4 agosto 2022.
Dopo mesi di dibattito interno e in seguito al mutamento della maggioranza parlamentare, il 9 dicembre 2022 il Consiglio dei ministri ha deliberato, in via preliminare, uno Schema di decreto legislativo attuativo della Direttiva Europea. Il testo ha, successivamente, ottenuto il parere favorevole del Garante della Privacy, e il sostanziale via libera delle competenti Commissioni Parlamentari e di Confindustria.
Durante la seduta del Consiglio dei ministri dello scorso 9 marzo è stato, quindi, approvato – con qualche modifica rispetto al testo originario – il D.lgs. 24/2023, successivamente pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 15 marzo.
L’adozione della nuova disciplina del whistleblowing segna sicuramente un importante punto di svolta rispetto a quanto sino ad oggi previsto dalla normativa di settore, in più occasioni tacciata di attribuire ai segnalanti (c.d. whistleblower) una tutela inadeguata.
La disciplina prevista dal Decreto Legislativo 24/2023
Come anticipato, il whistleblowing non rappresenta una novità per il nostro ordinamento: sia per il settore pubblico che per quello privato, invero, erano già previste delle forme di tutela per i soggetti che intendessero segnalare illeciti di cui fossero venuti a conoscenza nel corso della propria attività lavorativa.
In particolare, per quanto riguarda il settore pubblico, la regolamentazione del whistleblowing era stata introdotta dall’art. 54-bis del D.lgs. 165/2001, che disponeva espressamente il divieto di ripercussioni per il pubblico dipendente che segnalasse al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, all’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) o, ancora, all’Autorità giudiziaria, condotte illecite da lui apprese.
Con riferimento al settore privato, invece, la disciplina era stata introdotta dalla Legge 179/2017, che, oltre a riformare il sopracitato art. 54-bis, aveva, altresì, previsto che le società del settore privato provviste di modelli organizzativi ex D.lgs. 231/2001 si dotassero obbligatoriamente di canali di segnalazione delle condotte illecite ritenute rilevanti ai sensi di tale normativa, garantendo, al contempo, il divieto di atti ritorsivi o discriminatori nei confronti del whistleblower per la segnalazione effettuata.
Il D.lgs. 24/2023 ha, tuttavia, abrogato le sopracitate disposizioni[1] e imposto una rilettura della disciplina, affidando allo strumento della segnalazione una primaria rilevanza nella prevenzione delle violazioni normative e assicurando ai segnalanti una più penetrante tutela.
Ambito di applicazione oggettivo
Con riferimento all’ambito di applicazione oggettivo, la nuova normativa – come anticipato – ha ampliato il novero delle condotte ritenute meritevoli di segnalazione, estendendo, in conformità a quanto specificamente previsto dalla Direttiva (UE) 2019/1937, la disciplina prevista dal Decreto anche alle violazioni che possano ledere gli interessi dell’Unione Europea.
Nello specifico, nel perimetro applicativo del Decreto vanno a ricadere le violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione Europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità della Pubblica Amministrazione o dell’ente privato, ivi inclusi gli illeciti amministrativi, contabili, civili o penali e – in continuità con il passato – “le condotte illecite rilevanti ai sensi del Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 o violazioni dei modelli di organizzazione e di gestione”.
Rimangono, invece, escluse dall’ambito del Decreto le segnalazioni attinenti ai rapporti individuali di lavoro e quelle in materia di sicurezza e difesa nazionale.
Ambito di applicazione soggettivo
Anzitutto, il D. Lgs. 24/2023 ha ampliato l’ambito di applicazione soggettivo della disciplina in materia di whistleblowing, estendendo la tutela in precedenza prevista per i soli dipendenti anche ai collaboratori autonomi, ai liberi professionisti, ai volontari, agli azionisti e agli amministratori.
Con riferimento agli enti destinatari della nuova disciplina, il Decreto opera una differenziazione tra “soggetti del settore pubblico” e “soggetti del settore privato”.
Per “soggetti del settore pubblico” si intendono non solo le amministrazioni pubbliche, le Autorità indipendenti di garanzia, vigilanza o regolazione, gli enti pubblici economici, ma anche gli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, gli organismi di diritto pubblico, i concessionari di pubblico servizio, nonché le società in house, anche se quotate.
Quanto ai “soggetti del settore privato” – individuati “in negativo” rispetto a quelli del settore pubblico[2] – il D.lgs. 24/2023 prevede una disciplina più circoscritta, rivolgendosi, in particolare, a:
- enti privati che, nell’ultimo anno, hanno impiegato una media di oltre 50 dipendenti ed enti che, a prescindere dalle dimensioni, rientrano nell’ambito di applicazione degli atti dell’Unione indicati dalla Direttiva (UE) 2019/1937[3];
- enti privati dotati di un modello organizzativo ex D.lgs. 231/2001.
Alla luce di quanto sopra, è dunque evidente che gli enti privati che non rispettino i requisiti sopra menzionati, non rientrano nell’ambito di applicazione di tale normativa.
Poste tali premesse, è necessario comprendere come le disposizioni del Decreto si applichino ai diversi soggetti sopra individuati.
Per quanto concerne i “soggetti del settore pubblico”, la tutela prevista dal Decreto è piuttosto ampia: questi, infatti, possono segnalare violazioni sia del diritto comunitario che del diritto interno, attraverso tutti i canali di segnalazione previsti dal Decreto.
Quanto ai soggetti del settore privato, invece, la nuova normativa opera un’ulteriore distinzione interna a tale categoria.
Per quanto riguarda i soggetti appartenenti agli enti privati di cui al n. 1) visto in precedenza, il Decreto dispone che possono essere segnalate esclusivamente le violazioni del diritto dell’Unione Europea, attraverso tutti i canali di segnalazione oggi previsti dal Decreto.
Per quanto attiene, invece, agli enti che adottano un modello organizzativo ex D. Lgs. 231/2001, il Decreto prevede che:
- nei casi in cui la media dei lavoratori impiegati sia inferiore alle 50 unità, il whistleblower potrà segnalare condotte illecite rilevanti ai sensi del D. Lgs. 231/2001 o violazioni del modello organizzativo, facendo ricorso al solo canale di segnalazione interno;
- nei casi in cui l’ente abbia una media di lavoratori superiore alle 50 unità, invece, il whistleblower avrà la possibilità di segnalare, oltre alle violazioni contemplate dalla nuova normativa, anche quelle attinenti al diritto dell’Unione Europea; in questo caso, l’ente potrà fare ricorso a tutti i canali di segnalazione di cui al D. Lgs. 24/2023.
La gestione delle segnalazioni del whistleblower
Rispetto alla normativa previgente, che contemplava esclusivamente di canali di segnalazione interni ai singoli enti, il Decreto ha introdotto ulteriori modalità attraverso cui il whistleblower può segnalare gli illeciti di cui sia venuto a conoscenza: è stato, infatti, istituito un canale di segnalazione esterna, cui si aggiunge, come extrema ratio, lo strumento della divulgazione pubblica.
Per quanto riguarda i canali di segnalazione interna, agli enti, sia del settore pubblico che di quello privato, viene imposta la loro predisposizione, volta a tutelare la riservatezza dell’identità del segnalante, della persona coinvolta e della persona comunque menzionata nella segnalazione, che può essere effettuata sia in forma scritta che in forma orale.
Il Decreto affida, poi, la gestione della segnalazione ad una persona o ad un ufficio interno autonomo dedicato e con personale specificamente formato o, in alternativa, ad un soggetto esterno.
Nel caso di ente dotato del modello organizzativo previsto dal D.lgs. 231/2001, inoltre, si richiede che il M.O.G. provveda alla predisposizione di tale canale di segnalazione.
Quanto alla gestione delle segnalazioni interne, la normativa dispone che:
- dopo l’inoltro della segnalazione da parte del whistleblower ed entro sette giorni dalla sua ricezione, l’ente sia tenuto a rilasciargli un avviso di ricevimento;
- il soggetto al quale è affidata la gestione del canale deve poi mantenere le interlocuzioni con il segnalante, dando diligente seguito alla segnalazione e fornendo riscontro al whistleblower entro tre mesi dalla data di ricezione della stessa.
Il Decreto, come detto, ha provveduto ad ampliare i canali a disposizione dei segnalanti, tramite la previsione di un c.d. canale di segnalazione esterna, predisposto e gestito dall’ANAC.
Infatti, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del D.lgs. 24/2023, tale Autorità – sentito il Garante Privacy – dovrà adottare delle linee guida in tema di presentazione e gestione delle segnalazioni esterne, prevedendo il ricorso a strumenti di crittografia che garantiscano la riservatezza del segnalante e della persona eventualmente menzionata nella segnalazione o, comunque, coinvolta.
Si tratta sicuramente di un elemento di grande novità, che consente di effettuare le segnalazioni in forma scritta, tramite apposita piattaforma informatica o in forma orale, mediante linee telefoniche o strumenti di messaggistica vocale. Su richiesta del whistleblower, è prevista, altresì, la possibilità di effettuare la segnalazione mediante un incontro diretto.
L’accesso al canale esterno dell’ANAC, a norma di legge, è consentito nelle ipotesi in cui:
- il soggetto segnalante operi in un contesto lavorativo nel quale non è prevista l’attivazione obbligatoria del canale o la sua predisposizione non è conforme ai requisiti normativi;
- il soggetto segnalante abbia già effettuato una segnalazione alla quale non è stato dato seguito;
- il soggetto segnalante abbia fondato motivo di ritenere che una segnalazione interna possa determinare il rischio di ritorsione;
- il soggetto segnalante abbia fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse.
Così come previsto per le segnalazioni interne, anche l’ANAC ha specifici doveri di attivazione e di riscontro nei confronti del whistleblower: al segnalante dovrà, infatti, essere dato avviso del ricevimento della segnalazione entro sette giorni dalla data di ricevimento e dovrà essere dato seguito, attraverso un’attività istruttoria, alle segnalazioni ricevute, dando riscontro al whistleblower entro tre o sei mesi (a seconda dei casi). Qualora, poi, la segnalazione abbia ad oggetto informazioni che esorbitino le proprie competenze, l’ANAC dovrà provvedere a dare comunicazione della segnalazione all’autorità competente.
La normativa in tema di whistleblowing prevede, da ultimo, la possibilità di segnalare gli illeciti mediante delle c.d. divulgazioni pubbliche, vale a dire tramite la stampa, mezzi elettronici o comunque tramite mezzi di diffusione in grado di raggiungere un numero elevato di persone.
La divulgazione pubblica può essere effettuata solo al ricorrere di specifici presupposti.
Il segnalante, in particolare, può optare per tale strumento – e, in tal caso, beneficiare della protezione prevista dal Decreto – qualora abbia previamente effettuato una segnalazione interna ed esterna (o direttamente una segnalazione esterna) oppure abbia fondato motivo di ritenere (1) che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse o (2) che la segnalazione esterna possa comportare ritorsioni o non avere efficace seguito.
La tutela del segnalante
La disciplina introdotta dal D.lgs. 24/2023 si incentra fortemente sulla tutela della riservatezza del segnalante, attraverso la predisposizione di diverse garanzie contro eventuali atti ritorsivi derivanti dalla segnalazione effettuata.
L’identità della persona del whistleblower, in particolare, non potrà essere rivelata, se non con l’espresso consenso del segnalante stesso, a persone diverse da quelle competenti a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni, espressamente autorizzate a trattare tali dati.
Sul punto, tuttavia, occorre sottolineare che il diritto alla riservatezza non ha portata assoluta: l’ampiezza della tutela riconosciuta all’identità del whistleblower varia, infatti, a seconda delle disposizioni che regolano i possibili procedimenti (penale, civile, disciplinare) in cui può trovarsi coinvolto.
Con specifico riferimento alle segnalazioni che abbiano comportato l’instaurazione di un procedimento penale, la riservatezza del whistleblower è tutelata nei modi e nei limiti previsti dall’art. 329 c.p.p.: tale disposizione impone l’obbligo di segretezza degli atti delle indagini preliminari sino al momento in cui l’indagato non abbia il diritto ad averne conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura di tale fase.
Sempre in tema di tutela del segnalante, il D.lgs. 24/2023, oltre a confermare le garanzie contro atteggiamenti ritorsivi o discriminatori posti in essere nei confronti del segnalante, già previste dal D.lgs. 165/2001 (per i lavoratori del settore pubblico) e dalla L. 179/2017 (per i lavoratori del settore privato), introduce un’ulteriore forma di tutela per il whistleblower in sede processuale.
In particolare, la novellata disciplina dispone, in capo al soggetto che avrebbe posto in essere le condotte ritorsive, un’inversione dell’onere probatorio, imponendogli di dimostrare che le stesse siano state poste in essere per ragioni estranee alla segnalazione, alla divulgazione o alla denuncia.
Tale onere, a ben vedere, risulta più gravoso rispetto a quello originariamente prescritto dalla Direttiva: infatti, mentre l’art. 21 della normativa comunitaria impone all’autore delle ritorsioni di dimostrare che la condotta sia imputabile a “motivi debitamente giustificati”, l’art. 17 del Decreto richiede, invece, che questi provi l’estraneità della condotta rispetto alla segnalazione oggetto della controversia.
Inoltre, viene esclusa la responsabilità del segnalante nel caso in cui diffonda o riveli, attraverso i canali di segnalazione previsti dal Decreto, informazioni coperte dall’obbligo di segreto relative alla tutela del diritto d’autore o alla protezione dei dati personali. Ciò, a condizione che vi fosse, al momento della diffusione, il fondato motivo di ritenere che la rivelazione di tali informazioni fosse necessaria per “svelare” la violazione.
È stata, infine, prevista l’istituzione da parte dell’ANAC di un elenco degli enti del terzo settore che forniscono misure di sostegno per i whistleblower, espressamente individuate dall’art. 18 del D. Lgs. 24/2023. Tali misure vengono, in particolare, individuate nell’assistenza e nella consulenza a titolo gratuito “sulle modalità di segnalazione e sulla protezione dalle ritorsioni offerta dalle disposizioni normative nazionali e da quelle dell’Unione europea, sui diritti della persona coinvolta, nonché sulle modalità e condizioni di accesso al patrocinio a spese dello Stato”.
Non è stata, invece, ripresa la disposizione comunitaria in tema di misure di assistenza finanziaria e di sostegno psicologico per i segnalanti coinvolti in procedimenti giudiziari.
Avendo riguardo al soggetto segnalato, il testo definitivo del Decreto attribuisce a tale soggetto una tutela ben più limitata, riconoscendogli solo la possibilità di essere sentito, anche attraverso la produzione di osservazioni e di documenti scritti, nell’ambito dell’istruttoria sulla segnalazione interna o esterna svolta dal soggetto competente.
Sanzioni
Oltre ai profili di responsabilità in cui può incorrere il soggetto segnalato, si prevede un regime sanzionatorio specifico, applicabile ogni qual volta vengano riscontrate violazioni delle disposizioni del Decreto.
In particolare, l’ANAC può infliggere al responsabile delle sanzioni amministrative pecuniarie:
- qualora siano state commesse delle ritorsioni, o qualora si accerti che la segnalazione sia stata ostacolata o che l’obbligo di riservatezza sia stato violato;
- qualora si accerti che non siano stati istituiti canali di segnalazione, che non siano state adottate procedure per l’effettuazione e la gestione delle segnalazioni, o che l’adozione delle procedure non sia conforme alle disposizioni del Decreto.
Viene, poi, previsto uno specifico regime di responsabilità per il whistleblower nei casi in cui lo stesso abbia formulato delle segnalazioni diffamatorie o calunniose, commesse con dolo o colpa grave.
Conclusioni
Le disposizioni del Decreto avranno effetto a decorrere dal 15 luglio 2023, ad eccezione degli enti del settore privato che, nell’ultimo anno, hanno impiegato una media di lavoratori subordinati fino a 249, per i quali l’obbligo di istituire il canale di segnalazione interna avrà effetto dal 17 dicembre 2023.
La disciplina contenuta nel testo definitivo del Decreto rappresenta il frutto del bilanciamento tra le istanze dei soggetti interessati dalla novellata disciplina. In particolare, il Governo, grazie anche al contributo di Confindustria, principale associazione rappresentativa delle imprese, ha cercato di contemperare la necessità di riconoscere adeguate tutele ai whistleblower che segnalino violazioni di una certa gravità e rilevanza, con l’esigenza di salvaguardare le imprese e dai danni economici e d’immagine derivanti da utilizzi distorti dello strumento della segnalazione.
Sul punto, Confindustria, nel “Position Paper” dello scorso gennaio, – pur riconoscendo l’importanza della normativa in via di approvazione- aveva sollecitato il Governo a rivedere determinate disposizioni, al fine di meglio conciliare le sopra menzionate istanze.
Tra i principali rilievi, si suggeriva, in primo luogo, di escludere dall’ambito di applicazione del Decreto gli enti privati, dotati di modello ex D. Lgs. 231/2001 che, nell’ultimo anno, avessero impiegato meno di 50 dipendenti.
Parimenti, si proponeva di sopprimere la possibilità di ricorrere al canale di segnalazione esterna nel caso in cui quella interna avesse avuto esito finale negativo.
Da ultimo, Confindustria evidenziava la necessità di apprestare maggiori tutele a favore della persona colpita dalla segnalazione del whistleblower.
Anche le competenti Commissioni parlamentari – pur dando il proprio avallo allo Schema di Decreto – avevano rilevato l’opportunità che il Governo rivedesse alcune disposizioni, con particolare riferimento, tra l’altro, all’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione della nuova normativa.
Il testo definitivo del Decreto ha recepito solo alcune di tali osservazioni.
In particolare, è stata accolta l’istanza formulata da Confindustria per le imprese che impieghino meno di 50 dipendenti e siano dotate di un modello organizzativo ex D. Lgs. 231/2001, per le quali la possibilità di segnalazione – da veicolarsi esclusivamente attraverso il canale interno – è stata circoscritta alle sole violazioni della predetta normativa o del modello organizzativo stesso.
Parimenti, sono state riprese – seppur solo parzialmente – le indicazioni sulla tutela della persona segnalata e sulla responsabilità del whistleblower nel caso di segnalazioni infondate.
Con riferimento ai rilievi delle Commissioni parlamentari recepiti dal Decreto, merita di essere menzionato l’ampliamento dell’ambito di operatività di tale normativa a tutte le violazioni previste dall’art. 2 della Direttiva 1937/2019.
In conclusione, certo è che – ferma restando la fisiologica perfettibilità di ogni testo normativo – il D.lgs. 24/2023 rappresenta un importante approdo nell’ottica di garantire una sempre maggior tutela ai soggetti che, sia nel settore pubblico che in quello privato, intendano segnalare delle violazioni del diritto comunitario ed interno.
Non resta ora che attendere che gli enti rientranti nell’ambito di applicazione del Decreto si adeguino alle nuove prescrizioni, in vista della prossima entrata in vigore dell’impianto normativo in esame.
Si confida, infine, che l’applicazione pratica della nuova disciplina potrà garantire un approccio bilanciato tra la protezione del whistleblower e la salvaguardia delle imprese e dei soggetti segnalati da utilizzi distorti di questo strumento.
NOTE
L’art. 23, comma 1, lettera a) del D. Lgs. 24/2023 ha, infatti, abrogato l’art. 54 bis del D. Lgs. 165/2001, nonché i commi 2-ter e 2-quater dell’art. 6 del D. Lgs. 231/2001, con effetto a decorrere dal 15.2.2023.
Con riferimento all’art. 6 comma 2-bis del D. Lgs. 231/2001, questo è stato integralmente riformato dall’art. 24, co. 5 del D. Lgs. 24/2023, il quale dispone che “I modelli di cui al comma 1, lettera a), prevedono, ai sensi del decreto legislativo attuativo della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019, i canali di segnalazione interna, il divieto di ritorsione e il sistema disciplinare, adottato ai sensi del comma 2, lettera e)”.
L’art. 24 comma 2 del D. Lgs. 24/2023 prevede, poi, che: “Per i soggetti del settore privato che hanno impiegato, nell’ultimo anno, una media di lavoratori subordinati, con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato, fino a duecentoquarantanove, l’obbligo di istituzione del canale di segnalazione interna ai sensi del presente decreto ha effetto a decorrere dal 17 dicembre 2023 e, fino ad allora, continua ad applicarsi l’articolo 6, comma 2-bis, lettere a) e b), del decreto legislativo n. 231 del 2001, nella formulazione vigente fino alla data di entrata in vigore del presente decreto”. ↑
L’art. 2, lett. q) del D. Lgs. 24/2023 fornisce la seguente definizione: “q) «soggetti del settore privato»: soggetti, diversi da quelli rientranti nella definizione di soggetti del settore pubblico […]”. ↑
Nella specie, il riferimento è ai soggetti di cui alle parti I.B e II dell’Allegato alla Direttiva. ↑